Il bollente pomeriggio torinese del 25 luglio è stato reso fresco e dinamico da un flash mob organizzato dalla Rete 21 marzo insieme al coreografo e “artivista”, come lui si definisce, Simon Samaki Osagie. Il dj italo-nigeriano dal 2017 porta in giro per le città italiane i londinesi Speaker box street party di sua ideazione, delle vere e proprie feste di strada in cui ritrovarsi e comunicare messaggi importanti divertendosi al ritmo di musica. Un progetto forte, che utilizza l’arte per promuovere idee politiche e civili, per combattere qualsiasi forma di discriminazione e sostenere l’inclusione. La musica accomuna tutti, è un mezzo potente.

Dopo Roma e Udine, non poteva mancare Torino all’appello. Il pezzo forte del flash mob era una semplice ma coinvolgente coreografia sulle note di Jerusalema. Mantenendo le distanze di sicurezza per il Covid19, la piazza ha risposto ballando e ascoltando le varie esperienze che tante e tanti si sono sentiti di condividere.

Si chiamano Joy, Exaucé, Francesca, Deka, Massimo, Suad, Colette… Hanno fatto esperienza diretta del razzismo, subendolo e portandosi spesso dietro la frustrazione di non sentirsi accettati sulla base di criteri opinabili, non giudicati in base alle loro capacità, ma all’aspetto. Ma ora è giunto il momento di dire basta, il silenzio non è una via percorribile. E tutti devono essere coinvolti, perché qualsiasi ingiustizia va affrontata collettivamente. È necessario un cambiamento nella società, a tutti i livelli: gli stranieri (o presunti tali, perché spesso e volentieri sono nati e cresciuti in Italia) non devono sentirsi in dovere di chiedere il permesso di esistere e di partecipare alla vita del paese in cui risiedono. Non sono ospiti! Il razzismo è infimo, non è solo l’insulto diretto, ma è sottile e si insinua nella vita quotidiana delle persone. Come quando ti viene continuamente detto: “ma come parli bene l’italiano!”, esperienza comune di tutte le persone con una tonalità diversa di colore della pelle.

Il razzismo si manifesta nelle leggi: i decreti cosiddetti “sicurezza”, che devono essere aboliti perché quello che portano è soltanto insicurezza e ingiustizia, le leggi che permettono l’esistenza di strutture di reclusione (i CPR) di persone che hanno l’unica colpa di non avere un permesso di soggiorno, cosa che, a quanto pare, toglie anche il diritto e la dignità di essere umano. Si manifesta nelle leggi mancate, come quella sulla cittadinanza “Ius soli e ius culturae” che darebbe finalmente uguali diritti a chi è nato e/o cresciuto in Italia.

In piazza c’era un’umanità bellissima, unita, solidale, allegra, forte e determinata. I temi da risolvere sono tanti, ma se sempre più persone, soprattutto giovani, prendono coscienza della necessità di un cambiamento, tutto sarà possibile.

Un ultimo ballo e l’evento si è chiuso ufficialmente, ma la piazza ha continuato a ballare ancora… coinvolgendo degli sposi venuti a fare le foto davanti a Palazzo Madama e in mezzo alle fontane che hanno fatto da scenografia in questo pomeriggio di un caldo luglio antirazzista.

Daniela Brina