In Colombia  è in corso un processo di pace per porre fine a una guerra civile che ha insanguinato il paese per oltre 50 anni, ma non vi è pace sociale.  Quello che sta vivendo attualmente il paese è un’esplosione di conflitti sociali ed economici. Si tratta di  una crisi  che sta mettendo in discussione la stabilità politica dell’oligarchia al governo, ma anche la stessa pace.

La Pace

Alle proteste sociali si aggiunge la crisi provocata dalla sentenza della Corte Costituzionale che pone limiti allo strumento della Via Rapida o Fast Track utilizzato dal governo per approvare leggi che attuano l’ Accordo Finale firmato con le FARC-EP. I parlamentari possono ora modificare le norme, il  che significa che gli accordi non sono più blindati.

Le FARC-EP sono entrate in uno stato di massima allerta e sono in assemblea permanente. Una costituente è la strategia delle FRC-EP per superare la crisi e significa, in pratica, una rinegoziazione degli accordi allo steso tempo dei dialoghi, ancora senza risultati sostanziali tra ELN e governo a Quito, Ecuador.

Non bastasse, c’ è una crescente presenza attiva dei gruppi paramilitari. Per esempio il Clan del Golfo o Urabeños conta con circa 2000 paramilitari armati, e negli ultimi tempi ha messo un atto un plan pistola ( assassinio di forze dell’ordine da parte di sicari a pagamento) che ha causato la morte di una decina di poliziotti. Per non parlare del continuo massacro di leaders sociali, difensori dei diritti umani, circa 180 negli 14 mesi. La minaccia paramilitare ha fatto dichiarare alle FARC-EP che non permetterà che i suoi guerriglieri una volta smobilitati subiscano la stessa sorte dell’UP massacrata negli anni 80. Significativo è che ultimamente siano stati avvicinati 6 comandanti dissidenti che avevano principalmente contestato i tempi di consegna delle armi in presenza della minaccia paramilitare.

Secondo l’Accordo Definitivo tra governo e FARC-EP è stata creata la CNGS ( Comisión Nacional de Garantías de Seguridad) presieduta dal vice presidente Óscar Naranjo con l’obiettivo di sonfiggere il paramilitarismo. La verità e che finora non è stato fatto nulla se non riunioni di routine dove si contano le vittime dei paramilitari senza fare nulla.

Anche i dialoghi di pace tra governo ed ELN non sono privi di ombre, anzi. Tra l’altro è significativa una dichiarazione di Gabino, il capo dell’ELN, nella quale si dubita che un accordo di pace possa essere raggiunto prima delle elezioni del 2018.

Il link con un recente documento dell’ELN che racconta la situazione è il seguente:

http://www.eln-voces.com/index.php/editorial-insu/1078-continuamos-en-la-mesa-de-quito

Gli scioperi

Il cuore degli scontri sociali batte ora nei dipartimenti del Chocó e di Buenaventura nella Costa del Pacifico. Le drammatiche caratteristiche di quelle zone sono povertà estrema, attività minerarie illegali, distruzione dell’ecologia ambientale, paramilitari, corruzione, violazioni dei diritti umani, assenza dello stato. Lo scorso 22 maggio si sono compiuti 13 giorni di sciopero nel Chocó che ha quasi l’80 % degli abitanti con necessità di base insoddisfatte. La protesta riguarda la non adempienza  del governo degli accordi del 2016 che prevedevano la costruzione di un ospedale, migliorare il servizio pubblico di acqua ed energia elettrica, pubblicare una mappa del  Chocó attualizzata, garantire la sicurezza del dipartimento nel quale operano i paramiltari dell’AUC (Autodefensas Gaitanistas de Colombia). A Buenaventura c’è stata la cronaca di uno sciopero annunciato. L’80% della popolazione è povera, il 70% è senza lavoro, quasi il 20% non sa né leggere né scrivere. C’è il tasso di mortaltà più alto della Colombia. Non c’è un ospedale. Il 71% della popolazione ha acqua  da 4 a 8 ore al giorno. Le scuole sono in pessimo stato. Martedì 16 maggio Buenaventura è scesa violentemente in sciopero bloccando il porto con una perdita economica notevole.

La risposta del governo è stata l’intervento della famigerata ESMAD ( Escuadrón Móvil Antidisturbios ). Il bilancio provvisorio è di 80 fermati, 30 feriti e 3 morti. Le richieste della popolazione sono: migliori condizioni di salute e di istruzione, accesso ai servizi pubblici, protezione delle risorse naturali, difesa del territorio, giustizia, attenzione alle vittime della violenza, accesso alla cultura e allo sport. La chiesa cattolica appoggia gli scioperi di Chocó e di Buonaventura,vedi agenzia Fides del 23.05.2017. Mons. Juan Carlos Barreto Barreto, Vescovo della diocesi di Quibdó, parlando con un gruppo di giornalisti il 22 maggio ha detto:  “Ora o mai più! Così pensa la popolazione davanti all’opportunità creatasi di parlare e trattare con le alte autorità dello stato colombiano”.  Il Vescovo ha chiesto al governo di riprendere il dialogo al più presto, sia con Chocó che con Buenaventura, per mettere fine agli  scioperi generali che durano  ormai, nelle due città, da  diversi giorni e  ha sottolineato: “La gente reclama i diritti che sono fondamentali e, se non viene ascoltata per i canali normali, a volte deve essere fatto ricorso alla mobilitazione sociale.  Il Comitato  dello sciopero di Chocó  ha insistito sul fatto che manifesta anche contro i corrotti perché non c’è una chiara consapevolezza che si deve respingere la corruzione a tutti i livelli. Ma questo non significa che la comunità deve pagare e che la si deve privare del necessario”.                                            

 L’ energia degli scioperi, l’appoggio della Chiesa e delle organizzazioni politiche e sociali hanno costretto il presidente della Colombia a scendere a patti. Santos ha ordinato a una commissione di alto livello di cui fanno parte il  Ministro della Vivienda (casa), il Viceministro dell’ Acqua, il Viceministro degli Interni e il Direttore del Plan Pacífico di recarsi nelle città di Quibdó,  Chocó, e Buenaventura per conoscere le necessità di queste comunità. Santos però non ha parlato di trattative e di soluzione dei problemi.

In Colombia vi sono attualmente altri due mobilitazioni con scioperi generali che tengono il governo con l’acqua alla gola. Quella indetta dalla Federazione Colombiana degli Insegnanti, FECODE, che mobilita 350.000 maestri, e quella dei lavoratori pubblici indetta dalla CUT (Central Unitaria de Trabajadores). Entrambi sono a un punto di stallo senza soluzioni, in quanto il governo dichiara di non avere fondi. Nel caso dei lavoratori pubblici la proposta di aumento salariale è stata considerata dal sindacato della CUT ridicola.

Questi scioperi e mobilitazioni sociali e, a un anno dalle elezioni politiche del 2018,  mostrano le drammatiche  tensioni presenti  in Colombia, che sta attraversando una difficile  fase del processo di Pace. Al tempo stesso denunciano  le responsabilità politiche dello Stato e del governo rispetto alla situazione sociale ed economica del paese.