Oggi per l’Italia è il secondo giorno di apertura delle frontiere per i voli verso alcune zone dell’area Schengen. Per tanti italiani bloccati all’estero però il rientro a casa è ancora lontano. Molti sono riusciti a tornare con i voli di rimpatrio organizzati dalla Farnesina, eppure non per tutti è stato possibile accedere a queste soluzioni.

Questi mesi hanno dimostrato che il Covid-19 non è uguale per tutti, e sembra non esserlo nemmeno per i cittadini italiani all’estero che sono ancora in attesa di fare rientro. I costi eccessivi dei voli di rimpatrio e le poche soluzioni offerte a chi deve raggiungere l’aeroporto di riferimento a migliaia di chilometri, sembrano aver reso impossibile il rientro di circa 4mila italiani ancora bloccati all’estero.

Tanti si sono ritrovati senza un posto dove alloggiare, senza soldi e con delle difficoltà emotive da affrontare. Durante la quarantena, tutti abbiamo passato dei momenti difficili, è facile quindi capire chi li sta attraversando in un altro paese senza sapere quando riuscirà a tornare in Italia.

CHI È ANCORA IN ATTESA DI RIENTRARE A CASA

Alessandro Lioy, 29 anni, bloccato in Brasile. Mia moglie è brasiliana e siamo uniti civilmente dal 2018. Siamo partiti da Milano il 3 marzo per celebrare il matrimonio anche nel suo paese natale. Con l’espandersi della pandemia abbiamo pensato a lungo se rientrare in Italia e avevamo deciso di farlo il 4 aprile, giorno in cui ci è stato annullato il primo volo.

La prima delle tante difficoltà che abbiamo avuto in questi mesi è stata metterci in contatto con le varie sedi della compagnia aerea di riferimento. Visto che il nostro biglietto è stato acquistato in euro, ci hanno detto di metterci in contatto con il servizio clienti europeo. Questo significava fare a nostre spese delle telefonate internazionali, dove spesso ci hanno lasciato in attesa per ore senza darci alcun supporto concreto e fattibile su come raggiungere l’Italia.

In quei giorni di inizio pandemia mi trovavo sul litorale di Santa Catarina e i contagi continuavano a salire in modo esponenziale. Non avendo informazioni sulla partenza e costretti allora a restare in Brasile, ci siamo spostati nella parte ovest dello stato, in campagna, per stare almeno in posto meno frequentato e quindi al riparo dai contagi che continuavano ad aumentare.

Spostarci non è stato facile visto che di lì a poco la chiusura del trasporto pubblico sarebbe divenuta ufficiale anche in Brasile, quindi con un po’ di fortuna abbiamo preso uno degli ultimi autobus e affrontato un viaggio di 8 ore. Tra i tanti voli di rientro annullati, oggi ci troviamo ancora in questa parte del paese e non sappiamo ancora quando riusciremo a partire per l’Italia.

Come ho sempre fatto prima di ogni viaggio, mi sono iscritto sul portale della Farnesina indicando il mio soggiorno. Verso metà aprile, mi scrivono dal consolato di Curitiba, quello della zona appartenente al posto in cui mi trovo, per chiedermi se fossi disponibile a un volo speciale per il rimpatrio di connazionali: senza specificale però da dove partisse e soprattutto senza avvisarmi dei costi che avrei dovuto sostenere. Per me era indispensabile saperlo poiché avevo già comprato il volo di ritorno; avrei dovuto quindi cancellarlo e avere un rimborso che sicuramente sarebbe arrivato molto tempo dopo aver sostenuto le spese per il volo di rimpatrio.

Alla fine abbiamo deciso di rinunciare al volo “speciale”; scelta che poi si è rivelata giusta visto che avremmo dovuto pagare 1.200€ a biglietto. Il volo è partito da San Paolo, che si trova a 1000 chilometri di distanza dal posto in cui ci troviamo, non avremmo dunque avuto la sicurezza di poter raggiungere l’aeroporto considerando le restrizioni che ci sono in Brasile.

Arrivati a metà maggio, preoccupato per l’ennesimo volo di linea annullato, ho contattato di nuovo la Farnesina per capire se ci fossero delle alternative a costi più contenuti, mi è stato risposto che in quel momento per il mio caso non ci sarebbero state nuove soluzioni.

