In nome del “segreto d’impresa”, i deputati francesi avevano già in precedenza tentanto inutilmente di limitare la diffusione di informazioni riguardanti le imprese. Una regressione in materia di diritto all’informazione, a scapito dei lavoratori, sindacalisti, giornalisti e ”lanciatori d’allerta”. La questione riemerge ora a livello europeo, con una proposta di direttiva ordita dal piccolo mondo delle lobby di Bruxelles. Il principio è identico: che il segreto sia la regola e l’accesso alle informazioni, l’eccezione. E che l’informazione diventi di proprietà esclusiva delle imprese. Anche a rischio di rimettere in discussione i fondamenti stessi dell’Unione europea e della democrazia.

All’inizio del 2015, la maggioranza socialista ha pensato bene di consacrare nel diritto francese un principio di protezione quasi assoluto del “segreto d’impresa”. Questo progetto, che arriva a prevedere pene detentive e centinaia di migliaia di euro di multa per coloro che divulgano informazioni “vietate”, ha suscitato forte opposizione, in particolare tra i giornalisti (leggere nostro articolo). Le disposizioni previste dai deputati comportavano infatti enormi rischi in quanto a libertà di informazione in materia economica, protezione delle fonti e dei lanciatori di allerta [whistleblower], e diritti dei lavoratori. Il tutto in cambio di vantaggi dubbi, poiché l’arsenale giudiziario esistente contro concorrenza sleale o spionaggio industriale è già ben fornito.

Davanti a tale levata di scudi, il governo francese ha finito per fare marcia indietro. Era la terza volta in pochi anni che, in Francia, un progetto di legge sul segreto d’impresa veniva messo all’ordine del giorno del Parlamento, ogni volta con lo stesso scarso successo. Ma si tratta evidentemente di un argomento che sta a cuore a potenti interessi economici. Infatti, riemerge ora a livello europeo, attraverso una proposta di direttiva presentata dalla Commissione e al momento in fase di discussione al Parlamento.

L’iniziativa è certamente meno apertamente repressiva rispetto al progetto dei socialisti francesi, giacché non vi si fa più menzione di pene detentive. Rimane tuttavia altrettanto pericolosa nelle sue implicazioni finali. Si cerca di consolidare il concetto che la segretezza degli affari debba essere la regola e l’accesso alle informazioni sulla vita delle imprese l’eccezione. Un’eccezione sempre suscettibile di essere rimessa in discussione, con la conseguenza di compromettere tutto l’edificio, per quanto imperfetto, di norme e regolamentazioni su cui è fondata l’Unione europea e dal quale quest’ultima ancora riesce ad estrarre ciò che le resta di legittimità.

Come le lobby sono legge in Europa

Un’indagine congiunta del Corporate Europe Observatory, ONG con sede a Bruxelles, il britannico Bureau of Investigative Journalism e Mediapart [1], solleva il velo sul processo di elaborazione di questo progetto di direttiva sul segreto d’impresa. Sulla base dell’analisi di una massa considerevole di documenti e e-mail [2], l’indagine illustra in modo esemplare tutto il lavoro di pressione delle lobby economiche e il modo in cui riescono a condizionare la legislazione europea.

I protagonisti di questa storia, appartenenti ad un piccolo mondo di studi legali, di associazioni professionali e di imprese di pubbliche relazioni, sono riusciti a creare artificialmente, in pochi anni, il “bisogno” di legiferare in materia di segreto d’impresa, e a ritrovarsi strettamente associati all’elaborazione della direttiva da parte della Commissione. E questo senza che la società civile sia mai stata consultata prima della fase finale della discussione. Una semplificazione in forte contrasto con le difficoltà che devono affrontare deputati o associazioni che cercano di far arrivare a Bruxelles modeste proposte di riforma o di regolamentazione degli attori economici a Bruxelles.

