«Di fronte alla morte si aprono domande poco esplorate, anche da chi come noi si propone di costruire una cultura della nonviolenza». Così scriveva Nanni Salio a Giuliano Pontara, all’indomani della morte della sua compagna Daci, in una lettera datata 8 novembre 2015.

Io cerco di stare precisamente al tema proposto:

Rispetto verso se stessi, gli altri, la natura, il presente e il futuro”

 

  1. Rispetto per la vita

Albert Schweitzer (medico, filantropo, musicista, biblista, Premio Nobel per la Pace 1952), 1875-1965, scriveva:

«(…) Il piroscafo procedeva con lentezza, dovevamo affrontare contro corrente le acque del fiume. Inoltre era la stagione delle secche, e dovevamo navigare evitando grossi banchi di sabbia.
Ero seduto su una delle due chiatte che trasportavano la merce. Durante questo viaggio mi ero proposto di riflettere in profondità sulla formazione di una cultura che fosse capace di maggiore energia e profondità etica della nostra. Riempivo un foglio dopo l’altro con frasi slegate, con l’unico scopo di non distogliere la mia concentrazione da questo problema. Ero stanco e disorientato, mi sentivo come se la mia mente fosse paralizzata.
La sera del terzo giorno, al tramonto, ci trovammo nei pressi del villaggio di Igendja, e dovevamo costeggiare un isolotto, in quel tratto di fiume largo oltre un chilometro. Sopra un banco di sabbia, alla nostra sinistra, quattro ippopotami con i loro piccoli si muovevano nella nostra stessa direzione. In quel momento, nonostante la grande stanchezza e lo scoraggiamento, mi venne in mente improvvisamente l’espressione «rispetto per la vita», che, per quanto io sappia, non avevo mai sentito né letto. Mi resi conto immediatamente che questa espressione aveva in sé la soluzione del problema che mi stava assillando. Mi venne in mente che un’ etica che prenda in considerazione soltanto il nostro rapporto con altri esseri umani e un’etica incompiuta e parziale, e perciò non può possedere una piena energia.
Soltanto l’etica del rispetto per la vita ha questa possibilità; essa non ci mette in contatto solo con i nostri simili ma con tutte le creature che si affacciano al nostro orizzonte, e ci dà il compito di occuparci del loro destino, per evitare di recar loro danno, anzi, di esser loro d’ aiuto, per quanto ci sia possibile. Compresi subito con chiarezza che quest’etica, elementare e completa, possedeva una profondità totalmente diversa dall’etica che si occupa soltanto del rapporto fra esseri umani, ed anche una vivacità completamente diversa ed un’energia totalmente nuova».
Fonte: Schweitzer Albert: Rispetto per la vita, Nostro tempo 53, Claudiana, Torino 1994, pag. 15

 

L’unità di tutte le vite è il fondamento di questa intuizione etica di Schweitzer.

Il rispetto (ci insegna chi ne studia l’etimo) è il guardarsi indietro. Si procede, ed è avanti che si guarda, tutta avanti è la nostra attenzione. Ma il rispetto è quel momento di dubbio, di ricerca, di riflessione che ci ferma un attimo. Voltandoci, abbandonando un istante la prospettiva della nostra corsa, del nostro volo, ci si apre tutto ciò che sta dietro, ci si presenta tutto ciò che viene lasciato indietro, quell’enorme cattedrale di sentimento, di pensiero, di valore che non esiste fuori dalle considerazioni del rispetto. (Cfr  http://unaparolaalgiorno.it/significato/R/rispetto ]

Il termine tedesco usato da Schweitzer tradotto con “rispetto” è “Ehrfurcht”, che possiamo rendere meglio con “riverenza, venerazione, timore reverenziale”. Anche l’antico termine biblico “timor di Dio” non significa principalmente timore o paura, ma senso delle proporzioni, intuizione della grandezza e delle qualità del divino in paragone a noi umani.

Non ricordo se Nanni Salio abbia trattato il tema esplicito del rispetto. Ma certamente la sua ricerca per la nonviolenza è rispetto profondo per la vita, per tutto ciò che vive ed esiste, dalla terra agli umani.

