Il percorso di lotta dell’Unesco contro le tattiche da bullo di Israele è disseminato di fallimenti. Il mese scorso, però, c’è stata una controtendenza, quando l’Unesco ha adottato due risoluzioni su Gerusalemme. Non solo l’organizzazione respinge le richieste di proprietà di Israele all’interno della città occupata ma, cosa più importante, ha anche ribadito che tutti i tentativi da parte del sedicente stato ebraico di cambiare il carattere demografico e religioso di Gerusalemme sono illegali, nulli e privi di validità.

Naturalmente, ci vorrebbe molto più di una risoluzione dell’Unesco per dissuadere gli israeliani dai loro tentativi di “ebraicizzare” Gerusalemme. Decine di risoluzioni simili sono state approvate in precedenza, tutto inutile. I tempi sono cambiati, però, e un numero crescente di Stati membri non accetta più di essere costretto a sostenere politiche illegali che usurpano i diritti delle altre persone.

Come previsto, il governo Netanyahu ha reagito alla decisione dell’Unesco nell’unico modo che conosce, con capricci diplomatici, minacce politiche e violenza di stato. Incredibilmente ha prodotto, quasi dal nulla, un “papiro unico risalente a 2.700 anni fa”, che dovrebbe essere la prova di un collegamento tra la città di Gerusalemme e il periodo in cui i relativamente poco importanti Re di Israele erano al potere. Questo è stato subito interpretato come semaforo verde per intensificare le attività di scavo sotto la Moschea di Al-Aqsa. Yisrael Hasson, direttore dell’Autorità israeliana per le Antichità, ha annunciato di aver concordato con il governo che diventerà obbligatorio per ogni giovane israeliano partecipare ai lavori di scavo.

In ciò che può solo essere interpretato come rappresaglia per il voto dell’Unesco, Israele ha replicato radendo al suolo una serie di tombe musulmane nello storico cimitero di Bab Al-Rahmeh, a est della Moschea di Al-Aqsa, e issando la bandiera israeliana sulla Chiesa del Santo Sepolcro nella Città Vecchia occupata. Quest’ultimo non è stato solo un atto di sfida nei confronti dell’Unesco, ma anche un insulto per il governo russo, che ha votato a favore delle risoluzioni; la Chiesa ortodossa ha un ruolo importante nella gestione del sito storico.

Anche se dipinti da Israele e dei suoi alleati come “controversi” e “infiammanti”, i voti Unesco non sono affatto una stranezza storica. Già nel dicembre 1930 una commissione internazionale nominata dal governo britannico e approvata dal Consiglio della Società delle Nazioni, guidato da Eliel Lofgren, ex ministro degli Esteri svedese, ha stabilito all’unanimità che:

“Ai musulmani appartiene la proprietà esclusiva, e il diritto esclusivo di proprietà, del muro occidentale, come parte integrante della zona di al-Haram Ash Sharif.”
“Ai musulmani appartengono anche il marciapiede di fronte al muro e l’adiacente Quartiere Maghribi (marocchino)”.
“Gli ebrei devono avere in ogni momento libero accesso al muro a scopo di culto” – secondo disposizioni stabilite.

Le circostanze che hanno portato alla commissione del 1930 erano molto simili a quelli che esistono oggi. Allora furono le pretese sioniste al Muro Occidentale ad aver portato alla rivolta del 1929, in cui più di 133 ebrei e 116 palestinesi sono stati uccisi. Infatti, in una lettera del 30 maggio 1918, il leader sionista Chaim Weizmann scrisse al ministro degli esteri della Gran Bretagna, Arthur Balfour, chiedendo “la consegna del Muro del Pianto come unico [luogo sacro] che … ci è stato lasciato … il nostro più sacro monumento, nella nostra città più sacra, è nelle mani di qualche comunità religiosa Maghreb … ”

L’ultima tornata di disordini a Gerusalemme si è data sulla scia dei reiterati tentativi di Israele di creare nuovi fatti nel contesto del Nobile Santuario di Al-Aqsa. Da ottobre 2015 circa 275 palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione. E’ in questo contesto che le risoluzioni dell’UNESCO sono state redatte e votate.

Benché i voti Unesco segnalino uno sviluppo positivo, non vanno abbastanza lontano da essere considerati come un punto di svolta. Tuttavia, non è una causa persa. Le risoluzioni dell’Unesco potrebbero diventare davvero incisive se l’organizzazione andasse oltre e chiedesse un boicottaggio culturale di Israele a sostegno del movimento globale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni). Questo isolerebbe Israele, proprio come il Sudafrica dell’apartheid fu bandito dalle attività culturali e sportive di tutto il mondo. In parte, il movimento anti-apartheid del Sud Africa ha avuto successo perché è riuscito a sviluppare una coalizione di governi impegnati e di persone in grado di influire sulla politica sia nazionale che internazionale di istituzioni come le Nazioni Unite e le sue agenzie.

Allo stesso modo, il movimento BDS contro l’apartheid israeliano deve stringere analoghe alleanze e assicurarsi il sostegno dei governi del Nord e del Sud del mondo. Alcuni, inevitabilmente, saranno riluttanti e cercheranno anche di fare ostruzionismo (questo si è già visto in Gran Bretagna). Nel lungo periodo, però, dovranno accettare che il corso della storia si sta muovendo verso la restaurazione della legge e dei diritti umani per tutte le persone in e della Palestina.

 

Traduzione dall’inglese di Matilde Mirabella

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