La recente condanna di alcuni giovani baschi ad alte pene detentive e le accuse contro politici catalani dimostrano la natura politica della giustizia in Spagna. Il nemico è a sinistra.

All’alba del 15 ottobre 2016, in un bar d’Altsasu (in spagnolo Alsasua), nei Paesi Baschi, al nord della Spagna, ha luogo una rissa tra un gruppo di adolescenti e due agenti della Guardia Civil. Resoconto dei danni: un labbro gonfio e una caviglia rotta. Fin qui niente di strano in un paese come la Spagna in cui solo nel 2016 ci sono stati 9571 scontri tra poliziotti e cittadini, solitamente classificati come resistenza a pubblico ufficiale. Anche nel caso basco fu presentata una denuncia presso le autorità locali.

Ma poi accaddero cose inaspettate: “Ci siamo spaventati quando vedemmo quello che stavano facendo alcuni giornali spagnoli e la televisione col caso in cui i nostri figli erano coinvolti. Hanno detto che la nostra cittadina Altsasu è divisa, che qui gli agenti della Guardia Civil non possono muoversi liberamente senza essere insultati dalla gente. Hanno descritto una situazione di estrema violenza che non ha nulla a che fare con la realtà del luogo. La stampa stava preparando il terreno per quello che accade in seguito”, spiega Bel Bozueta, madre di Adur, che nel frattempo ha compiuto 23 anni, uno degli 8 condannati. L’avvocato di Adur, Jaione Karrera, descrive il corso degli eventi: “Poche settimane dopo la rissa un’organizzazione per le vittime del terrorismo presentò denuncia presso l’Audiencia Nacional di Madrid, l’alta corte di giustizia spagnola che si occupa solo di reati particolarmente gravi, come il terrorismo, e le sentenze comportano sempre pene detentive molto alte”. In realtà, si cerca di collegare i giovani baschi ad un movimento che chiede il ritiro della Guardia Civil dai Paesi Baschi – e di conseguenza, indirettamente, con l’ETA.

Un caso di terrorismo

“Abbiamo affermato più volte che non ci sono mai state prove che qualcuno di questi giovani facesse parte di un simile movimento. Questo tipo di risse accadono ogni fine settimana in tutto il paese, a volte con armi come mazze da baseball, e le conseguenze sono di solito ferite più gravi. Nessuno dei casi è mai arrivato presso un tribunale speciale”, ha affermato l’avvocato. Anche i tribunali competenti dei Paesi Baschi affermano che non vi sono indicazioni di terrorismo e che il caso deve essere giudicato dai tribunali locali. Ma Madrid insiste. La disputa arriva presso la Corte Suprema. Questa non esclude che possa trattarsi di terrorismo e consegna il caso a Carmen Lamela dell’Audiencia Nacional, la stessa giudice che un anno dopo pronuncia la sentenza di detenzione preventiva con l’accusa di ribellione per il candidato alla presidenza del governo catalano, Jordi Sánchez, e il presidente dell’organizzazione catalana Omnium Cultural, Jordi Cuixart.

Le famiglie di Altsasu osservano gli eventi con scetticismo e paura: “La Guardia Civil ha un grande peso e una storia oscura. Li consciamo qui da noi dai tempi dell’ETA, e non è stato bello. Abbiamo visto fin dall’inizio che c’era un interesse politico nel fare del nostro caso un affare molto grosso”, spiega la madre di Adur. Quello che li ha spaventati di più è stato un tweet dell’allora Primo Ministro Spagnolo, Mariano Rajoy, in cui affermava che l’attacco alla Guardia Civil non sarebbe rimasto impunito. All’alba del 14 novembre, agenti di polizia si presentano nella loro casa e portano con sé il figlio. Arrestano anche sette dei suoi amici.

