Il 6 settembre 2018 la Corte Suprema indiana ha stabilito che gli atti omosessuali consensuali non avrebbero più costituito un reato. Questa scelta storica ribalta l’articolo 377 del codice penale indiano, eredità delle leggi coloniali britanniche. Questo cambiamento è stato accolto sia dalla comunità indiana LGBTQI+ che da quella globale come un passo in avanti verso l’accettazione e l’uguaglianza dei diritti. Ma quali sono oggi i diritti LGBTQI+ in India, due anni dopo l’approvazione della legge?

Filip Noubel, autore di Global Voice, ha chiesto a Saurabh Kirpal, avvocato della Corte Suprema ma anche degli firmatari della petizione che ha portato alla depenalizzazione dell’omosessualità, di condividere il suo punto di vista.

Filip Noubel (FN): Dal momento che l’articolo 377 è stato modificato il 6 settembre 2018, come viene applicata la nuova legge e in che modo questa è utile ai membri della comunità LGBTQI+? Ci sono delle leggi specifiche che proteggono le persone in base al loro orientamento sessuale o identità di genere?

Saurabh Kirpal (SK): Nella sua sentenza, la Corte Suprema ha ritenuto che solamente il sesso omosessuale consensuale non fosse un crimine secondo lo schema costituzionale indiano. La sentenza ha avuto quindi un’azione limitata. Naturalmente, il segnale da parte della Corte di essere dalla parte della comunità queer ha avuto un impatto positivo sulle discussioni relative alla sessualità in pubblico. Inoltre, l’affermazione dei principi legali, secondo cui una persona queer ha diritto alla tutela dei propri diritti senza alcuna discriminazione da parte dello Stato, ha contribuito a gettare le basi per possibili cambiamenti futuri alle leggi discriminatorie. Il più grande cambiamento positivo è stato quello di portare alla luce per una discussione la questione della sessualità e della queerness senza alcun timore di rappresaglie da parte delle autorità. Tuttavia c’è ancora molta strada da fare. Il Parlamento ha approvato la legge per la Protezione di Diritti delle Persone Transgender (2019) anche se la situazione è ancora problematica in quanto non è consentita l’autodeterminazione dello status di transgender. La legge, inoltre, non offre posti riservati nel pubblico impiego e nell’istruzione, come invece era stato ordinato da una precedente sentenza della Corte Suprema. La legge è stata impugnata dalla Corte Suprema perché c’è un bisogno impellente di cambiare le sue disposizioni più draconiane.

L’India non ha un codice anti-discriminazione completo. Mentre la Costituzione proibisce la discriminazione, tale ingiunzione si applica solo al governo e ai suoi strumenti. Il settore privato può quindi discriminare senza conseguenze in diverse aree tra cui l’occupazione, gli alloggi, la sanità e l’istruzione. Sebbene si stia discutendo sulla necessità di una tale legge, sembra esserci pochissimo consenso politico verso la sua promulgazione. Anche i tribunali non si sono ancora occupati di questo problema che intacca realmente la vita della comunità queer.

FN: Chi sono gli alleati della comunità LGBTQI+ in India? Chi sono i vettori della tolleranza? Il cinema, le ONG, la letteratura, o altro?

SK: Il movimento LGBT in India c’è da molto tempo ma purtroppo non ha l’attenzione di cui ha bisogno e nemmeno è stato in grado di diventare un movimento unito e completo. Ci sono diversi sottogruppi che a volte lottano per obiettivi diversi senza rendersene conto e non per loro volere.

Tuttavia ci si sta sempre più rendendo conto che la comunità queer è stata discriminata e che le cose devono cambiare. A Bollywood, sono stati realizzati film a tema LGBTQUIA+ e sono stati ben accolti dal pubblico. Questa però è solo una piccola porzione dei media. La televisione, che in India raggiunge un vastissimo pubblico, è per lo più indifferente alle problematiche della comunità queer.

È molto interessante notare invece come uno degli alleati più forti siano stati i mezzi di comunicazioni mainstream, in particolare i media inglesi. Anche quei giornali e canali televisivi che sono conosciuti per avere delle visioni conservatrici su alcuni argomenti si sono attivamente mobilitati contro l’articolo 377. Anche dopo la sentenza, sono state trasmesse diverse celebrazioni per il risultato ottenuto. Purtroppo non si può dire lo stesso per i media locali.

FN: La tematica queer in India viene considerata come anti-coloniale. Per quale motivo? E cosa si può dire del legame del movimento queer con altre comunità e movimenti come il femminismo, i Dalit, i Kashmiri, gli ambientalisti, i sostenitori di un’India laica?SK: Questo è un problema che si sta riversando sul movimento queer in India da molto tempo. Praticamente e strategicamente, la battaglia contro l’articolo 377 doveva essere presentata come un tentativo di rimuovere l’imposizione coloniale. Dopotutto, queste disposizioni erano state imposte dai colonialisti britannici. È stato così più semplice sostenere in tribunale che la legge non era mai stata approvata dal Parlamento indiano e non godeva della presunzione di costituzionalità che si attribuisce alle leggi approvate dal parlamento. Anzi, la precedente serie di cause della Corte Suprema, ovvero il caso Koushal del 2013 che aveva reintrodotto le leggi sulla sodomia, si basava proprio su tale presunzione. Tuttavia, ora che la battaglia contro l’articolo 377 è stata combattuta e vinta, dobbiamo andare oltre la retorica anti-coloniale.

Dobbiamo anche stringere alleanze con i movimenti subalterni, femministi e di altri tipi. Questo sia per ragioni teleologiche che ontologiche. In pratica, i numeri della comunità queer non sono sufficienti per creare un impatto elettorale o sociale significativo. Perciò è importante stringere alleanze in modo che le voci di tutti i movimenti marginali possano fondersi in qualcosa di più grande del singolo movimento. È anche importante come fine a se stesso: noi abbiamo il dovere, non solo come membri della comunità queer ma anche come cittadini, di lottare contro l’ingiustizia ovunque la vediamo. Infine, dobbiamo anche riconoscere che la comunità queer è una comunità eterogenea. Ignorare questi legami può portare i movimenti più emarginati ancora più in un angolo. A lungo andare, questo non sarebbe solamente ingiusto, ma minerebbe seriamente la credibilità del movimento queer agli occhi della maggior parte dei suoi membri.

FN: Sta per pubblicare un libro su “Sesso e la Corte Suprema”. Può dirci di più?

SK: Il libro è un’antologia su vari casi in cui la Corte Suprema indiana si è occupata di questioni di sesso, sessualità e genere. Negli ultimi anni si è assistito a una miriade di casi che hanno affrontato questi temi. L’articolo 377, i diritti dei transgender, le leggi sull’adulterio, il diritto delle donne ad avere matrimoni tra caste e religioni diverse. Il tema comune alla maggior parte di queste sentenze è che la Corte ha posto l’individuo al centro del firmamento costituzionale. Nel caso di uno scontro tra la rivendicazione di un diritto individuale e la competizione per le rivendicazioni della società, la Corte hanno fatto prevalere i diritti individuali. Il libro è un tentativo di indurre alcune delle principali voci nell’ambito legale in India a scrivere su questi temi.

Ma nessuna storia legale può essere apprezzata quando si è distaccati dalla realtà delle persone che subiscono queste sentenze. Il libro contiene quindi anche dei capitoli scritti da membri della comunità LGBT e da attivisti per i diritti delle donne che spiegano cosa significano per loro questi giudizi.

L’articolo originale può essere letto qui