Il mese scorso si è parlato molto del DDL Zan, ovvero la legge contro l’omofobia. Il DDL prevede provvedimenti contro le discriminazioni e le violenze per orientamento sessuale, genere e identità di genere. Una legge che si aspetta da oltre vent’anni in questo paese, ultimo tra le altre nazioni europee.

Il codice penale italiano attualmente punisce i reati basati su discriminazioni di nazionalità, etnia e religione, ma non erano mai stati ancora egualmente punibili i reati fondati sulla discriminazione sessuale e identità di genere. In Italia, a differenza di altri paesi europei non esiste una legge che tuteli le persone LGBTQ+. Come spesso accade, il nostro paese tarda a mettersi al passo con l’evoluzione e il progress; molte le invettive arrivate anche dalla comunità cattolica e dal Cei.

Il disegno di legge Zan prevede modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del C.P., modifiche all’articolo 90-quarter c.p.p. e del DL 215/2003 (Legge Mancino). Questa legge è la sintesi di cinque proposte di legge in un testo unificato che eliminerebbe ogni atto violento o incitamento alla violenza e discriminazione sulla base del genere e identità di genere, contrastando così misoginia e omofobia.

A fine luglio il testo unificato del Ddl Zan è stato posto all’esame della Commissione Giustizia della Camera, dove sono stati portati 1017 emendamenti. Questi sono stati limitati a dieci ad articolo per ogni gruppo parlamentare. Ad apportare maggiori emendamenti, ovviamente, i gruppi politici di destra come Lega e Fratelli d’Italia, che lo considerano “ddl liberticida”, mentre da parte di Forza Italia c’è stata un’astensione che conforma l’apertura a Renzi e la sua Italia Viva anche su altri fronti. Lega e Fratelli d’Italia hanno depositato 975 emendamenti con un gran lavoro di ostruzionismo, fortunatamente in seguito limitato.

Negli ultimi anni l’argomento in questione è stato oggetto di fervente discussione e non potevano di certo mancare obiezioni, contrasti e controversie, ma a suscitare i maggiori dissensi è stato il testo della legge stessa. E come sempre in Parlamento, per ostruire il passaggio di una legge con il testo e la lingua ci si ingegna. Alcuni emendamenti proposti da deputati della Lega rasentano il ridicolo e lo scherno nei confronti dell’importanza e del valore di un provvedimento simile. Il partito della Meloni, invece, ha proposto quello che è passato ai media come l’emendamento “salva omofobi”, ovvero la tutela di episodi discriminatori in contesti religiosi o di promozione della famiglia tradizionale. Con un linguaggio pesante, gli emendamenti proposti mostrano tutta la volontà di bloccare un’eguaglianza valoriale promuovendo limiti e pregiudizi.

Si è chiesta inoltre maggiore chiarezza sulla definizione dei termini troppo generici utilizzati nel testo per evitare confusioni e ambiguità. Il relatore però ha chiarito che la terminologia prescelta vuole evitare formulazioni discriminatorie. Sembrava necessario chiarire il significato di espressioni come “sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere”.

Il lungo iter di valutazione del testo si è concluso con l’approvazione della “clausola salva idee” voluta da Forza Italia e spiegata da Zan come un richiamo alla Costituzione. Questa clausola nasconde però nella sua formulazione linguistica molte insidie: stabilisce infatti che “è consentita la libera espressione di convincimenti ed opinioni, nonché le condotte legittime, riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”. Poco chiari il suo senso e il suo significato; come sempre sarà poi la giurisprudenza a chiarirlo, anche se la Commissione Affari Costituzionali ha chiesto di rivedere proprio questo punto per evitare incertezze in sede applicativa.

Il testo è stato approvato dalla Commissione Giustizia della Camera solo il 3 agosto e con tanti bastoni fra le ruote il DDL Zan verrà rimandato a settembre.

Sappiamo bene come il linguaggio delle leggi sia oscuro e incomprensibile e talvolta errato e in termini di comunicazione di certo non è un esempio. Se parliamo di temi molto delicati, la situazione si fa ancora più complessa poiché la lingua e le leggi caratterizzano la nostra cultura e cambiano il modo di vedere il mondo; se scriviamo le leggi in una lingua ambigua, anche la nostra cultura sarà deviata. E di cultura parliamo quando si affrontano temi che riguardano i diritti umani e i valori di parità e uguaglianza e di libertà.

Gli sgambetti politici dovrebbero avere poco a che fare quando si tratta dell’intera società, invece di scivolare in giochi linguistici e ostruzionismo a suon di parole. I conservatori, i cattolici o altri contrari che gridano a leggi liberticide manipolano concetti costituzionali per accusare di limitare la libertà chi la libertà la difende. Ci sono parole e concetti fondamentali da rispettare utilizzare in modo giusto.

Compiere abusi sulla lingua e utilizzare violazioni linguistiche per interessi politici o per difendere le proprie idee contrarie a un provvedimento è un colpo basso e un’offesa alla democrazia, alla libertà di espressione e alla nostra lingua che esprime tali valori.