L’accusa è di terrorismo. Il Procuratore generale chiede una condanna da 50 a 61 anni per sette degli accusati, e per una ragazza di 12 anni. “L’indagine è stata molto breve. Presso l’Audencia Nacional hanno interrogato i nostri clienti e sono stati in prigione vicino a Madrid per presunto pericolo di fuga. Tre di loro sono rimasti detenuti fino alla sentenza, 19 mesi, e nelle condizioni speciali che si applicano ai terroristi”, ha detto Jaione Karrera. La madre di Adur descrive cosa ha significato questo per lo studente di pedagogia musicaleche a ll’epoca aveva 21 anni: “Ogni comunicazione era controllata. Non era loro permesso di partecipare alle attività carcerarie. Sono stati sottoposti ai più severi controlli di sicurezza. Abbiamo chiesto un incontro con uno psicologo, perché i primi mesi furono molto difficili per nostro figlio. Era l’agosto 2017, lo psicologo lo ha visto per la prima volta a giugno del 2018. ”

foto di Xabier Perez

Processo ingiusto

L’avvocato di Adur è convinta che il sistema giudiziario sia prevenuto nei confronti dei suoi clienti. “Non si sarebbe arrivato a questa accusa sproporzionata né alla detenzione preventiva se gli imputati non provenissero dai Paesi Baschi. L’intero processo sembrava un anacronismo”. L’ETA gettò le armi nel 2011, e allora gli imputati erano ancora minorenni. “Tutte le nostre argomentazioni sono state respinte. E’ valso solo il rapporto degli agenti della Guardia Civil coinvolti. Non ci fu permesso di presentare alcun documento, o video, e nemmeno delle prove oggettive come una planimetria del bar, per esporre quantomeno una versione diversa rispetto quella dell’accusa”. Inoltre, non fu ammessa nemmeno una delle prove della difesa in relazione alla situazione politica nella cittadina, anche se una parte dell’accusa si basava proprio su questa.

Peggio. Nel febbraio 2017, la difesa apprende che uno dei giudici responsabili è la moglie di un ufficiale della Guardia Civil , decorata con una medaglia della polizia militare. Ciò nonostante, il ricorso di parzialità viene respinto.
Le sentenze pronunciate il 1° giugno sono, di conseguenza, molto severe. L’Audiencia Nacional, per la preoccupazione che il verdetto potesse essere successivamente annullato, libera gli imputati dall’accusa di terrorismo. Tuttavia, i giovani sono condannati per lesioni, disturbo della quiete pubblica e attacco alle autorità. Tre degli imputati ricevono la condanna massima di 13 anni, gli altri 9 anni, e la ragazza 2 anni. La difesa ricorre in appello. Ciò nonostante, pochi giorni dopo la sentenza tutti i condannati vengono arrestati dalla Guardia Civil e incarcerati.

Le famiglie protestano per le condanne sproporzionate e le numerose irregolarità. Migliaia di persone provenienti da altre parti della Spagna vengono nei Paesi Baschi per scendere in piazza con esse. “Non c’era stata nessuna presunzione di innocenza. Fin dall’inizio, c’era sempre stata solo la versione dell’accusa, mai quella della difesa”, afferma l’avvocato Karrera. Inoltre, durante la detenzione preventiva gli imputati furono incarcerati a circa 400 chilometri dalla loro cittadina. Questa tattica di dispersione è praticata da decenni nei confronti dei prigionieri baschi; e dallo scorso autunno viene praticata anche nel caso dei separatisti catalani arrestati. Bel Bozueta, la madre di Adur, vede soprattutto una motivazione politica dietro la sentenza: “La Guardia Civil è un elemento importante dell’unità della Spagna, è considerata un pilastro della nazione spagnola. E nonostante non sia stato possibile mantenere l’accusa di terrorismo, continuiamo a vedere in televisione come si insiste nell’argomentare in questa direzione facendo così che il normale cittadino creda che i nostri figli sono, in un certo modo, dei terroristi. C’è una chiara intenzione dietro i giudizi, ed è la vendetta”. Qui Bel vede un parallelismo con gli attivisti e politici catalani detenuti. In entrambi i casi viene chiaramente dimostrato che non esiste separazione di poteri in Spagna.

Lunga detenzione preventiva

I familiari e gli avvocati catalani lamentano le irregolarità sia per quanto riguarda la detenzione preventiva così come per i vizi procedurali. L’ex ministro degli affari esteri del governo di Puigdemont, Raül Romeva, è detenuto per la seconda volta dopo pochi mesi. A metà giugno la Corte Suprema spagnola ha confermato le accuse contro di lui e altri 14 politici catalani per ribellione e sedizione. Le pene per questi reati sono relativamente di 30 e 12 anni di carcere. “La ribellione in Spagna comporta uso della violenza, ma mio marito non ha nemmeno preso una pietra in mano”, dice Diana Riba, moglie di Romeva. Si lamenta che i membri del governo catalano accusati non hanno avuto il tempo di parlare in modo adeguato con i loro avvocati. Txell Bonet, partner di Jordi Cuixart, in prigione da ormai otto mesi, è convinta che non ci sarà un processo equo. “È come nel caso di Altsasu: chiedono le pene massime per imprigionarli. Forse alla fine non saranno condannati per ribellione, magari la sentenza sarà inferiore a quella dei giovani baschi. Ma saranno condannati, anche se non c’è stata violenza”.