L’opposto della nonviolenza, cioè l’offesa, la distruzione, è in sintesi ogni forma di dominio, di annullamento di quella distanza posta tra noi e gli altri che è il rispetto, per non violare lo spazio altrui, la vita altrui. Ogni forma di dominio è violenza, è morte. Abbiamo sentito all’inizio: la domanda di Nanni sulla morte trova il suo primo orientamento nel rispetto e nell’amore per la vita.

 

  1. Rispetto per se stessi

Nanni non professava una religione precisa, se non una attenzione per la spiritualità buddhista, ma aveva un profondo senso della interiorità, come radice personale di ogni azione di pace nonviolenta, di costruttività nelle differenze anche conflittuali.

Citava una parola di Etty Hillesum: «Non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancor più inospitale» (Diario 1941-1943, Adelphi 1985, p. 212; Lettere 1942-1943, Adelphi 1990, p. 51)

E riassumeva il suo impegno in una parola di Gandhi: «Vivere semplicemente per permettere che altri possano semplicemente vivere».

E ancora di Gandhi Nanni amava ricordare questo “talismano”:

«Ti darò un talismano. Ogni volta che sei nel dubbio o quando il tuo io ti sovrasta,fai questa prova: richiama il viso dell’uomo più povero e più debole che puoi avere visto e domandati se il passo che hai in mente di fare sarà di qualche utilità per lui. Ne otterrà qualcosa? Gli restituirà il controllo della sua vita e sul suo destino? In altre parole, condurrà all’autogoverno milioni di persone affamate nel corpo e nello spirito? Allora vedrai i tuoi dubbi e il tuo io dissolversi».

Perché questi orientamenti morali interiori sono “rispetto di se stessi”? Perché sono riforma interiore, autoeducazione, autocritica, sono presa di distanza dall’autogiustificarsi statico, immobile. Sono la riforma di sé prima che critica e riforma degli altri, delle culture, dei sistemi sociali. Come quel detto famoso di Gandhi: «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».

E sono rispetto di sé, perché sono anche fiducia di poter migliorare, imparando dagli esempi migliori di umanità e partecipando ad una crescita morale comune.

 

  1. Rispetto per gli altri, per la natura

La ricerca  della pace nonviolenta – che non è la pace imperiale: «parcere subiectis, debellare superbos» (Eneide VI, 853) – è nella sostanza rispetto per gli umani, per la natura vivente e per l’ambiente della vita.

La nonviolenza, cultura e azione a cui Nanni ha dedicato la vita e tutte le sue capacità, non è soltanto il non fare violenza, non è solo il pacifismo, avversione alla guerra, ma è l’impegno a ridurre e guarire le altre forme della malattia deformante e degradante che è la violenza: 1) le forme di violenza strutturale e 2) quelle di violenza culturale.

1) La violenza strutturale è l’offesa stabilizzata, consolidata, inflitta ai deboli, agli emarginati. È un sistema di non-rispetto per i vinti in una società della competizione esasperata, come se la regola fosse : «chi può faccia, chi non può taccia».  C’è violenza strutturale quando la società non è di soci ma quasi solo di rivali, quando si arriva a dire come la Thatcher: «Non esiste la società, esistono solo gli individui». Kant parlava di «insocievole socievolezza»: è vero, ogni individuo è unico e insostituibile, non è fuso nella collettività, ma ogni individuo è persona, cioè relazione essenziale con le altre persone: «Nessun uomo è un’isola» (Thomas Merton).

In strutture violente non c’è il rispetto per il patrimonio della vita: una «economia che uccide» (papa Francesco), leggi interne o internazionali che legittimano diseguaglianze o non le affrontano, queste sono violenze meno visibili della guerra, ma più profonde e offensive. Oggi l’1% (uno per cento) della popolazione mondiale possiede più risorse che il resto del mondo (rapporto Oxfam 18 gennaio: http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2016/01/Rapporto-Oxfam-Gennaio-2016_-Un-Economia-per-lunopercento). Sessantadue persone possiedono la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone, la metà più povera dell’umanità. Il rispetto per la vita oggi esige che queste violenze globali, vergogna di noi tutti, vengano tolte.