Non mi voglio lamentare o fare la vittima perché ci sono persone ad aver passato situazioni ben peggiori delle mie, reputo però scorretto non ricevere alcun supporto che mi aiuti a rientrare a casa.

Mi stupisce che non siano stati raggiunti degli accordi per dei permessi speciali e farci rientrare con dei normali voli di linea. Adesso sono ancora in Brasile, la situazione diventa sempre più insostenibile e ho dovuto rifiutare due colloqui di lavoro dall’Italia perché non so quando potrò rientrare ed essere reperibile.

Jaqueline Lazzeroni e Matteo Bartolini, una coppia di 30 e 26 anni, bloccata in Perù. Siamo partiti lo scorso 28 dicembre da Roma. Avevamo intenzione di iniziare una esperienza lavorativa in Perù: un paese che anche se ha poco riesce a darti tanto. Adesso ci troviamo a Pisac, un villaggio a più di 1000 chilometri da Lima.

Avremmo dovuto far parte di un progetto lavorativo per un’agenzia di viaggio che organizza dei viaggi mistici incentrati sulla cultura andina. Purtroppo dopo l’espansione del virus anche in Sud America, non abbiamo avuto modo di continuare e avevamo quindi deciso di prendere il volo del 25 marzo, già acquistato con l’andata, per l’eventualità che la nostra esperienza fosse andata male a prescindere. Volo che però è stato cancellato. Non avendo scelta abbiamo quindi spostato il volo di rientro al 5 giugno.

Mancavano diversi mesi al rientro previsto, abbiamo quindi chiesto all’ambasciata eventuali supporti economici messi a disposizione per gli italiani bloccati all’estero: vivere in un altro paese senza lavorare diventa davvero difficile. Per due mesi non abbiamo avuto risposte e ci siamo allora rassegnati ad arrivare al 5 giugno con le ultime risorse che avevamo. Abbiamo cercato di trovare qualche lavoro online, ma purtroppo la ricerca è stata vana.

Dopo aver contattato più volte la nostra compagnia aerea, provando magari ad anticipare il nostro volo, ci comunicano di averlo invece spostato dal 5 giugno al 18 luglio. Per noi questo significa restare un altro mese fermi, senza lavoro e con un affitto da pagare. Per fortuna nel villaggio in cui ci troviamo le persone sono molto ospitali; ci hanno concesso di pagare quando per noi la situazione migliorerà. Per loro è una scelta economica difficile poiché qui la situazione è complicata.

In seguito a diverse sollecitazioni all’ambasciata, alla fine ci dicono di rivolgerci a un loro delegato che ci avrebbe aiutato a ricevere un prestito di 500 Soles peruviani, a patto di presentare delle garanzie attraverso le nostre famiglie in Italia. Cosa che abbiamo rifiutato, dal momento che con quella cifra non riusciamo nemmeno a pagare metà dell’affitto.

Durante il periodo che eravamo in contatto per le richieste di aiuti, ci venivano proposti dei voli di rimpatrio a prezzi insostenibili. Dopo averli rifiutati per una questione di costi, il delegato dell’ambasciata è svanito nel nulla e non risponde più alle nostre mail; lui che tra l’altro dovrebbe essere la persona incaricata dei permessi per raggiungere Lima in caso di una nostra eventuale partenza.

Altra opzione per arrivare al 18 luglio sarebbe stata di rivolgerci ai servizi della Caritas, cosa che per il momento non ci sentiamo di fare; tante persone del paese sono in maggiori difficoltà rispetto alle nostre e quindi lasciamo questa alternativa come ultima da prendere.

La nostra richiesta è quella di tornare in Italia con dei voli a costi moderati. Non possiamo sostenere una spesa di 1000€ a testa, contando anche il passaggio per Lima che si aggira sui 500€.

Sarebbe d’aiuto ricevere in tempi brevi il rimborso del volo di ritorno del 15 luglio, così da riuscire a comprare i biglietti per quello organizzato dalla Farnesina. Abbiamo anche scritto al presidente della regione Toscana ma non abbiamo ancora ricevuto risposte. Per adesso, ci siamo rivolti al gruppo Facebook SOS italiani bloccati e con l’aiuto dei suoi amministratori stiamo cercando di fare pressioni alla Farnesina affinché le nostre richieste vengano ascoltate.

