I soldi producono soldi, ovvero i ricchi diventano sempre più ricchi. Potrebbe essere questa la sintesi del report “Global Wealth 2017: Transforming the Client Experience” pubblicato dal Boston Consulting Group (BCG), una società di consulenza che ha stilato la 17esima edizione del documento sulla ricchezza finanziaria a livello globale.

L’analisi quantitativa conferma che la ricchezza finanziaria privata continua a crescere in tutto il mondo: a livello globale nel 2016 il valore totale di azioni, obbligazioni, depositi e conti bancari corrisponde alla cifra di 166.500 miliardi di dollari. Rispetto al 2015 si tratta di un incremento del 5,3%, mentre l’anno precedente l’aumento era stato del 4,4%. Secondo la proiezione del BCG nel 2021 si dovrebbe raggiungere la quota di 223.100 miliardi di dollari, con una crescita media annua del 6%.

Come era facilmente prevedibile, il maggior aumento della ricchezza si rileva nell’area dell’Asia-Pacifico: nel 2016 l’incremento è stato del 9,5% (nell’anno precedente era stato addirittura del 12,3%), passando da 35 a 38,4 migliaia di miliardi di dollari.

Subito dopo c’è l’America Latina, che è salita da 5 a 5,4 migliaia di miliardi di dollari con un aumento dell’8,7% (nel 2015 +6,3%). Cresce di molto anche la ricchezza nell’area del Medio Oriente e dell’Africa, passando da 7,5 a 8,1 migliaia miliardi di dollari con un incremento dell’8,5% (nel 2015 era stato soltanto dell’1,9%).

L’area del Nord America (comprendente Stati Uniti, Canada e Messico) nel 2016 ha segnato un aumento del 4,5% (nel 2015 +2,0%), accumulando in assoluto la ricchezza maggiore: da 53 a 55,7 migliaia di miliardi di dollari. L’Europa orientale cresce del 4,7% (l’anno precedente +7,2%), passando da 3,4 a 3,6 migliaia di miliardi di dollari. In Europa occidentale la ricchezza è aumentata del 3,2% (nel 2015 +2,4%), salendo da 39,2 a 40,5 migliaia di miliardi di dollari. In coda alla classifica c’è il Giappone, che è cresciuto soltanto dell’1,1% (nel 2015 +1,8%), da 14,7 a 14,9 migliaia di miliardi di dollari.

Dal report del Boston Consulting Group emerge che nel mondo il numero di famiglie milionarie (cioè con una disponibilità mobiliare superiore al milione di dollari) è cresciuto in un anno del 7%, arrivando a circa 17,9 milioni. Si tratta di circa l’1% delle famiglie del pianeta, che detengono il 45% dell’ammontare finanziario totale dei privati.

Una quota rilevante della ricchezza delle famiglie milionarie si trova nei cosiddetti paradisi fiscali. La stima effettuata dagli esperti del BCG è di 10,3 migliaia di miliardi di dollari. Analizzando la geografia dei possessori dei conti offshore, prevale l’area asiatica (compreso il Giappone) con 2,9 migliaia di miliardi, seguita dall’Europa occidentale con 2,6 migliaia di miliardi. Consistente anche la presenza di Medio Oriente e Africa con 1,9 migliaia di miliardi e dell’America Latina con 1,5 migliaia di miliardi. Scarsa la propensione a depositare su questi conti, di norma poco trasparenti, da parte dei ricchi dell’Europa orientale e dell’America settentrionale, con 0,7 migliaia di miliardi per entrambe le zone.

Oltre alla provenienza è interessante verificare la destinazione dei capitali, cioè quali sono le località offshore più gettonate. Al primo posto svetta la classica Svizzera, dove ricchi cittadini stranieri hanno collocato 2,4 migliaia di miliardi di dollari (quasi un quarto del totale della ricchezza dei paradisi fiscali). Altri 2,4 migliaia di miliardi si trovano in paradisi fiscali irlandesi (Dublino) e britannici (comprese le isole del Canale). Seguono Singapore e Hong Kong, che insieme arrivano a 2,0 migliaia di miliardi. I paradisi fiscali di Panama e dei Caraibi totalizzano 1,3 migliaia di miliardi. Le località offshore degli USA custodiscono 0,9 migliaia di miliardi, mentre in Lussemburgo si stimano 0,4 migliaia di miliardi di dollari.

Dalla distribuzione territoriale dei milionari si vede che il 42,5% dei ricchi (7,6 milioni di famiglie) vive nell’America del Nord, mentre il 21,2% (3,8 milioni) sta in Asia come anche in Europa occidentale. Il 6,7% (1,2 milioni di famiglie) abita in Giappone, il 4,5% (0,8 milioni) in Medio Oriente e in Africa, il 2,8% (0,5 milioni) in America Latina e soltanto l’1,1% (0,2 milioni di famiglie) nell’Europa orientale.

Nel gruppo dei ricchi c’è quello dei ricchissimi, cioè le famiglie con un patrimonio finanziario superiore a 100 milioni di dollari: si tratta dell’8% del totale dei milionari, cioè quasi 150 mila famiglie nel mondo. È interessante notare che in percentuale la maggiore concentrazione di super ricchi è nell’Europa orientale con il 19%. Al contrario sono pochissimi in Giappone: soltanto 1 famiglia ricchissima su 100 famiglie ricche.

Osservando i dati dei ricchi suddivisi per nazioni, al primo posto ci sono le famiglie statunitensi, con oltre 7.085 migliaia di milionari. Al secondo posto la Cina con 2.124 migliaia di famiglie e al terzo il Giappone con 1.244. A seguire:  Gran Bretagna con 821, Canada con 485, Germania con 473, Svizzera con 466, Francia con 439 e Taiwan con 370 mila famiglie milionarie.

L’Italia si colloca al decimo posto della classifica con 307 mila ricchi. Nelle mani dell’1,2% delle famiglie italiane si concentra così il 20,9% della ricchezza finanziaria, che in totale è di circa 4,5 migliaia di miliardi di dollari (che corrispondono al doppio del debito pubblico italiano). La stima del Boston Consulting Group è che nel 2021 le famiglie milionarie italiane raggiungeranno quota 433 mila, cioè l’1,6% del totale, mentre la ricchezza a disposizione salirà al 23,9%, superando 5 mila miliardi di dollari.

In conclusione, dal report del BCG emerge che la ricchezza globale è in crescita ad ogni latitudine e in particolare nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. Questo dato è sicuramente positivo, ma è anche evidente che sta aumentando la disuguaglianza, poiché sta salendo la percentuale di risorse detenute da un ristretto numero di famiglie ricche e ricchissime. In fondo sono le due facce del sistema capitalistico, che produce ricchezza ma anche disuguaglianza. Non si tratta soltanto di una teoria: i dati corrispondono in realtà a persone in carne e ossa, che vivono da nababbi o che invece rischiano di morire di fame. Un problema enorme, che pone domande ineludibili al sistema finanziario globale e alle istituzioni mondiali.