Clima: nel rapporto “10 New Insights in Climate Science 2019”, presentato oggi a COP25 e consegnato alla segretaria esecutiva dell’UNFCCC Patricia Espinosa, si legge chiaramente, al primo punto, che il cambiamento climatico è più veloce e potente di quanto avessimo mai previsto: “Il ritmo dell’aumento contemporaneo delle concentrazioni di gas a effetto serra non ha precedenti nella storia del clima negli ultimi 66 milioni di anni e le concentrazioni di metano sono ora a un livello record del 257% dei livelli preindustriali. Un aumento della temperatura globale di 1,5 ° C al di sopra dei livelli preindustriali potrebbe essere raggiunto già nel 2030, anziché nel 2040 come è la proiezione media dell’IPCC”.

Il report- non certo l’unico proveniente dal mondo della ricerca presentato alla conferenza ONU sul clima – è in 10 punti chiave.

Secondo punto: non andiamo per niente bene. “Nonostante i fattori trainanti della riduzione delle emissioni, come la crescita dell’energia verde, le istituzioni che disinvestono dai combustibili fossili e alcuni paesi che eliminano gradualmente il carbone, l’industria fossile è ancora in crescita e i leader globali non si stanno ancora impegnando per i necessari tagli alle emissioni. Non siamo sulla buona strada per raggiungere l’accordo di Parigi”.

Terzo risultato del reporttutte le montagne saranno devastate con danni per tutto il pianeta. “Le montagne sono in prima linea per l’impatto dei cambiamenti climatici. I ghiacciai, la neve, il ghiaccio e il permafrost stanno diminuendo, il che influenzerà la disponibilità di acqua e aumenterà i pericoli naturali come frane e cascate, che potenzialmente colpiscono più di un miliardo di persone in tutto il mondo. Il cambiamento climatico influenzerà anche in modo irreversibile gli ecosistemi montani e la loro biodiversità, riducendo l’area dei punti di crisi della biodiversità, facendo estinguere le specie e compromettendo la capacità delle montagne di fornire servizi ecosistemici chiave. Dobbiamo riconoscere che la conoscenza locale e indigena nelle regioni montane svolge un ruolo chiave nella loro conservazione e gestione”.

Anche le foreste sono minacciate, con conseguenze globali. “Le foreste del mondo sono un importante pozzo di anidride carbonica, assorbendo circa un terzo delle emissioni antropogeniche di anidride carbonica. Gli incendi boschivi causati dall’uomo però hanno ridotto questi pozzi e il cambiamento climatico amplifica globalmente gli incendi boschivi selvatici. L’aumento degli incendi è stato osservato negli Stati Uniti occidentali e in Alaska, Canada, Russia e Australia a causa della prolungata siccità. Enormi emissioni sono state registrate dai cambiamenti nel terreno dell’Etiopia occidentale e dell’Africa tropicale occidentale. La perdita di foreste influenza sia il clima locale che quello globale. Combattere la deforestazione e incoraggiare la riforestazione, insieme alla gestione sostenibile delle foreste e altre soluzioni climatiche naturali, sono opzioni importanti per ridurre le emissioni nette”.

Le condizioni meteorologiche estreme sono la “nuova normalità” nel 2019”, scrivono i ricercatori.  Il cambiamento climatico ci sta costringendo a riconsiderare l’idea che abbiamo di un evento estremo. Ciò che una volta era considerato improbabile o raro – sia in termini di intensità che di frequenza – sta diventando parte di una “nuova normalità”. Gli eventi meteorologici e climatici estremi da record hanno continuato a dominare i titoli nel 2019, con l’impatto di eventi che vanno al di là della semplice registrazione e del danno ambientale: i costi materiali e umani sono particolarmente elevati. Sempre più le società dovranno adattarsi  ad eventi “composti”, che possono amplificare in modo significativo il rischio di gravi impatti, e ad eventi “a cascata”, che non lasciano abbastanza tempo alle società di riprendersi prima che ne arrivi un altro. Gli estremi persistenti delle piogge e le ondate di calore, i modelli meteorologici insoliti dovuti al mutamento del flusso di correnti nell’emisfero settentrionale, così come i mari più caldi e più alti, influenzeranno tutte le regioni del mondo in modi diversi. Una mitigazione ambiziosa può contenere i rischi se manteniamo il riscaldamento a 1,5 ° C, ma a livello regionale verranno comunque raggiunti livelli pericolosi”.

Altra questione, la biodiversità: “la custode della resilienza della terra è minacciata”. “La biodiversità sulla terra, le barriere coralline e le popolazioni ittiche vedranno perdite tra il 14 e il 99 % a un riscaldamento da 1 a 2 ° C”, figuriamoci cosa potrebbe accadere se andassimo oltre. Inoltre, “la biodiversità è una caratteristica chiave degli ecosistemi stabili, fornendo – tra molti altri servizi all’umanità – riserve e pozzi di carbonio e proteggendo in tal modo la resilienza del sistema terrestre contro l’interruzione delle emissioni antropogeniche di carbonio. Pertanto, è urgente fermare il degrado degli ecosistemi”, continuano i ricercatori.