Ci sarebbe piaciuto restare in Perù, però la situazione è insostenibile visto che non abbiamo nessuna entrata economica. Siamo costretti a rientrare in Italia, anche se per noi adesso sembra impossibile.

L’unica cosa che rimane da fare è sperare che il volo del 15 luglio non venga cancellato, auspicando che non comporti ulteriori spese che per il momento non possiamo affrontare.

Oltre al mancato supporto della nostra ambasciata, da questa esperienza che ci ha scossi emotivamente ci ricorderemo la sensazione di sentirci dire di rivolgerci al servizio Caritas del paese.

Maria Devigili, 39 anni, bloccata in Nevada. Sono arrivata in USA il 23 gennaio e sarei dovuta tornare in Italia agli inizi di aprile. Uno dopo l’altro tutti i miei voli sono stati cancellati. Ho riscontrato subito il problema del visto e dell’assicurazione sanitaria, che per fortuna riesco a rinnovare ogni mese. Questa situazione l’ho dovuta risolvere da sola, dopo che il consolato di Los Angeles mi diceva che nel breve tempo non avrei potuto avere una copertura medica.

Dopo vari tentativi di mettermi in contatto con la compagnia aerea di riferimento, mi è stato dato un volo per il 15 giugno, che sistematicamente mi è stato già cancellato. Da lì inizia un nuovo il ciclo di telefonate per sapere quando sarei potuta tornare in Italia; all’inizio mi dicevano che per il mio caso non c’erano altre soluzioni all’orizzonte.

La situazione è diventata molto pesante. Mi sono sentita veramente sola nel momento in cui il servizio clienti della compagnia aerea riattaccava il telefono proprio quando ponevo delle domande specifiche sulle possibili soluzioni da prendere.

Dopo diversi giorni mi dicono che forse avrei potuto fare un altro biglietto per giugno, pagando però 800€ di integrazione nonostante il mio volo di andata comprendesse anche il ritorno. Spese inaccettabili contando che dopo l’arrivo all’aeroporto di Milano o Bologna, dovrei raggiungere casa mia a Trento con un’auto privata visto che non posso prendere i mezzi pubblici perché mi troverei in quarantena obbligatoria. Ho esposto il problema alle autorità italiane, che mi hanno più volte sviato verso soluzioni da risolvere direttamente sul posto, magari con la polizia aeroportuale.

Per tutto il periodo della quarantena ho avuto la fortuna di vivere a casa del mio compagno, altrimenti sarebbe stato impossibile restare in una città cara come Los Angeles. Spero di rientrare in Italia prima possibile, dal momento che presto mi ritroverò senza una casa perché il mio compagno dovrà traslocare, dato che la situazione lavorativa negli USA non è delle migliori.

Rosanna Mazzel, 50 anni, bloccata in Perù. Mi trovo a Máncora, villaggio a nord del paese e a due ore dal confine con l’Ecuador. Sono quindi sulla costa e per adesso sono ospite in un hotel. Per il momento non mi manca nulla e nonostante mi trovi in un altro paese senza lavoro riesco ad andare avanti perché avevo messo dei soldi da parte. Questo mi permette di pagare l’affitto della stanza. Mi metto però nei panni di chi ha delle disponibilità limitate e a dover affrontare delle difficoltà che in un altro paese possono essere enormi.

Fin da subito ho dato tutti i miei dati all’ambasciata che mi ha aggiornata sui voli di rimpatrio. Il problema è che tutti i voli costavano circa 1000€ e avrei dovuto anche pagare il passaggio privato per Lima che costa sui 600€. Delle spese che per il momento non potrei affrontare.

La compagnia aerea con la quale sono arrivata non ha ancora messo in servizio nessun volo di linea e, stando alle parole del governo peruviano, riapriranno i confini internazionali ormai ad ottobre. Di fatto l’unica opzione sembra quella di tornare con dei voli a costi che non per tutti sono accessibili. Spero che la cosa si rivolva presto e di riuscire a tornare in Italia, perché restare qui per un tempo indeterminato, tra l’altro in quarantena, potrebbe risultare molto complicato.