Di Christophe Ventura

Qual è il suo bilancio della “Revolucion ciudadana” (rivoluzione cittadina) in Ecuador? Le dinamiche sono le stesse dell’inizio o possiamo parlare di un rallentamento?

Il bilancio della revolucion ciudadana in Ecuador deve essere analizzato a diversi livelli.
In primo luogo, bisogna osservare i cambiamenti che hanno avuto luogo in questo paese negli ultimi nove anni, dopo la prima elezione di Rafael Correa nel 2006. Da una parte, l’Ecuador è cambiato sul piano economico e sociale, affrontando i due problemi principali, la povertà e le disuguaglianze sociali. Da questo punto di vista, le politiche di investimenti pubblici da parte del governo della revolucion ciudadana e di ridistribuzione della ricchezza hanno dato i propri frutti in un contesto in cui il paese godeva di una ripresa della sue esportazioni sui mercati mondiali, in particolare verso la Cina. Il fondo monetario internazionale (FMI) riconosce, ad esempio, che tra il 2006 e il 2014 la povertà è passata dal 38% al 22,5% della popolazione. A sua volta, il coefficiente di Gini (che misura le disuguaglianze sociali) è passato da 0.54 a 0,47 (più ci si avvicina allo zero e più si tende verso l’uguaglianza). Dopo lo sfascio sociale creato dalle politiche neoliberiste degli anni novanta, il paese si è largamente dotato di nuove ed efficienti infrastrutture, in particolare nei settori trasporti, energia, comunicazione, e così via. Rafael Correa ha innegabilmente permesso l’ammodernamento dell’Ecuador. Il paese ha anche compiuto enormi progressi in materia di istruzione, salute, implementazione di un sistema di protezione sociale e di diritti sociali.
Molti paesi dell’America Latina hanno un problema con la loro struttura fiscale, con poche tasse progressive e numerose imposte indirette che colpiscono direttamente i singoli individui e le famiglie. L’Ecuador è uno dei paesi ad aver sviluppato e applicato una riforma fiscale che ha permesso di implementare sistemi progressivi stabili ed efficaci per garantire le risorse necessarie allo Stato.
Sul piano economico, il paese ha diversificato le proprie partnership a livello globale, attirando investimenti nel primo decennio del secolo, in particolare da paesi emergenti come Cina, India o Corea del sud.
Sul piano democratico e politico, il paese ha proceduto a riprogettare la costituzione attraverso l’Assemblea costituente, ed ha messo in atto una serie di riconoscimenti dei diritti sociali individuali e collettivi del tutto inedita (diritto alla salute, all’istruzione, riconoscimento degli statuti per gli indiani). È un paese che ha ristrutturato il proprio Stato e lo ha decentralizzato. Questo ha fatto in modo che, del milione e mezzo di ecuadoriani emigrati negli anni novanta e poi in particolare tra la fine degli anni 1990 e il 2003, al culmine della crisi economica che aveva devastato il paese prima dell’arrivo di Correa, molti sono tornati a vivere nel loro paese d’origine. È un elemento interessante in un momento in cui la questione migratoria è molto presente nei dibattiti pubblici. In qualche modo, gli “esuli del liberalismo”, come diceva il ministro della cultura e del patrimonio ecuadoriano William Long, recentemente invitato da
Iris in occasione di una riunione a Parigi, sono tornati nel loro paese.
I limiti sono quelli affrontati in questo momento da molti paesi latino-americani. La crisi economica del 2008 e il suo impatto sull’America Latina ci ricordano i punti deboli del modello di sviluppo dell’Ecuador e più in generale dei paesi latino-americani. Oggi, questi paesi soffrono di una contrazione delle loro economie, di un rallentamento se non persino di situazioni di recessione significative. Ecuador mantiene una crescita tra le più stabili in Sud America, ma si trova a scontrarsi, come i suoi vicini, contemporaneamente con il rallentamento della domanda mondiale di materie prime, e conseguente diminuzione dei loro prezzi, e con la rarefazione delle risorse su cui può contare il paese. Si ritrova oggi con meno risorse per sviluppare e attuare le politiche dispiegate finora. Stiamo assistendo ad un rallentamento delle politiche che il paese intendeva sviluppare a lungo termine, soprattutto in materia di istruzione e di formazione di una forza lavoro qualificata e che potrebbero consentirgli di diversificare il proprio modello economico. La disoccupazione e il lavoro sommerso sono di nuovo in aumento. In conclusione, l’Ecuador si trova oggi in difficoltà, più di quanto sia mai stato dopo l’ascesa al potere di Rafael Correa.

