Si è tenuto oggi il convegno “Discorso d’odio e propaganda elettorale” organizzato da Amnesty International e il Consiglio Nazionale Forense, in occasione dell’insediamento a Strasburgo del nuovo Parlamento europeo.

Nel convegno si è discusso insieme ad esperti e ricercatori dei risultati del monitoraggio sulla presenza del linguaggio d’odio nelle campagne elettorali social dei politici nelle ultime elezioni europee. Nel suo saluto iniziale, il direttore di Amnesty International Italia, Gianni Rufini, ha voluto fare un riferimento al caso della Sea Watch 3 e l’arresto della comandante Carola Rackete.

“Lo stiamo vedendo in diretta, l’odio. Ne stiamo apprezzando l’agghiacciante potenza proprio in questi giorni”, ha dichiarato. “Al secondo posto, dopo i migranti, c’è la solidarietà come bersaglio dell’odio in rete. Fino a qualche anno fa le ong erano la parte migliore della società. Adesso vengono considerate organizzazioni criminali, si parla di taxi del mare, combutta con i trafficanti, e si abolisce la distinzione tra bene e male. La politica si è servita dell’odio incurante del male che causa, ma chiunque conserva ancora un concetto di umanità e ha a cuore i propri diritti e quelli degli altri, deve scendere in campo e impegnarsi per difenderli”.

Martina Chichi, Hate Speech Project Officer di Amnesty International Italia, ha poi presentato i dati raccolti all’interno del rapporto. Dopo aver selezionato oltre 4 milioni di post e commenti e averne valutati 100.000, il risultato è stato che più di 1 contenuto su 10 (il 11,5%) è risultato essere offensivo e/o discriminatorio o contenente hate speech.

I tre temi principali sui quali i politici si esprimono in modo più problematico sono immigrazione (1 post su 5 è offensivo e/o discriminatorio), minoranze religiose e rom (in entrambi i casi 2 post su 5 sono offensivi e/o discriminatori o hate speech). I politici raramente superano i limiti con post problematici, ma riescono a toccare le corde giuste per creare un certo tipo di reazione negli utenti. Le categorie sociali più spesso prese di mira da politici e utenti, infatti, riflettono una tendenza molto simile con migranti, rifugiati e persone con background migratorio tra i gruppi più soggetti a discriminazione, seguiti da singoli individui o gruppi impegnati in attività solidaristica o di tipo umanitario, poi da musulmani, donne e rom.

Oltre il 51% delle interazioni (post, tweet, commenti, condivisioni e like) ricadono sotto Matteo Salvini. Candidati della Lega e di Fratelli d’Italia, insieme, occupano il 75% del discorso online, finendo così per influenzare inevitabilmente il dibattito pubblico.

“Durante l’analisi dei dati raccolti, la parola con la più alta frequenza è risultata essere ‘Salvini’ ”, spiega Federico Faloppa, professore presso l’Università di Reading e consulente Amnesty International Italia sul progetto. “Il linguaggio di tutti coloro che erano coinvolti in questa campagna elettorale era volto a sostenere, discutere o contrastare quello che diceva il Ministro dell’Interno. Questo ha fatto sì che sia stato lui a dettare l’agenda su temi come, appunto, l’immigrazione. ‘Nostro’ è stato invece l’aggettivo più frequente. Nostri porti, confini, donne, comunità. Quello che sorprende però, è che anche chi doveva fare contro-narrazione usava lo stesso linguaggio sovranista”.

Nel clima di costante campagna elettorale che caratterizza il dibattito politico in Italia, l’hate speech è costantemente diffuso e raggiunge picchi di intensità in prossimità degli appuntamenti elettorali. Quelli che un tempo sarebbero stati attacchi alle argomentazioni o alle idee dell’avversario, si sono però trasformati in attacchi alle persone, ai singoli individui.

La co-fondatrice di VOX Diritti, Silvia Brena, ha presentato anche i dati raccolti all’interno dalla Mappa dell’Intolleranza.

“Quando, quattro anni fa, abbiamo iniziato a lavorare al progetto Mappa dell’Intolleranza, l’Italia cui ci trovammo di fronte era profondamente diversa dall’attuale. Gli odiatori via social esistevano, certo, ma erano nascosti, protetti e fortificati dall’anonimato che la Rete garantiva loro. Si accanivano soprattutto contro le donne e contro le persone omosessuali”, ha dichiarato. “Oggi la fotografia che emerge dalla Mappa 4.0 racconta di un’Italia furiosa e rabbiosa, che si accanisce soprattutto contro migranti, ebrei, musulmani. E ancora contro le donne. Una schiera di haters, stavolta tronfi e orgogliosi del proprio odiare, cui una certa politica ha inoculato il veleno della intolleranza”.

“Credo che non sia ancora stato realmente compreso quanto il web e i social media forgino ormai la cultura di un Paese e a maggior ragione dei suoi giovani”, ha dichiarato Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense. “Quelle scritte sui canali social non sono parole in libertà: costituiscono i pilastri di una cultura e di una mentalità improntata all’intolleranza e alla negazione del dialogo, della dialettica costruttiva, che troppo spesso sconfina nel razzismo e in una intolleranza. Per questo è fondamentale mettere subito a punto una strategia per contrastare questa deriva senza affidarsi a inutili censure. Come Consiglio Nazionale Forense sul tema dell’hate speech è impegnato da tempo e ha organizzato, sotto gli auspici della Presidenza Italiana del G7, il G7 delle Avvocature dedicato proprio al linguaggio d’odio”.

Francesco Miraglia, Componente della Commissione Diritti Umani del Consiglio Nazionale Forense, ci ha tenuto a sottolineare che “I diritti umani li ha la singola persona, non lo stato, e se lo stato non riesce a garantire il benessere dell’intera popolazione che rappresenta, non è uno stato democratico, ma oppressivo”.

L’ultimo intervento è stato quello di Antonio Nicita, Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), che proprio quest’anno ha approvato il nuovo regolamento che vuole porre un argine alle espressioni violente o che istigano all’intolleranza sui mezzi di comunicazione, perché il problema non riguarda soltanto i social, ma anche la Tv, la radio e la stampa.

“La vera ipocrisia sta nel fatto che oggi chi attacca il politicamente corretto lo definisce una manifestazione della propria libertà”, ha dichiarato. “L’hate speech si nutre di disinformazione e costruzione di notizie che sono false. Il razzismo si basa su notizie false. Per questo è importante costruire un dibattito pubblico informato”.

 

I dati, pubblicati all’interno del rapporto Barometro dell’odio – Elezioni europee 2019 sono disponibili al link https://www.amnesty.it/cosa-facciamo/elezioni-europee/

 

Per informazioni e interviste:

Ufficio Stampa del progetto Barometro dell’odio di Amnesty International Italia

Sabika Shah Povia, 333 7619223 – sabikasp@gmail.com