Jaume Alonso-Cuevillas rappresenta alcuni dei politici catalani in esilio, tra cui Carles Puigdemont. Alonso-Cuevillas fa l’avvocato da 35 anni ed è professore di diritto processuale all’Università di Barcellona. “In Spagna, la detenzione preventiva viene generalmente utilizzata in modo sproporzionato come una specie di punizione preliminare. Nei nostri casi è chiaro che si tratta di intimidazione. A nessun basco o canario gli può venire in mente l’idea di emulare i catalani”. Proprio come l’avvocato basca Jaione Karrera, Alonso-Cuevillas è convinto che anche i diritti fondamentali dei suoi clienti siano stati violati. Inoltre, hanno ostacolato la sua difesa: “Ci fu notificato con brevissimo preavviso che gli imputati, la cui accusa di ribellione potrebbe significare 30 anni di prigione in caso di condanna, dovevano presentarsi già il giorno dopo alle 9 a Madrid, quindi a 650 chilometri di distanza. Io ricevetti 150 pagine di documenti ma non era stata allegata nessuna prova”. L’avvocato catalano lamenta anche l’abuso del diritto penale: “Si potrebbe parlare di disobbedienza ma non di ribellione. Certamente il disturbo della quiete pubblica con violenza armata è un crimine ovunque. In Spagna, questo accadde il 23 febbraio 1981 nel tentativo di colpo di stato della Guardia Civil o nel colpo di stato militare di Franco nel 1936. In questo caso, però, non ci fu violenza, bensì un processo democratico. Il problema è che sia l’accusa che la Corte Suprema si considerano vittime. Ed è per questo che non c’è obiettività nel processo”, ritiene Alonso-Cuevillas.

Magistratura conservatrice

Joaquín Urías, ex giudice della Corte costituzionale spagnola e professore di diritto costituzionale presso l’Università di Siviglia, non crede che questi procedimenti contro baschi e catalani siano un problema di mancanza di separazione dei poteri. Tuttavia, condivide l’opinione dell’avvocato catalano sull’obiettività: “In Spagna i giudici non fanno ciò che vuole il governo. Il problema è che i giudici stessi rappresentano un’ideologia determinata. Non è un problema di indipendenza del potere giudiziario, ma della sua neutralità”. Ciò vale soprattutto per le corti supreme della Spagna, dove i giudici sono scelti dallo Stato. Le posizioni conservatrici qui prevalgono. Per Urías, il caso di Altsasu è un esempio caratteristico: “C’è un conflitto tra un poliziotto e un cittadino. Il giudice dà sempre, e sottolineo sempre, la ragione al poliziotto. C’è da aver paura”. A suo parere, in uno Stato democratico il giudice deve proteggere i cittadini dinanzi allo Stato, ma in Spagna i giudici difendono il potere dello Stato dinanzi ai cittadini. “Ogni volta che c’è un conflitto tra un cittadino e un agente di polizia, anche se a commettere il reato sia stato l’agente, i giudici si pronunciano in suo favore”. Così è successo nel caso dello stupro di gruppo, conosciuto come “La Manada”, a Pamplona nel mese di luglio 2016, che ha innescato proteste a livello nazionale perché i giudici hanno riconosciuto abuso sessuale ma non lo stupro e gli imputati sono stati rilasciati per tutto il periodo del processo. Da notare che due degli imputati sono membri uno dell’esercito e l’altro della polizia.

Il costituzionalista vede come causa di tutto ciò innanzitutto la chiamata “Transizione”, periodo di transizione alla democrazia dal 1978 in Spagna. “A differenza della Germania, non ci furono dei cambiamenti nella giustizia dopo la dittatura. Dopo la morte di Franco votammo una nuova Costituzione, ma gli stessi giudici che fino al 1975 avevano applicato le leggi della dittatura, cioè le leggi fasciste, dovevano applicare questa Costituzione. Ecco perché ci vuole molto tempo prima che i diritti e i valori della Costituzione prendano piede nel sistema giudiziario spagnolo”. Un altro problema è radicato nella formazione professionale. “In altri paesi, gli aspiranti giudici praticano con casi veri, assistono, affrontano la vita reale. In Spagna devi studiare per almeno cinque anni e avere abbastanza soldi per pagare un tutor costoso”, spiega Urías. Il background sociale dei giudici è molto omogeneo. Ciò contribuisce parecchio all’orientamento conservatore maggioritario della magistratura spagnola.

Urías vede un altro problema nella legislazione stessa. Il diritto penale spagnolo sta diventando sempre più ideologico. “Non è possibile applicare certe leggi senza che il giudice le interpreti politicamente, non ci sono basi fattuali”, avverte. Un esempio è la “legge per la sicurezza cittadina”, ad esempio nel caso dei ‘reati di odio’. “Recentemente, c’è stato un processo perché il giornalista Antonio Maestre è stato minacciato di morte da un agente di polizia su Twitter. Questo poliziotto ha pagato una multa di 200 euro. Parallelamente, il rapper Valtonyc, che aveva minacciato in una delle sue canzoni un imprenditore di Maiorca, è stato condannato a due anni di carcere – sulla base della stessa legge. Qui si può vedere molto chiaramente che se un poliziotto minaccia un cittadino di sinistra, il giudice dice: ‘Vabbè, non è così grave…’ però se un cittadino di sinistra minaccia un imprenditore di destra finisce in prigione”, spiega Urías.

Foto da: loquesomos.org

Un fascista come vittima

Un altro esempio è il caso di Luis Carrero Blanco, il successore designato di Francisco Franco, ucciso nel 1973 in un attacco dell’ETA. La studentessa Cassandra Vera scrisse una battuta sulla morte di Blanco su Twitter e per questo fu condannata a un anno di prigione. “Il giudice giudicò sulla base dell’articolo 579 del codice penale (“apologia del terrorismo”) che Carrero Blanco era una vittima del terrorismo. È come se qualcuno avesse ucciso Hermann Göring in un attacco in Germania e in seguito Göring fosse riconosciuto come vittima del terrorismo”, dice l’avvocato. Poi, col timore che il “caso Cassandra” non fosse approvato per la Corte di giustizia europea, la Corte Suprema annullò la sentenza nel marzo di quest’anno.

Alonso-Cuevillas pensa che questi casi dimostrano che la giustizia spagnola è imprevedibile, il che indebolisce la fiducia nelle sentenze giudiziarie: “Il sistema giudiziario deve essere prevedibile in una certa misura. Ma in Spagna per casi assolutamente identici le sentenze possono essere completamente diverse”. Qui vede un problema nel codice penale stesso. “Le definizioni vaghe di alcuni tipi di reati permettono fare da piccoli casi uno di grandi dimensioni, come nel caso della sedizione”.

Parallelismo con il caso dell’ETA

Alonso-Cuevillas denuncia una situazione in cui i cittadini restano completamente indifesi dinanzi allo Stato. Se i politici catalani che sono accusati per aver messo in atto un referendum per l’indipendenza venissero condannati si stabilirebbe un precedente, e in futuro qualsiasi manifestazione contro uno sgombero forzato in cui la polizia non possa svolgere il proprio lavoro, potrebbe essere interpretata come sedizione. Crede anche che sia molto preoccupante il fatto che Carlos Lesmes, presidente del Consiglio Generale del Potere Giudiziario, l’organo di governo della magistratura, abbia detto che considera l’unità territoriale dello Stato come uno dei compiti più importanti della giustizia spagnola. “Questo è stato un tentativo di giustificare la violazione dei numerosi diritti fondamentali che stiamo vivendo. La mancanza di garanzie, l’abuso di detenzione preventiva, la sproporzionalità nell’applicazione del diritto penale. Si può notare uno schema simile a quello seguito in passato con l’ETA nei Paesi Baschi. Allora i giudici dicevano che contro l’ETA tutto era giustificato, anche la violazione dei diritti fondamentali. Nel nostro caso, però, non ci sono state vittime”, spiega il catalano.

Joaquín Urías lo riassume in poche parole: “I tribunali spagnoli difendono sempre il potere contro i cittadini anziché difendere i cittadini. Nessun giudice ancora in attivo lo ammetterà pubblicamente. I giudici dovrebbero proteggere i diritti e le persone, non il potere dello Stato. Ma in Spagna facciamo proprio l’opposto”.

 

Traduzione di Eva Mendoza, revisione équipe traduttori Pressenza