Riproduciamo il documento introduttivo dell’assembrea della Rete della Pace che si scvolgerà presso il Centro Scouts a  Roma, 23/24 settembre 2017

Un compito arduo ci attende, sullo sfondo di una crisi globale che sta mettendo a dura prova la resistenza del nostro pianeta, la convivenza e la prospettiva di un futuro di pace, di benessere e di sicurezza. Obiettivi e mandato che gli stati affidarono all’Organizzazione delle Nazioni Unite ed al diritto internazionale, costruiti dopo i disastri e le tragedie delle due grandi guerre del secolo scorso ma che, purtroppo, sono ancora oggi condizionati dagli interessi e dalle posizioni di rendita degli stati-nazione che ne frenano il ruolo e l’azione.
In un mondo ormai globalizzato ed interdipendente, la dimensione nazionale, sia identitaria che istituzionale, è chiamata ad aprirsi, contaminandosi con altre realtà ed innovandosi, per affrontare le nuove sfide di una società globale, oramai senza più confini economici e commerciali, iper-tecnologizzata e digitale, per consolidare ed estendere l’insieme dei diritti politici, civili, sociali, economici e culturali. Assistiamo, invece, a resistenze e chiusure, a difesa della propria sovranità nazionale o della propria identità culturale, frenando i processi di integrazione, mantenendo disuguaglianze e concentrazione di opportunità e di ricchezze, riproponendo muri e barriere che pensavamo aver lasciato alla storia del secolo scorso. Riemerge quindi l’idea dello straniero-nemico, da cui bisogna difendersi con ogni mezzo, anche sacrificando principi e valori, alimentando un terreno fertile per fenomeni di xenofobia, razzismo e violenza. Si consolida il pensiero ed una visione del mondo, e del futuro, che non esclude più la guerra come possibile strumento di soluzione dei conflitti, ma che, al contrario, si prepara e si contempla nelle politiche, nelle escelte strategiche e negli investimenti di ogni singolo stato, nonostante principi e valori, scolpiti nelle nostre costituzioni, e fonti primarie del diritto internazionale, indichino l’esatto contrario.

Gli esempi non mancano, dalla guerra dell’ex-Jugoslavia ad oggi, con una moltiplicazione di distruzioni e di vittime (la cui stragrande maggioranza sono civili), senza alcuna esperienza che possa riconoscersi in un quadro di democrazia, di giustizia, di libertà e di diritti. Interventi militari, coalizioni, guerre decise fuori dal mandato ONU o missioni militari ONU a tempo indeterminato, senza l’indispensabile accompagnamento politico e dell’applicazione del diritto umanitario e dei diritti umani.

In questo scenario di crisi dell’ideale del sistema universale dei diritti umani, assistiamo su scala nazionale e globale, alla compressione dei diritti umani fondamentali ed alla militarizzazione dei rapporti internazionali. Una tendenza tanto più incomprensibile ed inaccettabile quanto più diventano pressanti emergenze globali, come quella climatica o quella della fame, che certo non possono essere affrontate con le armi e la guerra. Siamo quindi di fronte ad un capovolgimento della ragione e della politica, dove la difesa degli interessi di una parte primeggia sugli interessi di tutte le parti e non il contrario. Un pensiero che rimuove il primato dei diritti e delle libertà inderogabili, per fare spazio ad un pragmatismo che giustifica, e sopporta, violazioni del diritto umanitario ed internazionale, in funzione di interessi particolari, siano questi nuovi mercati o produzioni a basso costo, oppure concessioni per estrarre minerali o garantirsi forniture di risorse energetiche o esportare proprie tecnologie, oppure mantenere una presenza strategica in una determinata regione.
Purtroppo, se osserviamo l’andamento della spesa militare, a livello nazionale come a quello globale, troviamo solamente conferme a quanto espresso nelle precedenti righe, con chiara preoccupazione. Le spese militari mondiali sono aumentate da 1.001 a 1.700 miliardi di dollari negli ultimi 10 anni (+70%), mentre l’export globale di armi è passato da 24 a 31 miliardi di dollari negli ultimi 8 anni (+30%). La risposta dei governi alle crisi appare essere
prevalentemente di tipo militare.
Anche l’Italia si muove in tal senso, esportando quasi i 2/3 dei propri armamenti ai paesi dell’area “calda” del Medio Oriente e Nord Africa, dotandosi di nuovi sistemi d’arma da attacco (come la portaerei “Trieste” e i bombardieri F35), rifiutando addirittura di partecipare ai negoziati dell’ONU che hanno portato al bando delle armi nucleari nel luglio scorso. L’esecutivo appare ignorare sempre più le prerogative del legislativo, non consultandolo neppure nei casi previsti dalla legge sull’export di armi 185/90 e sottoponendo ipotesi e progetti di spesa militari diversi da quelli poi attuati.
In questo quadro, sarebbe molto importante poter contare con un sistema di informazione responsabile ed indipendente, mentre invece, il sistema dei mass media appare da un lato largamente omologato e dall’altro fortemente lacunoso nell’informazione, come ha dimostrato, tra l’altro, la recente campagna diffamatoria contro l’intervento umanitario, per salvare le vite di chi fugge da miseria, povertà e guerre, delle ONG nel Mediterraneo, dove
solamente alcuni casi isolati di giornalisti hanno sentito il bisogno di mettersi in discussione andando a vedere e ad ascoltare le voci dei migranti e degli operatori umanitari.
In questo contesto, di cui abbiamo cercato di tracciare alcuni elementi significati e rappresentativi del momento che viviamo, per noi, la sfida e l’impegno per una società ed una cultura nonviolenta, di pace e di convivenza, comincia da casa nostra, da quanto accade in Italia, in Europa, ed in particolare nella regione del Mediterraneo. Regione che da secoli è crocevia di popoli e culture di tre continenti, in grado di condizionare le politiche e l’esistenza dell’intera comunità globale, per la sua collocazione geopolitica, per le sue risorse energetiche, per il suo portato culturale e storico. La conquista di democrazia, rispetto dei diritti umani, integrazione regionale, sviluppo sostenibile in questa regione significherebbe portare la pace nel mondo intero.
Il Mediterraneo, mare nostrum, invece, oggi, sempre più somiglia ad un mare monstrum, un muro d’acqua per migliaia e migliaia di persone che, fuggendo da situazioni di disperazione economica, ambientale e politica, tentano di attraversarlo in cerca di migliore destino. Un mare che separa, che chiude, che diventa frontiera impenetrabile per le persone. E che vive oggi gli enormi costi sociali ed umani di un modello di sviluppo che non è stato in grado di aggredire alla base le cause della povertà e delle diseguaglianze.