I cambiamenti climatici minacciano la sicurezza alimentare e la salute di centinaia di milioni di persone. “La denutrizione sarà il maggior rischio per la salute a causa dei cambiamenti climatici con il calo della produttività agricola, in particolare nelle zone aride dell’Africa e delle regioni montuose dell’Asia e del Sud America. Inoltre, l’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica ridurrà la qualità nutrizionale della maggior parte delle colture di cereali. I cambiamenti climatici stanno già influenzando la produzione alimentare riducendo i raccolti agricoli, in particolare ai tropici, e aumenteranno perdite e danni in tutto il sistema alimentare. Gli stock ittici globali sono destinati a ridursi ulteriormente con il cambiamento climatico ed è un’ulteriore pressione sulle scorte già in calo di pesci e molluschi, importanti fonti di proteine ​​e sostanze nutritive umane”.

I più poveri e vulnerabili saranno anche i più colpiti dai cambiamenti climatici. “La mancata risposta e relativo mancato adattamento ai cambiamenti climatici avranno conseguenze disastrose per centinaia di milioni di persone, principalmente le più povere, e ostacoleranno lo sviluppo nei paesi in via di sviluppo. Mentre tutti noi saremo colpiti dai cambiamenti climatici, i poveri sono più vulnerabili alla siccità, alluvioni, alte temperature e altri disastri naturali, anche per la loro scarsa capacità di adattamento. Con l’aumentare della frequenza dei pericoli naturali e climatici, sfuggire alla povertà sarà particolarmente difficile”.

Equità e uguaglianza sono fondamentali per mitigare e adattare con successo i cambiamenti climatici. “La giustizia sociale è un fattore importante per la resilienza della società di fronte ai cambiamenti climatici, vitale per la cooperazione sia locale che globale per facilitare la mitigazione e l’adattamento. L’elevata disuguaglianza è stata identificata come un fattore che contribuisce al disastro: l’esaurimento delle risorse ha spinto le civiltà a collassare in passato e minaccia la capacità della nostra attuale civiltà di sopravvivere ai cambiamenti climatici e ad altri cambiamenti ambientali. Il successo della politica climatica dipende anche dall’accettazione sociale, dalla giustizia, dalla correttezza e da un’equa distribuzione dei costi. Si tratta di fattori importanti per il sostegno pubblico alla politica e per evitare pericolosi sentimenti nazionalisti. Potrebbe essere giunto il momento per i punti di svolta sociale sull’azione per il clima”.

I sondaggi dell’opinione pubblica indicano che un numero crescente di cittadini in vari paesi è seriamente preoccupato per i cambiamenti climatici e che le recenti massicce proteste civili si stanno avvicinando alle soglie in cui ci si potrebbe aspettare il “ribaltamento” di alcuni sistemi socioeconomici. Tuttavia, le misure politiche devono accompagnare il cambiamento comportamentale e per soddisfare l’accordo di Parigi sono necessarie trasformazioni profonde e di lungo periodo guidate da una grande varietà di attori”.

A proposito di sondaggi, anche gli italiani sono preoccupati. L’89% degli intervistati del sondaggio del XVII Rapporto “Gli Italiani, il solare e la green economy” fatto da Noto Sondaggi per Fondazione UniVerde, è preoccupato dai cambiamenti climatici, il 79% è convinto che si sta facendo poco per contenere l’aumento delle temperature entro i 2 gradi e solo il 2% crede nell’azione del Governo. Inoltre per il 34% degli italiani a mettere in campo azioni sono associazioni e società civile, seguono scienziati (25%), Università e scuole (8%). Per fermare il cambiamento climatico, la convinzione è che si stia facendo di più nel settore del riuso e riciclo dei materiali (27%) e nella produzione di energia da fonti rinnovabili (24%).

Il nostro primo ministro dice che il governo è in azione: “L’Italia c’è, nella sfida ai cambiamenti climatici”, dichiara Giuseppe Conte: “Noi lavoriamo innanzitutto per rispettare i parametri di riduzione della Co2 così come indicato dall’Accordo di Parigi e per raggiungere gli obiettivi posti dall’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”, dice. Si tratta di “una sensibilità declinata molto puntualmente e in modo molto prospettico nel programma di governo. Va arricchita di contenuti”. Appunto. E di incisività, aggiungiamo noi.

Per Papa Francesco, “la crescente consapevolezza di un intervento sul cambiamento climatico è ancora troppo debole, incapace di rispondere adeguatamente al forte senso di urgenza di mettere in campo rapide azioni richieste dai dati scientifici a nostra disposizione”. Questo il messaggio inviato dal pontefice ai partecipanti a COP25.

Lara Attiani