Dall’ascesa di organizzazioni come Zero Hour a quella dei Fridays For Future di Greta Thunberg, il movimento giovanile per il clima è solo all’inizio.

Di Nick Engelfried

Per i primi dieci anni e mezzo della sua vita, Jamie Margolin è stata come qualsiasi altro adolescente americano che viveva nei sobborghi. Andava a scuola, faceva amicizie e si dedicava allo sport. Eppure, per tutto il tempo, sotto la superficie si nascondeva la paura di un’incombente catastrofe climatica, che lei si sentiva impotente a fermare.

Per un po’ di tempo Margolin è riuscita a tenere a bada questa paura. La passione per la scuola e l’atletica l’ha certamente aiutata. Poi è arrivata la notte delle elezioni del 2016, quando il muro protettivo che aveva costruito intorno a sé ha finalmente iniziato a crollare.

All’età di 14 anni, l’esperienza politica di Margolin si limitava a qualche attività per la campagna della Clinton. Ma piuttosto che cedere alla disperazione per il risultato elettorale, decise che era giunto il momento di affrontare a testa alta il problema che la spaventava di più: il cambiamento climatico.

Ben presto Margolin si è trovata a fare volontariato per Plant for the Planet, un gruppo di giovani sostenitori del clima, con cui si è recata al Campidoglio di Stato a Washington a fare pressione per una legge sul clima. Ha testimoniato alle udienze, parlato alle proteste e organizzato raduni, ma sognava di intraprendere azioni ancora più incisive.

Le cose sono andate a rotoli nel 2017, quando eventi meteorologici estremi si sono verificati vicino a lei e in tutto il mondo. Quell’estate, per la prima volta in vita sua, il fumo degli incendi ha oscurato i cieli di Seattle. “Ho guardato il fumo, poi ho visto l’uragano Maria abbattersi su Portorico”, ha detto Margolin. “Ho deciso che dovevo portare il mio attivismo al livello successivo”.

Ha scritto un post su Instagram che includeva questo messaggio: “Se avessimo un #YouthMarchonWashington dove i giovani inondano le strade e chiedono soluzioni climatiche… potremmo cambiare le carte in tavola rispetto alla crisi climatica”.

Le risposte sono arrivate da amici e studenti di tutto il paese. Lavorando con la posta elettronica e i social media hanno lanciato una nuova organizzazione guidata dai giovani chiamata Zero Hour. Forse per la prima volta, Margolin ha iniziato a sentire di poter avere il tipo di impatto che aveva sognato.

Come Margolin, Andrea Manning è cresciuta sentendo parlare del cambiamento climatico. Tuttavia per anni il problema le sembrava remoto. Quando il tema veniva fuori a scuola, l’attenzione si concentrava sempre sulle calotte di ghiaccio e gli orsi polari. Come liceale afroamericana che viveva vicino ad Atlanta, in Georgia, lei sentiva queste preoccupazioni lontane dalla realtà della sua città.

Poi, durante il suo ultimo anno di liceo, nel 2018, un’amica ha chiesto a Manning di aiutarla a organizzare una marcia per il clima come parte del primo grande giorno d’azione di Zero Hour. Se si fosse trattato di orsi polari, probabilmente non avrebbe raccolto l’invito, ma quando si è resa conto che l’organizzazione poneva una forte enfasi sulle persone emarginate, si è incuriosita.

“Ho visto come il cambiamento climatico influisca sulle comunità reali e sulla giustizia razziale”, ha detto Manning. “Il messaggio di Zero Hour riguarda l’importanza di un futuro vivibile, ma anche le persone in prima linea che oggi sono colpite dallo sviluppo dei combustibili fossili”.

Manning è stata rapidamente coinvolta nella rete di adolescenti coordinati a distanza di Zero Hour, diventando un’organizzatrice. Il primo progetto del gruppo è stata una giornata di azione a livello nazionale nell’estate del 2018, che ha incluso una marcia a Washington, D.C. e altre in tutti gli Stati Uniti.

