Mentre scriviamo mancano ancora i dati definitivi sull’affluenza e non sappiamo quando arriveranno. Anche da questo punto di vista il referendum di Maroni non è stato proprio un successone, ma una serie di considerazioni politiche possono essere già fatte.

Meno del 40% di affluenza (la vittoria bulgara dei sì era scontata) per una battaglia che era stata presentata come una mezza rivoluzione è davvero poca cosa. Se poi guardiamo al numero di votanti, vediamo che equivalgono grosso modo al numero di elettori di Maroni più quelli della candidata presidente del M5S (anzi qualcosina in meno) delle regionali 2013, senza contare che ora anche una parte significativa del Pd lombardo aveva invitato ad andare alla urne. Eppure, Maroni non ne esce con le ossa rotte, bensì come un vincente, sebbene non proprio trionfale. Un po’ perché trainato dal successo annunciato di Zaia, ma soprattutto perché la vera posta in gioco in questo referendum era tutta politica e non certo la questione dell’autonomia.

Dal punto di vista delle possibilità di avere maggiore autonomia e più tasse in Lombardia non cambia assolutamente nulla con questo referendum. La situazione è esattamente quella di prima. Anzitutto perché siamo in scadenza di legislatura e quindi qualsiasi trattativa vera e concreta sarà fatta dal nuovo governo regionale con il nuovo governo nazionale. Ora si farà solo campagna elettorale. In secondo luogo, il modesto dato dell’affluenza non aggiunge nulla in termini di legittimità alla richiesta di attivare l’art. 116 della Costituzione, visto che nel 2013 Maroni fu eletto Presidente in elezioni vere su un programma anche più radicale in termini di richiesta di autonomia (il famoso “75% di tasse devono rimanere in Lombardia”).

Ma poi, appunto, non mosse un dito in direzione dei suoi impegni elettorali.

Eppure, Maroni esce lo stesso bene da questo referendum. Già, perché i veri obiettivi politici della mossa erano due: primo, imporre la proprio iniziativa e il proprio terreno per la campagna elettorale delle regionali che si terranno a primavera e, secondo, dimostrare a suon di milioni di votanti che il partito nazional-sovranista di Salvini deve scendere a patti con i capi del lombardo-veneto. E non si può dire che, da quel punto di vista, la mossa non sia riuscita. Infatti, è il Pd che esce indebolito dalla contesa, perché costretto a rincorrere un terreno e un’iniziativa altrui e perché si è fatto spaccare dal referendum leghista, con una parte che invitava a votare sì e un’altra parte che diceva di astenersi (in realtà c’erano anche esponenti lombardi che invitavano a votare no). E anche nei confronti di Salvini c’è un indubbio rafforzamento di Maroni e Zaia.

Infine, c’è un ultimo dato da sottolineare, cioè la forte e visibile astensione da parte dell’elettorato milanese. C’è sempre stata una differenza tra il capoluogo e il resto della Regione (così come in generale tra capoluoghi e province), ma questa volta emerge in maniera molto più nitida. Ci mancano ancora i numeri definitivi, ma la città metropolitana ha di fatto snobbato il referendum di Maroni, vivendolo come un fatto estraneo. E sappiamo tutti che questo non è dovuto a una poco credibile convinzione “centralista” o “statalista” dei milanesi, ma piuttosto a una sempre più forte tendenza di considerare Milano e l’area metropolitana come un soggetto che deve trattare in autonomia con il governo centrale, senza necessità di passare da una Regione più forte. Non esprimo giudizi, ma è senz’altro un dato su cui ragionare.

E come sempre, alla fine di ogni discorso, arriva il momento della fatidica domanda: “ma la sinistra?”. Già, perché la sinistra anche in questa occasione ha inciso poco e ha determinato poco. Non è nemmeno riuscita ad esprimere una posizione unica, visto che la maggioranza ha optato per l’astensione (posizione che ho condiviso) e che un’altra parte ha deciso di andare a votare no (posizione che rispetto, ma che non ho capito e che continuo a non capire). Ma attenzione, queste mie considerazioni non vogliono essere il solito piagnisteo autolesionista, perché sappiamo tutti che le cose non potevano andare diversamente. I problemi da affrontare e da risolvere a sinistra per poter ricominciare ad incidere sono ben altri e nessuna tattica referendaria avrebbe potuto fungere la pozione magica. Ma era giusto ricordarlo.

Aggiornamento: verso mezzogiorno sono arrivati i dati definitivi dell’affluenza che a livello regionale si attesta al 38,25% (a Milano città è appena sopra il 20%). I risultati vengono pubblicati sul sito dedicato https://referendum.regione.lombardia.it/  (quando e se raggiungibile)