I governi progressisti sembrano essere in fase di rallentamento nei diversi paesi della regione. Come è posizionato l’Ecuador in questa ricomposizione politica?

L’Ecuador è uno dei paesi, insieme alla Bolivia, a soffire meno da questa inversione di tendenza economica. La situazione dell’Ecuador è infatti diversa da quella di Venezuela, Brasile o Argentina. Conserva la propria stabilità in un contesto sempre più instabile. Nel 2017 si terranno le elezioni e alcuni segnali indicano che le cose saranno più complicate. Una serie di elezioni locali ha visto la vittoria dell’opposizione politica di Correa, soprattutto nelle città, polmoni politici ed economici. Questo rappresenta un campanello d’allarme per il partito del presidente. Quest’ultimo si trova ad affrontare tutti quei problemi citati in precedenza che portano a manifestazioni politiche. In Ecuador, come altrove, le politiche degli anni precedenti hanno permesso l’emersione o il rafforzamento di una classe media che oggi si dimostra sempre più critica verso il governo. Esige un accesso sempre più importante al consumo e alla mobilità sociale in un momento in cui il governo trova maggiormente difficile rispondere a questa esigenza. Questo governo si trova inoltre sotto il fuoco delle critiche da alcuni settori della sinistra e dei nativi che lo accusano di non aver modificare la matrice del modello di sviluppo economico, da loro ritenuta distruttiva per l’ambiente e le generazioni future, e di mostrarsi autoritario nei confronti della protesta sociale.
Per l’Ecuador, il futuro è incerto, avendo Rafael Correa dichiarato di non volersi ripresentare alle elezioni del 2017. In un paese dove la personalità di Correa ha rappresentato la vita politica negli ultimi dieci anni, si poserà la questione se sarà possibile un rinnovamento, con personalità politiche emergenti in grado di mantenere una leadership e una autorità sufficienti perché questa famiglia politica riunita intorno a Rafael Correa mantenga il potere politico dal prossimo anno. È una questione aperta che attualmente non ha alcuna risposta. Al momento, il partito presidenziale conserva una maggioranza favorevole nell’opinione pubblica in vista delle elezioni del 2017.

Alla luce dei cambiamenti politici in corso in Sud America, quali sono le prospettive dell’Ecuador e le principali sfide da affrontare in futuro?

Le sfide sono molteplici. La prima è riuscire a rendersi autonomi rispetto alla dipendenza dai mercati internazionali, alle esportazioni di materie prime. Ricordiamo che l’Ecuador esporta principalmente banane, gamberi e petrolio. La sfida è sviluppare un’economia dei saperi che produca più valore aggiunto e sia più incentrata sui propri bisogni. Si tratta, in fondo, della stessa sfida affrontata da tutti i paesi dell’America Latina. D’altra parte, il paese deve conservare quanto acquisito dall’arrivo di Correa, cioè la stabilità democratica e politica. Si tratta in effetti del paese che ha sperimentato la maggior instabilità politica nel ciclo precedente che aveva visto un susseguirsi di governi che non portavano a termine il loro mandato, con crisi sociali e permanenti situazioni di agitazioni politiche. In un paese dove oggi la vita politica si ripolarizza tra la destra ecuadoriana e questo governo, la sfida sarà quella di mantenere la propria stabilità in un contesto di turbolenza economica che porrà problemi a breve e a lungo termine se non riesce a sviluppare questa necessaria autonomia. La grande sfida comune tra Ecuador e i paesi della regione è una maggiore integrazione regionale e certamente la costruzione di un mercato interno latino-americano, in modo da potersi liberare parzialmente dai contraccolpi dell’economia mondiale.

Fonte: www.iris-france.org

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia per Pressenza

L’articolo originale può essere letto qui