2) Ancora più profonda e grave è la violenza installata nelle culture, nelle mentalità: la teoria per cui  la forza che sopraffà, che vince, è la regina della storia umana, la regolatrice dei rapporti e dei conflitti. Il rispetto per la vita, l’amore per ogni tentativo di vivere e sviluppare il proprio essere, di ogni vivente, ripudia quella violenza culturale e costruisce una concezione del valore di ogni essere, da venerare e difendere. Il rispetto per gli altri è anche critica corretta, argomentata, di ogni azione e concezione violenta. L’indignazione non è odio (testimonia ancora Etty Hillesum, davanti ad uno dei più atroci sistemi violenti, quello nazista). C’è rispetto per gli altri quando si criticano azioni e sistemi distinguendo le persone dalle loro azioni, l’errante dall’errore, cioè dando sempre credito alla possibilità di ogni persona di essere migliore. Non è facile.

Neppure la giustizia può essere violenta: il processo Verità e Riconciliazione in Sudafrica, dopo la fine del regime razzista, ha dimostrato possibile una giustizia riparativa, correttiva, nella quale criminale e vittima possono riconoscersi come esseri umani, guardarsi in faccia,  mettere un termine alla distruttività. La giustizia esclusivamente penale – che cioè infligge una pena, una sofferenza, come se compensasse la sofferenza inflitta alla vittima – dovrà evolvere, nello sviluppo umano, verso forme di riparazione, rieducazione, reinserimento guidato, riconciliazione. Cercare questa crescita di umanità è vero rispetto per gli esseri umani e le loro possibili migliori forme di convivenza. Pensiamo come è avvelenato il nostro linguaggio: si dice “giustiziato” per dire ucciso per condanna a morte, e anche per comune omicidio. Si chiama giustizia la morte. La violenza è nelle menti e nelle lingue.

 

  1. Rispetto per il presente e il futuro

Davanti allo stato presente delle cose, anche con le dolorose immani violenze che soffriamo già solo nel vederle, il rispetto per l’umanità consiste nel non perdere fiducia verso di essa. Nanni Salio è sempre rifuggito dal catastrofismo e dalle teorie della disperazione. Disperare spegne l’impegno, porta alla rassegnazione e alla resa al male della violenza. Non abbiamo certezze di esito felice del nostro impegno, ma sappiamo che ogni sforzo deve essere speso per la causa giusta della nonviolenza positiva. Il futuro è incerto, ma è certo che non c’è futuro se si lascia campo libero alle mentalità e ai sistemi distruttivi.

Nanni Salio, nello scritto Il futuro della nonviolenza, conclude: «Caratteristica saliente della nonviolenza è il suo carattere omeostatico, che consente di ricercare la verità senza distruggere quella dell’avversario, imparando dagli errori, con comportamenti altamente reversibili. Non siamo sicuri di essere nel vero, non sappiamo se il corso d’azioni intrapreso, anche con le migliori intenzioni, produrrà i risultati desiderati, ma utilizziamo una metodologia che consente alla ricerca della verità di dispiegarsi. Questo è l’atteggiamento filosofico ed epistemologico che sta alla base delle procedure della ricerca scientifica per prova ed errore, nella consapevolezza che in campo sociale le sfide sono di vita e di morte, altamente non reversibili».(http://www.reteccp.org/primepage/2016/nonviolenza16/nanni1.html)

Con questa mentalità seriamente scientifica, di avvicinamento continuo alla verità, mai afferrabile in modo assoluto, quindi mai da imporre agli altri, Nanni Salio ha costruito nei decenni quel Centro Studi intitolato a Domenico Sereno Regis, che vale come struttura e organizzazione per collaborare tra varie persone impegnate, per dare continuità al lavoro e non disperderlo, per comporre diversi punti di vista, metodi, cammini verso la pace sulla via della nonviolenza attiva e positiva. È anche una proposta rivolta ai giovani che sentono il bisogno e il diritto dell’umanità alla pace, che realizza la vita di ognuno insieme agli altri.

Noi siamo grati a Nanni.

Enrico Peyretti (Liceo Gioberti, Torino, 7 giugno 2016)