Manning e i suoi amici hanno organizzato un raduno ad Atlanta con 40 persone. Per quanto piccola possa sembrare questa prima azione locale, il fenomeno dei liceali che protestavano contro il cambiamento climatico ha suscitato l’interesse della comunità e ha ottenuto la copertura di media come il Georgia State Signal, un giornale studentesco.

Nel frattempo, i giovani di tutto il mondo si ispiravano a Zero Hour, in particolare Greta Thunberg, che allora aveva quindici anni. Thunberg ha letto online della giornata di azione di Zero Hour. Poi, un mese dopo, ha iniziato la sua campagna di sciopero scolastico “Fridays For Future”, protestando ogni settimana fuori dal Parlamento svedese. Il movimento degli scioperi per il clima si è diffuso in Europa e nel mondo, diventando una parte fondamentale dell’attuale ondata di attivismo giovanile per il clima.

Poiché gran parte del movimento per il clima giovanile è organizzato online, gli eventi a Seattle, Stoccolma e ovunque possono avere un effetto a catena quasi istantaneo in tutto il mondo. Ispirandosi a Zero Hour, Greta Thunberg è stata a sua volta fonte di ispirazione per molti giovani attivisti statunitensi per il clima – compresi quelli della città in cui Zero Hour ha avuto inizio.

Il 14 dicembre 2018, il dodicenne Ian Price è stato uno dei primi studenti a lanciare uno sciopero scolastico negli Stati Uniti. Price aveva guardato i discorsi di Greta Thunberg su YouTube e deciso di iniziare uno sciopero di sua iniziativa fuori dal municipio di Seattle. “Sono qui perché i responsabili delle decisioni come quelli dentro l’edificio, che hanno il potere di apportare cambiamenti reali, devono agire”, ha detto Price.

Per coincidenza, quello stesso venerdì la quattordicenne Alexandria Villaseñor di New York City ha iniziato uno sciopero fuori dal quartier generale delle Nazioni Unite. Nei mesi successivi, altre azioni di sciopero hanno cominciato a spuntare in tutto il paese. In molti casi, attivisti come Price e Villaseñor hanno tenuto veglie solitarie per settimane prima che qualcun altro vi aderisse, ma la loro pazienza è stata alla fine premiata.

La quattordicenne Zoe Schurman, anch’essa motivata da Greta Thunberg, ha iniziato a partecipare agli scioperi di Seattle un paio di mesi dopo che venissero lanciati da Price. Era preoccupata da anni per il cambiamento climatico, ma non era sicura di come i giovani come lei potessero avere un impatto. “È stato stimolante vedere la gioventù della mia età creare ondate”, ha detto Schurman. “Se le generazioni più anziane non si comportano in maniera responsabile, in tempi di crisi i giovani devono farsi avanti ed essere adulti”.

Ora, circa 30-50 studenti e sostenitori si uniscono allo sciopero di Seattle ogni venerdì. Come in molte altre città, un piccolo gruppo centrale sciopera ogni settimana, con un numero molto maggiore di persone nei giorni occasionali di azione di massa. Uno di questi giorni è stato il 20 settembre, il calcio d’inizio di una settimana di azione, quando più di 7 milioni di persone in tutto il mondo hanno partecipato allo sciopero globale per il clima, in concomitanza con il vertice delle Nazioni Unite a New York.

A Seattle, 10.000 persone si sono unite a una marcia insieme a scioperanti come Price e Schurman. Nel frattempo, ad Atlanta – un ambiente organizzativo più impegnativo a causa della politica conservatrice della zona – uno sciopero organizzato da Manning e altri ha attirato quasi 400 partecipanti, 10 volte il numero della loro prima azione come Zero Hour.

Mentre la dimensione della folla variava da città a città, lo Sciopero Globale per il Clima comprendeva più di 5.000 eventi distribuiti in 163 paesi. Questo significa che il movimento, iniziato solo con un gruppetto di adolescenti, aveva innescato la più grande manifestazione mai realizzata sul pianeta a sostegno dell’azione per il clima.

