Il fenomeno dei foreign fighters, termine coniato per indicare i volontari dell’Isis provenienti dall’Europa e non solo, è in grande crescita e preoccupa i governi occidentali.
Gli ultimi dati sono forniti dall’ Istituto Statista di Amburgo, che, anche se concentrato soprattutto nel metter luce sulla polveriera balcanica, rileva 1550 guerriglieri partiti dalla Francia, 700 dalla Germania, 700 dal Regno Unito e 1700 dalla Russia.
È un fenomeno difficile da arginare, viste dimensione ed eterogeneità delle comunità musulmane in tutto il vecchio continente, e l’evanescenza che contraddistingue le cellule del fondamentalismo islamico.
Per poter sconfiggere, o quantomeno arginare il fenomeno bisogna capirne le cause, cioè comprendere cosa porta migliaia di ragazzi francesi, tedeschi, inglesi ad approcciarsi al califfato islamico, partire per il fronte siriano/iracheno o rimanere in patria per portare la guerra anche nei più (apparentemente) sicuri angoli delle nostre città.
Si puntano i riflettori sull’estremismo islamico, sul ruolo di qualche imam invasato che propaganda la jihad in qualche moschea abusiva e non.
Troppo facile così.
Comodo fermasi ad una constatazione (che comunque falsa non è) per fare in modo di individuare le cause in una manciata di persone (che sia un gruppo o una comunità etnico-religiosa) metterle nel mirino e vomitare su di loro le nostre paure, frustrazioni o, nel peggiore dei casi, deliri xenofobi.
Non è abbastanza per capire il fenomeno, bisogna analizzare il problema nella sua dimensione olistica. Andando oltre la superficie.
Bisogna ricordare innanzitutto che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di ragazzi nati e cresciuti in Europa.
(Ciò ci fa capire che ridurre a carta straccia gli accordi di Shengen avrà lo stesso effetto di pulire un piatto con la saliva).
Più precisamente nelle periferie urbane ed esistenziali delle nostre grandi e potenti metropoli.
Vivono in mezzo a noi.
Chiaro è che sono soggetti nati e cresciuti ai margini della società, poco scolarizzati, discriminati, impossibilitati ad uscire dai loro quartieri ghetto per poter ambire ad una vita più dignitosa.
Interni alla società, per nascita ma spinti all’esterno dalla stessa.
Per loro non c’è spazio e non ce ne deve essere.
Osservando casi come quello di jihadi John (da poco eliminato da un drone statunitense in Siria) o dei protagonisti del commando islamista che assaltò il resort sulle coste tunisine ormai qualche mese fa, notiamo come questi fossero dei semplici disadattati, ignoranti, affascinati dalla cultura di strada più che dal Corano, salariati mal retribuiti ecc.
Il problema quindi non nasce ad Aleppo, e neanche a Bengasi; viene dall’interno.
È l’esclusione sociale, quella dei quartieri dormitorio da qualche anno veri e propri centri di diaspora per le più svariate nazionalità.
Zone dove lo stato se si fa sentire è solo per evitare che i problemi raggiungano il salotto cittadino o comunque si diffondano oltre la “zona rossa”, andando a disturbare il sonno dei piccoli borghesi ( vedi “elettorato de panza”) e i selfie di quelle vacche più o meno grasse che chiamiamo turisti (Dio non voglia).
In quartieri come Tor bella Monaca e Montrouge non ci si occupa minimamente di integrazione e scolarizzazione, si opta per tecniche che rendano semplicemente meno virulento il problema, senza veramente combatterlo.
Questa gioventù, povera, depressa, isolata, senza coordinate, va ad approcciarsi all’universo estremista più per anti occidentalismo che per filo islamismo e sopratutto perché in una società (la nostra) senza bussola e identità, morire per qualcosa può sembrare comunque meglio che vivere per nulla.
Come direbbe Foscolo: “A egregie cose il forte animo accedono le urne dei forti”.
Qualcuno spieghi ad Hollande e soci che il bombardamento sul Daesh farà più vittime tra i civili che tra i miliziani e che per evitare il conflitto urbano, dove, comunque vada, finisce sempre male, bisogna che si risolvano prima di tutto i problemi strutturali all’interno di una società, che ogni giorno cambia e che presenta problematiche ed esigenze sempre più particolari.
Il terrorismo di matrice europea si sconfigge principalmente ordinando un “indietro tutta” rispetto ai valori che la società d’oggi propaganda come inamovibili e sacrosanti, e con una rivoluzione delle politiche di welfare.
Affrontare ciò è molto più coraggioso che schierare eserciti (d’élite o di sbandati) in giro per il mondo.