Alcuni giorni fa ho proposto a vari organi d’informazione un mio articolo sul dopo pandemia. Mi è stato rifiutato e il miglior appellativo che mi sono beccato è stato quello di essere troppo pessimista. Ebbene sì, lo ammetto, caratterialmente sono pessimista ma per cultura e formazione sono portato (o comunque mi sforzo)a essere il contrario. Cieco no però, giacché ciò che ci prospetta il futuro non sembra sia motivo per gioire.

Certamente alcune cose dovranno essere modificate e andranno meglio per tutti: la ricerca, l’assistenza, la medicina e le condizioni economiche e lavorative di chi opera in questi settori. Il pianeta, è assodato (e oggi ne abbiamo la prova provata) che necessita di pause, di respiro e sarebbe interessante se si prendesse in considerazione di programmare un mese l’anno di lockdown per farlo riposare e respirare proteggendolo dalle attività umane).

Forse sarà necessario ripensare modelli diversi di sviluppo rispetto al capitalismo finanziario che sta dimostrando i suoi evidenti limiti, una diversa distribuzione delle ricchezze e maggiore giustizia sociale se non si vuole vedere un pezzo numeroso di mondo alla fame e nella povertà.

Ecco, questi sono tutti elementi interessanti e positivi sui quali concentrarsi da adesso e per il dopo, che la pandemia da Coronavirus ha messo in luce facendoli emergere ottimisticamente come priorità. Altra storia è se essi saranno all’ordine del giorno dei governi o se passata la buriana si tornerà a ballare sotto la pioggia come prima.

Io ho i miei dubbi ma sono comunque moderatamente ottimista. Diciamo che vedo il bicchiere mezzo pieno, che non vuol dire adagiarsi sugli allori aspettando che si riempia da solo, ma parlarne, denunciare i problemi e mantenerli al centro del nostro modo di comportarci e per quelli come me che lavorano con le parole, costringere le amministrazioni pubbliche a tenerli sottolineati in rosso nelle loro agende politiche ed economiche. E quindi: giornalisti, intellettuali, scrittori, artisti ma anche gli scienziati, i medici, i virologi che di questo tempo vanno tanto di moda, possono incidere e fare la differenza tra sviluppo e oblio, se manterranno fede alla loro professione/passione/missione. Se continueranno a incalzare i governi, a stimolare la classe dirigente, a riflettere e far riflettere proponendo modelli di pensiero diversi, alternativi e (anche) rivoluzionari. Lo faranno? E lo faranno senza farsi prendere la mano dal potere e dal successo che una politica balbettante e incompetente qualche volta gli consegna? Lo faranno i giuristi che stanno forzando la Carta costituzionale consigliando (o scrivendo) i decreti che il Presidente del consiglio ci presenta settimanalmente infarciti di divieti, di consigli “obbligati” , coattazioni e restringimenti delle libertà personali? Lo faranno gli operatori dell’informazione prima di elencarci “acriticamente” tali provvedimenti governativi?

Ebbene, su tale questione sono invece piuttosto pessimista anche se io, nel mio piccolo mi impegnerò. Sono pessimista se fior fiore di intellettuali del calibro di Archibugi, Bazzicalupo, Belvisi, Bonaga, Falcone, Ferrajoli, Gatta, Marramao, Revelli, Urbinati, Castellina e altre decine, in questi giorni hanno utilizzato con convinzione il loro tempo e il loro intelletto per ideare e firmare un appello in difesa… ( c’è da non crederci) del Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Invitati a farlo, pensate un po’, da un giornale di area progressista e di sinistra. Ecco, questa storia non mi fa essere per nulla ottimista anzi, mi ricorda il famoso ruolo dell’ “intellettuale organico” di passata memoria trattato tanto tempo fa da Antonio Gramsci.

Mai, nei tanti anni della mia vita almeno in Italia, mi era capitato di leggere un appello di intellettuali in favore di un capo di governo in carica. O meglio, questo è successo negli anni ’30 del secolo passato durante il ventennio fascista, succedeva nell’Unione sovietica di Breznev, nella Cina di Mao e in tutti i regimi autoritari e le democrazie illiberali di oggi.

Immagino i mal di pancia di altri uomini e donne, intellettuali diversi tra di loro ma che sono stati sempre onestamente “contro” come Pier Paolo Pasolini, Alda Merini… ma anche Gian Maria Volonté, Montanelli, Moravia, Oriana Fallaci, Sciascia, Primo Levi, Pannella nel sentire una cosa del genere e mi chiedo se non siamo scivolati troppo in basso in termini di asservimento e di rinunzia al confronto, all’elaborazione critica e, se questa fosse la situazione, come si fa a essere ottimisti.

Poi però, scorrendo il lungo elenco di firme, constato che all’appello mancano i nomi di molti giovani studiosi, artisti, scienziati, scrittori emergenti e mi torna finalmente la fiducia, pensando che forse non tutto è perduto e che ” il dopo” potrebbe anche essere diverso da come lo avevo immaginato. E comunque non così buio come sembrava presagirsi.