Il co-direttore di Zero Hour Ethan Wright era una delle circa 10.000 persone radunate fuori dal Campidoglio di Washington, D.C. quel giorno di settembre. “Stavamo cantando così forte che potevo sentire le nostre voci echeggiare dall’edificio del Campidoglio”, ha detto. “I rappresentanti eletti sono usciti sul balcone per vedere cosa stesse succedendo”.

Finito il raduno, Wright, un attivista chiave dell’evento, è partito per la sua azione successiva, saltando su un treno per New York con la collega Nadia Nazar, organizzatrice di Zero Hour. Durante il fine settimana, insieme a Margolin e ad altri giovani attivisti, hanno partecipato a un summit giovanile speciale in vista dell’evento principale dell’ONU iniziato lunedì. Domenica sera Wright ha preso un aereo per tornare a Washington, giusto in tempo per un’altra settimana di lezioni alla George Mason University, dove sta studiando.

“E’ questo che significa essere un organizzatore giovanile”, ha detto Wright con una risata. “Facciamo tutto questo attivismo, poi devo andare a casa e finire i miei compiti di spagnolo”.

Come studente universitario maschio bianco, Wright riconosce apertamente di essere arrivato all’attivismo climatico da un luogo privilegiato non condiviso da molti leader di Zero Hour. Vede anche la necessità che chi ha meno privilegi faccia da guida. “Mi piace come Zero Hour sia trasversale e basata sulle donne di colore e anche come sia centrata sui giovani in prima linea e sulle popolazioni indigene. Si tratta di provocare un cambiamento reale e tangibile e anche di dare rilievo alle persone giuste”.

Questo accoppiamento tra giustizia climatica e diritti umani ha motivato molti giovani attivisti. Di recente ha portato alcuni a rischiare l’arresto.

Superare i limiti

Alcune ore prima dell’alba del 5 novembre, la diciannovenne Lydia Stolt si è incatenata a una scala su un molo di sbarco al porto di Vancouver sul fiume Columbia. Il suo obiettivo era quello di impedire lo sbarco di una nave che trasportava parti di oleodotti diretti in Canada. Insieme a diversi altri attivisti della Portland Rising Tide e della Mosquito Fleet, Stolt agiva in solidarietà con i gruppi indigeni che combattevano progetti come l’oleodotto di sabbia bituminosa Trans Mountain.

“Non potevo stare a guardare senza far nulla”, ha detto Stolt, che è diventata un’attivista per il clima dopo aver passato varie estati a lavorare in Alaska, dove ha visto il ritiro dei ghiacciai e l’impatto sui piccoli villaggi vicini. Pur sottolineando di non parlare a nome degli indigeni, Stolt ha tuttavia affermato che la spinta ad agire è arrivata dall’incontro con membri delle tribù dell’Alaska e dal collegamento tra la loro lotta per la sopravvivenza e quella di altri gruppi indigeni che si oppongono agli oleodotti. “Stiamo sostenendo un’epidemia di genocidi di massa e non voglio farne parte”, ha detto.

Quel giorno Stolt non è stata l’unica studentessa a portare il suo attivismo a un nuovo livello. Anche il ventiduenne Kiran Ooman si era incatenato al molo, nella speranza di ispirare altri giovani a intraprendere azioni simili. “Onestamente, mi piacerebbe vedere più giovani rischiare l’arresto e spingersi oltre i limiti”, ha detto Ooman. “A un certo punto dobbiamo diventare più radicali.”

Ooman incarna un approccio nonviolento all’attivismo. All’età di 17 anni si è unito ad altri 20 giovani querelanti in Juliana contro gli Stati Uniti, una causa che sostiene che, non agendo sul cambiamento climatico, il governo degli Stati Uniti non è riuscito a proteggere i diritti dei giovani alla vita e alla libertà. Secondo Ooman, che sta studiando teoria dei movimenti sociali all’università, azioni legali, lavoro legislativo e azione diretta nonviolenta sono tutti necessari. È incoraggiato dalla crescita delle organizzazioni giovanili per il clima negli ultimi anni.

