“La violenza era la mia passione. La violenza era mitizzata, ne ero innamorato. Per me l’amore era solo sopraffazione” sono alcune delle riflessioni iniziali di Marco durante la sua testimonianza, cruda, emozionante e commovente, esposta durante il convegno “Sulla pelle delle donne” tenutosi a Roma lo scorso 13 dicembre presso l’associazione culturale Enrico Berlinguer.

Un incontro, promosso dalla Sezione “Luigi Petroselli”, PCI Roma sudest VI-VII Municipio, con un panel di riguardo grazie alla presenza del professore Corrado Pala, dei giornalisti Anna Grazia Concilio (RomaToday) e Vittorio Lussana (Laici.it e Periodico italiano magazine) e a quella del testimonial Mario Babacci e di Stefania Catallo presidente del centro antiviolenza Marie Anne Erize di Tor Bella Monaca e Ambasciatrice del telefono rosa.

Gioco d’azzardo, piccolo crimine, droghe e un’unica reale dipendenza per Marco, quella dalla violenza. Un uomo, un vissuto pesante che s’interseca inevitabilmente e pesantemente con il vivere di tutti coloro che con lui hanno interagito.

Ma poi “Arriva un momento che dici basta” ci racconta Marco. Arriva il giro di boa. Un processo di riabilitazione a se stesso, alla vita e al mondo.

“La grande rivoluzione umana è cambiare se stesso. Il nemico è dentro di noi. Adesso sono a contatto con la mia natura più profonda” conclude Marco Babacci lasciando infine la platea con un sorriso sulle labbra.

Il professore Sala, durante una riflessione di carattere socio-antropologica, ribadisce come l’aggressività sia un segno d’insicurezza e come storicamente l’uomo abbia voluto riempire un vuoto mutando la sua impotenza in potenza fisica.

Non è un miracolo quanto accaduto a Marco, ma il risultato di un processo di riconciliazione con se stesso grazie al quale è riscoperto la medicina dell’amore e dell’accoglienza. Oggi, con grande forza, con coraggio e dignità, Marco è un testimonial, è al servizio di altri uomini e s’impegna ad aiutarli per fare conoscere l’esperienza forte e meravigliosa della trasformazione personale.

“Viviamo nella società dell’intrattenimento, non più quella dell’impegno politico, sociale e culturale. Viviamo la crisi dell’uomo. Il vero amore, che non è possesso, deve essere vissuto come democrazia paritaria” afferma con pertinenza il direttore Vittorio Lussana durante il suo intervento nel quale ha auspicato una modernizzazione laica del nostro paese.

Si deve agire tutti insieme quindi, individualmente e collettivamente, per creare una nuova cultura d’inclusione che possa nutrirsi e alimentarsi di una visione olistica della coesistenza.

La violenza di genere si lancia dunque verso una nuova fase, forse quella più concreta e più decisiva: la responsabilizzazione dell’uomo.

“Non si può continuare a fare una battaglia da sole. Gli uomini devono prendere una posizione. E’ giunto il momento in cui gli uomini dichiarino la loro volontà di combattere il femminicidio”. E’ questa la nuova sfida di Stefania Catallo.

Basta giocare a nascondino. Occorre trasparenza e presa di coscienza. Occorre fare un passo avanti e intraprendere così un processo di consapevolezza che necessariamente troverà la sua maturità nell’assunzione di responsabilità da parte del “maschio” ma che contestualmente dovrà anche attraversare il percorso obbligato della rieducazione culturale e sociale.

E’ per questo che l’impegno personale non può prescindere da un’esposizione sociale. Cosicchè Stefania ha voluto dare maggiore peso a questo nuovo momento di riflessione in materia di violenza di genere, lanciando in anteprima, la campagna #iocimettolafaccia.

Un nuovo respiro che diventa una concreta ventata di speranza per la condizione femminile e contro la violenza di genere.

Abbiamo racchiuso nel breve video qui di seguito le significative testimonianze di Stefania Catallo e di Marco Babacci