Oggi assistiamo pertanto a tre scenari che devono interrogare tutti quanti, ed in particolare noi pacifisti che riteniamo la pace un progetto politico, non esclusivamente mirato alla prevenzione della guerra, ma direttamente connesso alla soluzione delle cause che sono alla radice dell’oppressione e dello sfruttamento, della violazione dei diritti umani e degli sconvolgimenti ambientali.

Un primo scenario è quello della sponda Nord, quella europea, di un’Europa che non sa essere solidale, che criminalizza la solidarietà e respinge essere umani, che fa affari con governi autocratici dell’altra sponda, convinta di poter così combattere le forze del Califfato di turno e del terrorismo, o controllare le proprie frontiere. E che mette in primo piano l’espansione dei propri interessi geopolitici e strategici, dal controllo delle rotte dei migranti al controllo di fonti di approvvigionamento energetico e noncurante dei disastri ambientali e dei cambiamenti climatici in corso. E che nel suo Sud, dall’Italia alla Spagna, alla Grecia è attraversata dagli effetti deleteri delle politiche di aggiustamento e di austerità dell’Unione.

C’è poi la sponda Sud del Mediterraneo, che rappresenta la voce e le richieste delle popolazioni vittime di dittature e guerre, sfruttate ed escluse dal diritto ad una esistenza dignitosa, che dal 2011 ad oggi continua ad essere attraversata da movimenti sociali e nuovi protagonismi, in Egitto come in Tunisia, come in Siria, in Irak, in Palestina e Israele, o in Turchia, in Marocco o in quella Libia oggi oggetto di nuovi appetiti. Uomini e donne che resistono alle politiche scellerate dei propri governanti, che rifiutano la guerra, le occupazioni ed i fondamentalismi. Sono popoli che chiedono il nostro sostegno, per un progetto di “fratellanza mediterranea” che faccia del Mediterraneo e di tutta la regione, uno spazio comune, condiviso, transnazionale di cittadinanza e pace.
Il terzo scenario è dato dal mare, trasformato in una fossa comune di decine di migliaia di esseri umani, una strage continua, che inizia nel deserto sahariano per continuare in mare, e che va fermata, esigendo uno sforzo collettivo , sia sul piano umanitario, ripristinando il primato del dovere di salvare le vite, come su quello della politica, assicurando accoglienza, integrazione e una migrazione sicura e regolare su scala europea, attraverso canali umanitari gestiti dalle Nazioni Unite.
Siamo chiamati, quindi, ad affrontare e ad assumere un compito difficile ma ineludibile, quello di disarmare il contesto politico, sociale, ambientale e culturale della guerra e dell’oppressione, per mettere al centro del nostro agire, e della politica, i diritti universali ed inderogabili per ogni donna e per ogni uomo, senza discriminazione alcuna.
Un compito che ci deve vedere uniti per poter coinvolgere ed attivare l’intera società nell’azione di contrasto e di elaborazione di proposte, a partire da noi stessi:

+ Per contrastare, con i mezzi della democrazia e della legalità, le politiche e l’economia di guerra che producono e si alimentano delle ingiustizie e delle diseguaglianze, che avvallano regimi oppressivi e che fomentano xenofobia e razzismo.

+ Per affermare il dovere inderogabile di accoglienza e di rispetto dei diritti umani nei confronti di uomini e donne costrette a fuggire da povertà, oppressioni, guerre, crisi ambientali, garantendo corridoi umanitari, legalità e sicurezza.

+ Per elaborare proposte alternative di pace e di convivenza, sostenibili ed accessibili ad ogni uomo ed ogni donna del pianeta, senza discriminazione alcuna, ridistribuendo la ricchezza affinché “nessuno resti indietro”.

+ Esigendo, così, dalla politica ed dalle istituzioni, di agire per far diventare i principi ed i valori della nonviolenza, della pacifica convivenza, della solidarietà e della giustizia, l’asse fondante della propria azione.

Una strada che, se saremo in grado di intraprendere, servirà a fare uscire la guerra dalla storia dell’umanità.

In occasione della nostra Assemblea annuale, partendo da questa riflessione e contributo, vorremmo andare oltre, discutendo, scambiando esperienze e mettendo insieme volontà e responsabilità per costruire una agenda comune di lavoro, di impegno e di pace.

Il Coordinamento Nazionale