“Quando sono entrato nell’attivismo sul clima all’ultimo anno di liceo, tutti gli altri avevano almeno cinque anni più di me”, ha detto Ooman. “Solo che allora non era una cosa che interessava alla maggior parte dei ragazzi, mentre oggi lo è. Ora c’è un intero movimento giovanile”.

Quel movimento sta portando migliaia di persone nelle strade attraverso campagne come quella per il clima e si oppone con azioni dirette allo sviluppo dei combustibili fossili. Sta anche portando la spinta all’azione per il clima ai più alti livelli delle organizzazioni internazionali.

Raggiungere le stanze del potere

Il 10 dicembre la sedicenne Isabella Fallahi stava cercando di inscenare una protesta pacifica in una conferenza in cui parlava un dirigente della Shell Oil. Fallahi è stata al COP25 di Madrid, l’ultimo ciclo di negoziati internazionali sul clima. Si è recata lì dalla sua casa di Indianapolis, dove l’inquinamento delle centrali a carbone – che le ha procurato l’asma – l’ha motivata a diventare un’organizzatrice del clima.

Fallahi e altri giovani attivisti stavano organizzando una protesta silenziosa e pacifica contro il coinvolgimento di inquinatori come la Shell nella COP25. Tuttavia le guardie di sicurezza hanno detto loro che questo non era permesso. “Essenzialmente hanno detto che ci avrebbero cacciato via se l’avessimo fatto”, ha raccontato.

Per rispetto del processo delle Nazioni Unite, Fallahi e gli altri giovani hanno sospeso la protesta, ma l’incidente dimostra l’influenza degli inquinatori sulla COP25. “Non si poteva fare nulla a causa di grandi inquinatori come la Shell”, ha detto Fallahi. “Non solo partecipano, ma vengono anche invitati a parlare alle conferenze e in riunioni a porte chiuse”. A suo parere è in gran parte per questo motivo che la COP25 non è riuscita a compiere progressi significativi nei piani internazionali per ridurre le emissioni.

La situazione alla COP25 è precipitata l’11 dicembre, quando centinaia di attivisti guidati da giovani indigeni hanno occupato la sala plenaria principale per chiedere ai paesi ricchi di pagare i danni causati dal cambiamento climatico. Una fila di agenti di sicurezza li ha costretti a uscire e ha tolto a molti attivisti i distintivi che permettevano loro di entrare alla conferenza. Il gruppo internazionale sul clima 350.org l’ha definito “un giro di vite con pochi precedenti ai colloqui annuali sul clima dell’ONU”.

Nonostante la delusione della COP25, molti giovani attivisti se ne sono andati con nuove idee su come aumentare la pressione pubblica sugli eletti. Fallahi fa ora parte di una nuova campagna guidata dai giovani per bandire gli inquinatori dalla COP26 del 2020. “Vogliamo che nessun inquinatore sia invitato alla COP26. È ora di cacciarli”. I giovani faranno anche pressione sui funzionari dell’ONU e dei governi nazionali nei preparativi per i colloqui.

Nel frattempo, Zero Hour sta preparando gli ambasciatori dei giovani a tenere presentazioni nelle loro comunità sul Green New Deal. “Stiamo aiutando la gente a capire cosa significa veramente il Green New Deal e l’importanza di votare per i candidati che lo sostengono”, ha detto Andrea Manning, che sta lavorando al progetto.

Un’altra giornata internazionale di scioperi climatici si avvicina in aprile, in occasione del 50° Earth Day – un ulteriore segno che il movimento giovanile non mostra alcun segno di rallentamento. Non dovrebbe essere una sorpresa, perché secondo l’Harvard Political Opinion Project oltre il 70% della Generazione Z vede il cambiamento climatico come un problema, con due terzi che ritengono che sia una crisi e che richieda un’azione urgente.

“Il cambiamento climatico è collegato a tutto”, ha detto Fallahi. Vuole che tutti i giovani si rendano conto dell’importanza di scendere in strada, fare pressione e – per chi è abbastanza grande – votare alle elezioni del 2020. “È collegato alle migrazioni di massa, alla salute e a ogni aspetto della società a cui si può pensare. Non c’è altro modo per dirlo”.

Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid