Di Edgard Morin per Il blog di Edgar Morin(*)

Viviamo in una civiltà nella quale il dominio dell’interesse (personale o materiale), del calcolo (con i numeri che ignorano felicità e infelicità), della quantità (PIL, crescita, statistiche, sondaggi), dell’economia, è diventato prevalente. Certamente esistono molte oasi di vita amorosa, famigliare, fraterna, amichevole, giocosa a testimonianza della forza del voler vivere bene, che la civiltà dell’interesse e del calcolo non potrà mai annullare. Ma queste oasi sono sparse e s’ignorano l’un l’altra. Tuttavia, i sintomi di una civiltà che vorrebbe nascere, una civiltà del buon vivere, benché tuttora sporadici, si vanno manifestando sempre più spesso.

Notiamo, sul piano economico, l’economia sociale e solidale nella quale rinasce lo slancio delle cooperative, il micro-credito, l’economia partecipativa, l’economia circolare, il telelavoro, l’economia ecologica nella produzione di energia, il dis-inquinamento delle città, l’agroecologia sostenuta da Pierre Rabhi e Philippe Desbrosses, che ci indicano la via per l’eliminazione progressiva di un’economia votata al solo profitto.

Dovrebbero essere gradualmente eliminati, sul piano vitale dell’alimentazione, l’agricoltura industrializzata (enormi monocolture che sterilizzano i suoli e la vita animale, forte utilizzatrice di pesticidi e fornitrice di cereali, verdure, frutti standardizzati privi di sapore), l’allevamento industrializzato in campi di concentramento per bovini, ovini, pollame alimentati con rifiuti, ingrassati artificialmente e imbottiti di antibiotici. Ciò porterebbe al contemporaneo avanzamento di una agricoltura e di un allevamento bio o da fattoria che, con il concorso delle attuali conoscenze scientifiche, rivitalizzerebbe e ripopolerebbe le campagne e fornirebbe alla città cibo sano.

Lo sviluppo di filiere corte, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, tramite mercati, AMAP [1], Internet, promuoverà la nostra salute insieme alla simultanea regressione dell’egemonia dei grandi supermercati, delle conserve non artigianali, del surgelato.

Sul piano umano e sociale, la nuova civiltà tenderebbe a ripristinare le solidarietà locali o ad introdurre nuove solidarietà (come la creazione di case di solidarietà nelle piccole città e nei quartieri di grandi città).

Stimolerebbe poi la convivialità, quel bisogno umano primario che la vita razionalizzata, cronometrata, focalizzata all’efficienza per ora inibisce. Ivan Ilitch aveva preconizzato già nel 1970 questo bisogno di nuova civiltà, mentre il movimento convivialista, guidato da Alain Caillé, diffonde il messaggio in Francia e oltre.

È un elemento importante per una riforma esistenziale. Dobbiamo riconquistare il tempo sui nostri ritmi, non più obbedendo alla pressione del cronometro se non parzialmente. Slow food, movimento di base lanciato da Petrini per contrastare il fast food e ripristinare i piaceri del palato, si accompagna ad una riforma della vita che dovrebbe alternare periodi di velocità (che hanno proprietà inebrianti) a periodi di lentezza (che hanno proprietà rilassanti). Ubbidiremo così in successione a due ingiunzioni ben espresse dalla lingua turca: Ayde (andiamo, forza, stimolo), Yawash (delicatamente, con calma).

L’attuale proliferazione di sagre e feste è chiara indicazione della nostra aspirazione ad una vita resa poetica dalla festa e dalla comunione nelle arti, teatro, cinema, danza. Le case della cultura ritrovano sempre più nuova vita..

Le nostre esigenze personali non sono specificamente correlate alla sola nostra sfera della vita. Attraverso le informazioni da stampa, radio, televisione, teniamo, a volte inconsapevolmente, a partecipare al mondo. Ciò di cui dovremmo prendere coscienza è la nostra appartenenza all’umanità, oggi interdipendente e collegata in una comunità di destino planetario. Il cinema, che non è più prodotto esclusivo dell’Occidente, ci permette di vedere film iraniani, coreani, cinesi, filippini, marocchini, africani e, nella partecipazione mentale in questi film, ci fa sentire l’unità e la diversità umana.

La riforma del consumo sarebbe fondamentale nella nuova civiltà. Permetterebbe una scelta informata dei prodotti secondo le loro proprietà effettive e non quelle immaginarie della pubblicità (in particolare per quanto riguarda igiene, bellezza, seduzione, qualità), cosa che a sua volta dovrebbe operare la regressione dell’intossicazione consumistica (compresa quella per l’automobile). Il gusto, il sapore, l’estetica sarebbero da guida al consumo, facendo man mano regredire l’agricoltura industrializzata, il consumo insapore e malsano e di conseguenza il dominio del profitto capitalistico.

