La stampa e tutti i media oggi danno, in modo insolito per questioni di questo genere, ampia ed esauriente informazione sulla decisione di papa Francesco di abolire il cosiddetto “segreto pontificio” sulle informazioni ed i procedimenti canonici della Chiesa relativi agli abusi sessuali di preti nei confronti di minori. Da troppo tempo ciò era richiesto dalle organizzazioni delle vittime ed anche da alcuni ambienti interni alla struttura ecclesiastica impegnati su questo problema. Ci sono voluti quasi vent’anni da quando è esploso lo scandalo dei preti pedofili perché cadesse un muro, quello che separava quasi del tutto la giurisdizione civile da quella canonica, tutta interna alla Chiesa.

Un grande passo avanti è stato fatto per merito di papa Francesco e di quanti hanno sempre denunciato il privilegio di una giurisdizione, che è in contraddizione con i valori evangelici e con una corretta concezione e pratica della laicità delle istituzioni. Ora i vescovi dovranno consegnare documenti (potrebbero anche darli spontaneamente!) a richiesta delle legittime autorità e la Congregazione per la Difesa della Fede non potrà chiudersi a riccio, come ha sempre fatto, e dovrà rispondere con fatti e testi anche se mediante il passaggio della rogatoria internazionale. Ora la direzione di marcia è stata chiaramente indicata e nello sterminato universo cattolico i presbiteri onesti e tutti gli altri battezzati, uomini e donne, cercheranno di non tacere più per il “buon nome della Chiesa” e si impegneranno a favore delle vittime, fratelli nella fede, le cui sofferenze psicologiche e morali quasi sempre restano per anni o decenni nel profondo del loro vissuto, ben oltre la eventuale condanna dei colpevoli, i processi, le prescrizioni e tante eventuali belle parole.

I vescovi italiani

L’abbondanza degli interventi di oggi si è fermata alle decisioni del papa. Ce ne dispiace. Da sette anni il nostro movimento (ma non da solo!) è intervenuto sulla situazione italiana facendosi portavoce di opinioni, spesso troppo silenziose, delle vittime e di un vasto tessuto di cattolici preoccupati, quasi angosciati, per la perdita di credibilità della loro Chiesa per la linea adottata dalle autorità ecclesiastiche su questa questione. Le nostre posizioni sono sempre state ignorate al vertice dei vescovi ma forse hanno contribuito a creare opinioni nel tessuto di base della nostra Chiesa. Cerchiamo di sintetizzarle (i tanti interventi sono reperibili su <www.noisiamochiesa.org>).

La CEI è andata a rimorchio delle pressioni vaticane ed è in Europa la Conferenza episcopale più ferma ed arretrata nell’affrontare il problema. Si leggano le cosiddette Linee Guida scritte nel 2012, corrette nel 2014 ed infine nel 2019. Si partì dal sostenere in modo esplicito che la situazione italiana era diversa da quella degli altri paesi ma, nello stesso tempo e in modo contradditorio, si continuò a ripetere che non si conoscevano i dati essenziali del fenomeno. E non si è fatto nulla per conoscerli in modo soddisfacente, come è stato fatto per esempio in Germania.

Eppure ci sono le cronache continue sui media, anche se piuttosto contenute, per fatti emersi nei tribunali (senza che mai una volta fossero la conseguenza di denunce dei vescovi!). Non è mai stata programmata una solenne celebrazione collettiva di pentimento (al contrario di quanto è stato fatto nella maggior parte dei paesi europei), niente è stato fatto per le vittime (se non qualche parola di rito) mentre sarebbe necessario concentrare le energie più che sul recupero del prete pedofilo soprattutto sulla condizione delle vittime per troppo tempo invitate al silenzio.

Il quarto comma dell’art.4

I vescovi hanno sempre ben conosciuto il quarto comma dell’art.4 del nuovo Concordato del 1984 che dice che “Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.” Questo privilegio, nella prassi, è diventato un abuso. Ora nelle nuove Linee Guida di maggio si dice che il vescovo ha l’obbligo morale “di procedere all’inoltro dell’esposto all’autorità civile qualora, dopo il sollecito espletamento dell’indagine previa, sia accertata la sussistenza del fumus delicti.” Si tratta di un obbligo non giuridico e dopo aver svolto la cosiddetta “indagine previa” da parte del vescovo, che ha quindi il controllo di tutta la vicenda.

Si può sperare in Italia con una maggioranza di vescovi che, fino ad ora, non si è comportata correttamente ? Stante i precedenti in cui il prete pedofilo è sempre stato nascosto o trasferito da una parrocchia ad un’altra, c’è da credere che l’elemento decisivo per sbloccare la situazione sia quello del magistrato che costringe il vescovo a consegnare i documenti perché non esiste più, ora, il segreto pontificio.

I vescovi stanno ora organizzando strutture diocesane di intervento sul problema ma sono solo proiettate sulla prevenzione e la formazione nei seminari, negli oratori ecc. L’efficacia di queste iniziative non potrà che essere verificata nei tempi medio-lunghi. Niente è previsto per quello che tutto dovrebbe precedere e cioè, lo ripetiamo : la priorità assoluta alle vittime, il riconoscimento delle colpe e delle responsabilità, l’accertamento della situazione del passato e di oggi, la comunicazione da oggi all’autorità civile dei fatti che emergono, l’affidamento ai laici e soprattutto alle donne di occuparsi di ogni questione della pedofilia del clero sottraendola alla gestione clericale.

E le donne abusate?

Un’altra questione incombe sulla Chiesa. E’ stata nascosta da tempo. Qualcuno ne ha parlato a proposito dell’abolizione del segreto pontificio. Le denunce già ci sono e da tempo. Ma la questione è stata insabbiata. Si tratta di abusi e violenze, soprattutto sulle suore, in modo diffuso, dall’Africa ad altre diocesi. Aspettiamo che siano i media e sempre dall’esterno della Chiesa perché il problema sia affrontato? Senza il segreto pontificio si può fare qualcosa subito? Sappiamo che è già un’emergenza.

Noi Siamo Chiesa