Il gigante cieco Orione avanza. La gente ai suoi piedi lo guarda terrorizzata. Sulla sua spalla un uomo giovane gli fa da guida. Sulle nuvole Atena, la dea della saggezza, come un’indicazione del superamento del limite umano attraverso la ricerca spirituale.

Il dipinto preferito dell’antropologo Claude Levi-Strauss era l’”Orione cieco” di Nicolas Poussin. In questo poteva “vedere” la lotta dell’uomo per realizzarsi in armonia con la natura. Egli credeva che le persone potessero «ottenere la saggezza più di quanto pensiamo sia possibile»  (1) e questo succederà solo quando incorporeremo nella scienza, caratterizzata da una prospettiva puramente quantitativa, gli aspetti qualitativi della realtà che esistono nel pensiero mitologico.

La situazione indecente che si verifica sulla terra da secoli con le sue espressioni violente indica che, nonostante lo sviluppo della scienza e la diffusione della cultura, l’uomo sta ancora lottando per liberarsi dalle sue origini istintive, per negare quel peculiare piacere di girovagare nel suo “deserto” seducente, inventando “draghi” e uccidendo “mostri”. La mitologia affronta proprio questo. Sentivamo “il Male” avrebbe potuto scomparire con ‘’incantesimi’’ religiosi o scientifici e invece  è ancora qui. Dilaga incontrollato e ci sorprende mentre si alimenta e alimenta il razzismo, la xenofobia, il fanatismo e il fascismo. È la situazione indecente di ciascuno di noi che non riusciamo a riconoscere e quindi non possiamo affrontare e domare. Perché siamo rimasti sorpresi dalla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti? La storia dimostra che i nostri peggiori incubi si possono ripetere se l’uomo non impara qualcosa dalla sua ombra prima di andare verso la luce.

«I miti dimostrano con chiarezza che nel momento più buio arriva la luce». (2) In questo periodo oscuro della nostra storia umana, è importante tornare ai miti e ri-conoscere la loro importanza rispetto alla forza conoscitiva dell’uomo. Il risveglio dell’esistenza, che non si forma e non è più governata dalle forze animali.

I miti ci portano a un livello di coscienza spirituale e ci insegnano l’interiorità come una verità che libera l’uomo. Non siamo soli in questo percorso. Attraverso i nostri archetipi universali (3) tutta l’umanità si tiene per mano. Così entriamo in contatto con l’estasi dell’esperienza di essere vivi e ci colleghiamo con la nostra forza. «Nella Forza c’era la “luce”, che proveniva da un “centro”» (4). Questo richiede un processo attivo, in cui le nostre esperienze di vita a livello puramente fisico riflettono la nostra personalità e la realtà più interiore.

«Questo è il modo mitologico di essere una persona. Sei la montagna centrale e la montagna centrale è ovunque», dice Campbell. «Questo potrebbe essere interpretato come individualismo puro, se non ci fosse attraverso il mito la consapevolezza che il centro è dentro di te e proprio di fronte a te e all’altra persona.»

Ormai è necessario disobbedire al discorso creato dal potere dominante. Abbiamo la scelta di prendere di nuovo nelle mani il filo che ci porterà fuori dal labirinto. Anche se può sembrare che il vecchio mondo sia stabilito, viviamo in un momento di transizione, in cui il nuovo mondo non è ancora emerso. E dobbiamo scegliere  <<se lasciarci risucchiare da Cariddi… o muoverci verso un mondo nuovo» (5).

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  1. Claude Lévi-Strauss, “Mito e significato”
  2. I riferimenti di J. Campbell sono tratti dal libro “Il potere del mito”.
  3. La natura dell’ inconscio collettivo è universale, super – personale e non individuale. Possiamo immaginare l’inconscio collettivo come la realtà sconosciuta e invisibile insita in tutti e in tutto. In contrasto con l’inconscio personale, la stratificazione più profonda dell’inconscio collettivo è inaccessibile alla coscienza. È vissuta dall’ego come qualcosa di soprannaturale. I suoi contenuti sono chiamati archetipi.
  4. “Il Messaggio di Silo”
  5. Lily Lambrelli, Dieci e una favole per i tempi di crisi e di altri mali, Editions Pataki.

Il titolo di questo articolo riprende quello di una poesia di Theodore Roethke

Traduzione dal greco di Olga Liakaki