“C’era una volta, in un villaggio cinese, un contadino che viveva con suo figlio e un cavallo. Un giorno il cavallo scappò. I suoi vicini andarono da lui, dicendo di essere dispiaciuti. Ma il contadino rispose loro: ‘Come fate a sapere se questo è un bene o un male?’ I vicini, confusi, se ne andarono. Il cavallo tornò il giorno dopo portando con sé dodici cavalli selvatici. I vicini andarono dal contadino per festeggiare. Ma lui disse loro: ‘Come fate a sapere se questo è un bene o un male?’ E infatti, il giorno dopo, il figlio del contadino, cercando di domare uno dei cavalli, cadde e si ruppe una gamba. I vicini tornarono a mostrarsi dispiaciuti. Il contadino disse di nuovo: ‘Come fate a sapere se questo è un bene o un male?’ Il giorno successivo l’esercito arrivò al villaggio e reclutò tutti i giovani, tranne il figlio del contadino che aveva la gamba rotta. I giovani andarono in guerra e nessuno di loro tornò vivo. Solo il figlio del contadino si salvò.”

Nelle nostre vite, capita spesso che circostanze apparentemente perfette diano origine alle più grandi delusioni. Allo stesso modo, capita che situazioni spiacevoli si tramutino in meravigliose opportunità. E questo è proprio ciò che mi è accaduto negli ultimi mesi.

L’esplosione del coronavirus in Cina, avvenuta a fine gennaio, ha stravolto tutti i miei piani. L’inizio del secondo semestre alla Tongji University di Shanghai, dove mi trovavo quest’anno per un programma di doppia laurea, è stato rinviato a data da destinarsi. Le attrazioni turistiche hanno iniziato a chiudere in tutto il paese e i collegamenti tra le città a essere sospesi. In quel momento, approfittando delle vacanze invernali, stavo facendo un viaggio nel sud della Cina insieme ai miei amici e proseguire stava diventando impossibile. Davanti alla prospettiva di dover tornare a Shanghai e rimanere chiuso in casa per chissà quanto tempo, non mi sono perso d’animo e ho deciso di approfittare della situazione per vivere un’esperienza nuova e fare qualcosa che, in circostanze normali, probabilmente non mi sarebbe mai capitato.

La mia idea era di allontanarmi temporaneamente dalla Cina e aspettare in un posto sicuro che le cose si sistemassero e tutto tornasse alla normalità. Ho deciso quindi di cercare opportunità di volontariato nel Sud-Est Asiatico. Un annuncio in particolare ha attirato la mia attenzione: quello di una scuola a Mkak, nella provincia di Banteay Meanchey, in Cambogia. È così che sono finito a passare un mese insegnando inglese ai bambini di un piccolo villaggio di campagna.

In Cambogia il sistema scolastico pubblico non dà agli studenti la possibilità di imparare lingue straniere. L’unico modo affinché i bambini possano studiare l’inglese è quindi affidarsi a istituti privati. Il D.S.S. Center, dove sono stato io, è uno di questi. Fondata soltanto qualche mese fa da Luch, un giovane e intraprendente cambogiano dall’animo sensibile e generoso, la scuola ha l’ambizioso obiettivo di dare un futuro ai bambini di Mkak. Vivendo in un’area rurale, infatti, questi hanno molte meno opportunità rispetto ai loro coetanei di città. Per ridurre al minimo la retta da far pagare alle famiglie e riuscire così a includere più bambini possibile, l’istituto si regge sul contributo di volontari, come me, e su donazioni, con le quali Luch spera di ingrandire presto la scuola e comprare dei computer per dare ai suoi studenti conoscenze che a noi appaiono scontate, ma che nel suo contesto possono fare la differenza.

Fare l’insegnante è stata per me una grande sfida. Ogni giorno, io e gli altri volontari – provenienti da Brasile, Spagna, Stati Uniti e Svezia – lavoravamo fianco a fianco con i maestri cambogiani, anche loro giovani e inesperti, per individuare i metodi di insegnamento migliori. E così, in classe, spelling e grammatica venivano affiancati da canzoni e giochi di ogni tipo. La cosa più difficile era, dopo aver insegnato ai bambini i vocaboli, fare in modo che riuscissero a metterli insieme per comporre delle frasi: insomma, far capire loro la logica di una lingua tanto diversa da quella con cui erano nati e cresciuti. Una fatica, però, ampiamente ripagata dagli sguardi di gratitudine dei piccoli studenti e dall’entusiasmo che dimostravano a ogni lezione.

Un entusiasmo che dimostravano anche quando ci raccontavano i loro sogni: da grandi volevano diventare insegnanti, dottori, cantanti, poliziotti, pompieri. Una scuola di inglese non può certo fare miracoli e risolvere tutti i problemi sociali di una realtà complicata come quella cambogiana, ma se riuscirà a migliorare la vita di questi bambini anche soltanto di un po’, ne sarà valsa la pena.

L’altra grande sfida che ho dovuto affrontare è stata immergermi completamente nella cultura e nella vita quotidiana di un villaggio cambogiano. La scuola era ospitata in una vecchia villetta in stile coloniale, con un’aula sistemata al piano superiore e altre quattro costruite intorno all’edificio, con pareti di compensato e tetti di lamiera. Nel cortile, i bambini potevano divertirsi con delle altalene ricavate da pneumatici dipinti di rosso, giallo e blu. Io e gli altri volontari vivevamo nella scuola, insieme a Luch, a suo fratello e a uno dei maestri. Avevamo delle camere per noi, ma non c’erano docce né rubinetti: per lavarsi si usava l’acqua del pozzo. Il fratello di Luch cucinava per noi pasti gustosi e genuini, a base di riso, pesce fresco, spezie dai sapori insoliti, frittate di cipolla e un sacco di anguria, ma anche grilli fritti, rane e lumache. Durante il mese che ho trascorso a Mkak, ho imparato ad apprezzare le gioie più semplici: correre, saltare e giocare con i bambini durante l’intervallo, bere birre ghiacciate chiacchierando con la gente del posto, ammirare ogni sera splendidi tramonti al laghetto del villaggio.

Ormai da più di un mese, anche in Cambogia le scuole sono state chiuse come precauzione nei confronti del coronavirus. Finita l’esperienza a Mkak, mi trovo ora dall’altra parte del paese e passo le giornate lavorando sulla mia tesi di laurea, in attesa che la Cina riapra i confini e mi permetta di concludere il mio percorso di studi. Nel frattempo, Luch continua a inseguire i suoi obiettivi e sta affrontando il problema di riuscire a pagare l’affitto adesso che la scuola è chiusa e che le famiglie non contribuiscono più con la retta mensile.

E ora, che futuro mi aspetta? Se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi mesi è che in questo momento della mia vita (e della vita del mondo in generale) è impossibile prevedere cosa succederà domani. Da un certo punto di vista, sembra una prospettiva piuttosto inquietante, ma voglio andare avanti tenendo davanti a me la grande lezione di vita del contadino cinese: spesso quelli che inizialmente appaiono come i momenti più bui si rivelano poi le opportunità più grandi. E non voglio lasciarmele sfuggire.

Per saperne di più sul D.S.S. Center:

https://dsscentercambodia.wixsite.com/website

Per fare una donazione:

https://ie.gofundme.com/f/empower-engage-educated-in-rural-of-cambodia

Per iscriversi come volontari (quando si potrà viaggiare):

www.worldpackers.com/positions/23169