Non è un titolo originale, lo so. Ma evocare il capolavoro di Márquez ci conforta. Quanta vita in quelle pagine!

Io oggi ho dovuto rinunciare al viaggio per incontrare il mio compagno che vive e lavora in Svizzera. Non siamo sposati. Il mio domicilio è in Italia, non rientro nei casi permessi, anche se la regione in cui vivo finora ha visto 37 contagiati, 8 ricoverati e 0 morti.

Oggi alla Coop del paesino di 2000 abitanti, nelle cui vicinanze risiedo, abbiamo fatto la coda fuori e siamo entrati uno o due per volta, in base alle persone che uscivano. Quasi tutte donne. Si parlava di questa quarantena con una certa ironia e senza l’ombra dell’isteria che si trova facilmente nei social e, forse, nelle grandi città.

Le persone in strada si guardano, adesso siamo più presenti l’uno all’altro, non fosse altro per contarci o calcolare la distanza di sicurezza.

Nei negozi i commessi con le mascherine e i guanti ci fanno sentire un po’ pazienti nostro malgrado. Ogni tanto passa la macchina dei carabinieri locali e mi ricorda quella volta che, negli anni 80, con tutta la famiglia andammo a visitare i parenti siciliani a Niscemi. Fuori dal paese i carabinieri ci fermarono e con fare colloquiale, così senza parere, ci trattarono da forestieri e curiosando si informarono di chi eravamo e da chi andavamo.

I dati del contagio non sono omogenei. In ogni luogo sono stati fatti tamponi usando diversi criteri. I criteri sono cambiati nello stesso luogo nel tempo. I test dei tamponi sono cambiati nel tempo. Ci riempiamo la bocca di dati senza consistenza. Muoiono persone, questo è certo. Quanti sono anziani o persone già malate di qualcos’altro? Basta che ce ne sia uno che era più o meno sano e che non ce la fa e tutti i morti si trasformano in possibili “noi”. E questo spaventa.

Alcune settimane fa, quando si pensava che in Italia sarebbe stato contenuto rapidamente il contagio, un’amica dal Perù mi ha detto che i media già stavano avvisando la popolazione che sarebbe arrivato presto anche lì. Ho avuto il sospetto che la cosa sarebbe stata lunga anche per noi, ma ancora non immaginavo come.

Oggi sono triste perché forse per altri due mesi non potrò riabbracciare il mio compagno e ancora non ho la certezza del rimborso dei biglietti di viaggio che ho comprato perché i form dei siti web non funzionano e i numeri di telefono suonano isterici. Forse oggi qualche lombardo sorride cinicamente pensando al resto degli italiani che finora deambulavano tranquillamente e non capivano la sua alterazione, come chi aveva sorriso qualche giorno fa alle notizie dei respingimenti dei lombardi e dei veneti all’estero, considerando un certo rimbalzo delle azioni di chi aveva urlato chiusura verso i migranti.

L’amore ai tempi del coronavirus non è affatto vivace come nel racconto colombiano. Ma si cominciano a vedere o sentire romantiche testimonianze sotto questo titolo. E le restrizioni delle libertà vengono accettate e positivizzate oppure richieste dalle stesse persone, a volte pacatamente, altre volte in modo alterato, puntando il dito inquisitore.

Sarà necessario fare attenzione nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Fare attenzione a noi, ai nostri vicini, a quale informazione considerare. Elevare la nostra attenzione e agire con oculatezza senza perdere il contatto con la realtà fatta dalle persone intorno a noi, senza perdere il senso di appartenenza, senza cedere alla tentazione di scaricare i nervi sugli altri che come noi vivono questa eccezionale situazione. Fare attenzione e ricordare, e non lasciare che misure di emergenza si trasformino in qualcosa di normale.