Mentre i lavoratori, che sono i reali produttori, hanno perso il loro potere di pressione sulla vita della società, i consumatori, cioè tutti i cittadini, hanno acquisito un potere che, mancando di coscienza collettiva, rimane loro invisibile, ma che potrebbe, una volta illuminato e illuminante, determinare un nuovo orientamento non solo dell’economia (industria, agricoltura, distribuzione) ma delle nostre stesse vite, sempre più conviviali.

D’altra parte, la standardizzazione industriale ha creato, per reazione, un bisogno di artigianalità. La resistenza ai prodotti ad obsolescenza programmata (automobili, frigoriferi, computer, telefoni, calze, calzini, ecc) promuoverebbe un neo-artigianato. Allo stesso tempo il sostegno ai negozi di prossimità ri-umanizzerebbe considerevolmente le nostre città. Tutto questo provocherebbe allo stesso tempo la regressione di quella formidabile forza tecno-economica che spinge all’anonimato, all’assenza di rapporti cordiali con gli altri, spesso nello stesso edificio.

Infine, sarebbe necessaria anche una riforma delle condizioni di lavoro proprio in nome di quella stessa redditività che oggi produce meccanizzazione del comportamento, o persino robotizzazione, burn-out, disoccupazione, cose che hanno di fatto ridotto quella redditività promossa.

Infatti la redditività può essere ottenuta, non con la robotizzazione del comportamento ma attraverso il pieno utilizzo della personalità e della responsabilità dei dipendenti. La riforma dello stato può essere ottenuta non tramite riduzione o aumento degli effettivi ma piuttosto attraverso una minore burocrazia, con maggiore comunicazione tra settori e iniziative, e costanti relazioni in feed-back tra i livelli direttivi e quelli esecutivi.

Infine, la nuova civiltà richiede un’educazione nella quali si insegni la conoscenza complessa che, percependo gli aspetti multipli, a volte contraddittori, di uno stesso fenomeno o individuo, consente una migliore comprensione degli altri e del mondo. Verrebbe insegnata la stessa Comprensione dell’altro, in modo da ridurre quella piaga psichica rappresentata dall’incomprensione, presente all’interno di una stessa famiglia, di uno stesso laboratorio, di uno stesso ufficio. Verrebbero insegnate, inoltre, anche le difficoltà della conoscenza e il suo conseguente permanente rischio di errori e illusioni, e infine verrebbe insegnata la complessità umana. In poche parole, una riforma radicale a tutti i livelli dell’istruzione permetterebbe di insegnare a vivere in modo indipendente, responsabile, solidale, accogliente.

Come pezzi dispersi di un puzzle, i primi fermenti della nuova civiltà operano qui e là per far lievitare questo nuovo impasto. I desideri inconsci di un’altra vita cominciano allora a passare al livello della coscienza. Si vanno creando oasi di convivialità, di vita nuova, a volte grazie ad una amministrazione comunale animata da uno spirito nuovo, come avviene a Grenoble, che sostiene il movimento. In verità la civiltà del buon vivere aspira a nascere, in forme diverse, già con questa etichetta, come in Ecuador che ha un ministero del “buen vivir”.

Piccole primavere in boccio che rischiano la glaciazione o il cataclisma. Prima della guerra, si cercava a livello intellettuale l’idea di una nuova civiltà sotto vari nomi, con gli scritti di Emmanuel Mounier, Robert Aron, Armand Dandieu, Simone Weil.Si cercava di uscire da quell’impotenza che non era stata in grado di evitare la crisi economica, la doppia minaccia del fascismo e del comunismo stalinista, si cercava la terza via. La terza via che venne soffocata sul nascere dalla guerra.

Oggi, si tratta di cambiare via, di sviluppare un nuovo percorso, e ciò nel e per mezzo dello sviluppo della nuova civiltà, già incarnata dalla buona volontà di tante donne e uomini di tutte le età, e che disegna nuove forme nell’oasi di vita. Ma le possenti forze oscure e oscurantiste della barbarie fredda e glaciale del profitto illimitato che dominano la civiltà attuale vanno progredendo ancora più velocemente rispetto alle forze della salvezza, e non sappiamo ancora se queste ultime potranno accelerare e amplificare il proprio sviluppo. Socialismo o barbarie si diceva una volta. Oggi dobbiamo capire l’alternativa: nuova civiltà o barbarie.

(*) Edgar Morin è un sociologo e filosofo francese che definisce il proprio modo di pensare come “costruttivista” affermando: “intendo dire che sto parlando della collaborazione del mondo esterno e del nostro spirito per costruire la realtà”.

El Correo. Parigi, 12 luglio 2015.

Note

[1] Associazione di persone o famiglie intorno a uno o più produttori agricoli

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia per Pressenza