La Croazia ne ha ancora ampie zone contaminate dal conflitto degli anni ’90. Forse anche per questo dal 7 all’11 settembre sarà proprio la città di Dubrovnik ad ospitare la I Conferenza internazionale di revisione del trattato sulle cluster bombs che affronterà l’irrisolto dramma degli ordigni inesplosi. Nel mondo, infatti, c’è ancora chi quotidianamente rimane mutilato a causa di questi ingranaggi di morte sparsi sulla terra dalle tante e troppe guerre del nostro tempo, che continuano così a fare vittime anche quando sono concluse o ormai solo “latenti”.

Tra i paesi più colpiti, ha ricordato la Cluster Munitions Coaltition (Ccm), ci sono Bosnia-Erzegovina, Cambogia, Chad, Iraq e Vietnam. “Il Vietnam in particolare è uno dei paesi più contaminati al mondo con 413.130 tonnellate di sub-munizioni utilizzate dagli Stati Uniti nella guerra che tra il 1965 e il 1973 ha sconvolto il Paese. Le munizioni a grappolo sono state utilizzate in 55 province e città, tra cui Haiphong, Hanoi, Ho Chi Minh City, Hue, e Vinh, ma non esiste una valutazione accurata sul grado di contaminazione”. Altri stati a rischio sono il Laos e il Libano. Il Cile ha recentemente individuato 4 aree con resti di munizioni a grappolo, la Libia è stata aggiunta alla lista dei contaminati in seguito all’uso di munizioni a grappolo da parte delle forze governative nell’aprile 2011. Il Sud Sudan, dal 2006, possiede 750 siti che ospitano resti di “cluster”. Il Sudan possiede almeno 9 aree contaminate con munizioni inesplose, mentre la Siria è infestata da bombe a grappolo per via del conflitto in corso. Le stime sono allarmanti, ma la loro effettiva entità è incalcolabile, “come in Afghanistan dove è ancora difficile capire la reale dimensione dell’inquinato da residui di munizioni a grappolo made in Usa ancora presenti sul territorio”.

Per farci un’idea del problema per il solo Afghanistan basta chiedere ad Emergency, che nel Paese asiatico dal 1999 ha costruito oltre un Centro chirurgico e un Centro di maternità ad Anabah, nella valle del Panshir, un Centro chirurgico a Kabul, un ospedale a Lashkar-gah e una rete di posti di primo soccorso e centri sanitari che hanno curato in 16 anni 4.369.000 persone (dati aggiornati al 31 dicembre 2014) nei soli 3 centri chirurgici del Paese. Molti dei ricoverati erano vittime di mine antipersona e anche di cluster bombs, ordigni simili, ma con delle differenze sostanziali sulle quali sono nati principii e convenzioni internazionali differenti tra loro. Per la Ccm le cluster bombs sono state spesso sottovalutate: “Si è pensato troppo a lungo che fossero meno dannose delle mine, il che è del tutto contrario al vero. Più subdole, vengono gettate senza alcun controllo preciso, uccidono e deturpano in misura maggiore rispetto alle mine”. Un problema quindi estremamente attuale visto che la natura perversa e subdola di bombe a grappolo rende incalcolabile anche l’effettivo numero di morti da esse causate, che è certamente maggiore rispetto alle cifre ufficiali.

Le mine oggi sono considerate armi leggere, vengono trasportate da mezzi militari, posizionate e disseminate da sistemi di spargimento sui territori di guerra, e calpestate quasi sempre e solo da civili. Sono state messe al bando col Trattato di Ottawa nel 1999. Le cluster bombs o bombe a grappolo, invece, sono armi pesanti, vengono sparse indiscriminatamente sui territori di guerra da mezzi aerei o dall’artiglieria e sono state messe bando dal 2010 con la Convenzione di Oslo. I conflitti recenti però ci confermano che “L’eredità degli ordigni inesplosi, tra cui mine e cluster bombs, è lontana dall’essere superata – ha dichiarato Giuseppe Schiavello, direttore nazionale di Ccm – La Conferenza di Duvbronik è quindi attuale ed importante per condannare l’uso di armi, dagli effetti indiscriminati, utilizzate a dispetto del loro bando in diversi scenari di conflitto”. Solo nell’ultimo anno (2014) si sono registrate vittime in oltre 62 paesi. La stragrande maggioranza sono civili e la proporzione di morti, rispetto alle perdite militari, è aumentata negli ultimi anni. I più colpiti sono i bambini (circa il 47% dei civili uccisi) e le donne (morte con una percentuale del 13% sulla popolazione non militare). Il maggior numero di persone uccise si sono registrate, negli ultimi 14 anni, in Laos, Afghanistan, Cambogia, e Colombia.

Di fatto la Convenzione di Oslo è entra in vigore nell’agosto del 2010, ma con solo 30 stati ratificanti e 115 aderenti. L’adesione però non basta: bisogna ratificarlo perché entri in vigore e proibisca per sempre “l’uso, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio di munizioni a grappolo” oltre alla “distruzione di scorte e arsenali, la bonifica di aree contaminate da residui, e l’assistenza alle vittime”. Per questo Dubrovnik, città simbolo dei disastri causati dalle mine, dovrà essere una tappa storica perché ospiterà tutte le forze politiche, istituzionali, sociali impegnate affinché il Trattato sia ratificato da 100 paesi del mondo.

E l’Italia che ruolo avrà? L’Italia è divenuto Stato membro della Convenzione sulle cluster bombs nel marzo 2012, ma al momento i dati sulla distruzione delle cluster stoccate nei nostri arsenali risalgono al 31 dicembre 2014 e rivelano che la loro distruzione non è conclusa, nonostante il Trattato lo preveda come regola base. Possiamo fare di più quindi anche per i territori contaminati sparsi per il mondo. “L’Italia in questi anni – ha concluso Schiavello – grazie anche al fondo istituito con la legge 58/01, è sempre stata a fianco delle popolazioni civili ostaggio di questi problemi; il fondo, legato per l’80% della sua dotazione annuale ai Decreti Missione, andrebbe però stabilizzato”. Ce la faremo?

 

Alessandro Graziadei

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