Naturalmente, dietro a questo piccolo mondo, ci sono anche e soprattutto gli interessi delle potenti multinazionali. Una delle forze trainanti di questa campagna lobbistica è un’organizzazione molto discreta, tanto che non ha nemmeno un sito Internet: la Trade Secrets and Innovation Coalition (coalizione per il segreto del business e l’innovazione). Grazie ai documenti resi noti dalla Commissione, sappiamo che tra i suoi membri c’è un piccolo gruppo di multinazionali tra cui Alstom, Michelin, Solvay, Safran, Nestlé, DuPont, General Electric e Intel. “Essenzialmente tutto sembra essere in realtà una faccenda franco-americana”, fa notare Martine Orange nei suoi articoli per Mediapart..Tutti gli altri paesi appaiono molto più distaccati”. Un altro attore chiave: il Consiglio Europeo delle Industrie Chimiche (Cefic), la più importante lobby di Bruxelles, il cui presidente non è altri che il francese Jean-Pierre Clamadieu, CEO di Solvay (gruppo Franco-belga che ha assorbito la Rhodia) e che ha nel suo Consiglio di amministrazione rappresentanti di Total e Arkema oltre ai grandi gruppi del settore chimico tedesco e americano.

Quando l’informazione diventa proprietà esclusiva delle imprese.

Inizialmente, il progetto mirava semplicemente ad armonizzare le legislazioni nazionali vigenti. La maggior parte dei paesi, Francia compresa, dispongono degli strumenti giuridici per combattere lo spionaggio industriale, nel contesto del diritto relativo alla concorrenza sleale. Cosa che ha il vantaggio di limitare sul nascere i tentativi di perseguire il cerchio dei concorrenti commerciali di una società. La dimostrazione di forza delle lobby sta nell’essere riuscite a convincere la Commissione della necessità di portare la tutela dei segreti commerciali sotto un regime giuridico paragonabile a quello della proprietà intellettuale. [3] Di modo che chiunque, sia esso dipendente, sindacalista, militante di un’organizzazione, giornalista, lanciatore d’allerta, potrebbe vedersi perseguito per legge se dovesse rivelare o venire a conoscenza di una informazione che l’impresa interessata ritiene di valore commerciale.

L’aspetto più preoccupante del progetto di direttiva europea attualmente in discussione al Parlamento è proprio il fatto che non comprende alcuna vera definizione del segreto d’impresa. Ciò le permette così di coprire in un sol colpo tutte le informazioni, di qualsiasi natura esse siano e senza limitazioni a prioriIl segreto d’impresa appare come lo strumento perfetto per la protezione della proprietà intellettuale in quanto non c’è nessuna limitazione generale per i soggetti interessati’, sintetizza uno degli avvocati incaricati di seguire il lavoro della Commissione. Un elenco suggerito dal Consiglio europeo dell’industria chimica (Cefic) illustra la portata delle informazioni potenzialmente rilevanti: la composizione di un prodotto, ma anche relazioni e analisi, rapporti della ricerca, «il grado di purezza, l’identità di impurità e additivi», i software, i dati su venditori e distributori, i clienti [4]… Le prime vittime di questa volontà di accaparramento sono i dipendenti stessi, il cui lavoro, l’esperienza, le reti di conoscenza sono ridotti allo status di vettori di informazioni aziendali esclusive appartenenti al loro datore di lavoro.

Normative europee sotto attacco sin dalle fondamenta

Il progetto di direttiva, inoltre, non prevede esplicitamente né i limiti del segreto d’impresa né un sistema di arbitraggio tra le esigenze delle imprese e le libertà fondamentali dei cittadini europei, il diritto alla mobilità dei dipendenti o le esigenze di trasparenza e di regolamentazione. Si trovano pertanto ad essere minacciati interi segmenti della legislazione europea in settori quali salute, sicurezza alimentare, ambiente, tutela dei consumatori. Persino i contratti di appalto pubblici, che pure concernano il denaro dei contribuenti, verrebbero coperti. [5]!

Tutto verrebbe deciso caso per caso, all’interno delle istituzioni europee o davanti ai tribunali. Nei documenti presentati alla Commissione, il Cefic non nasconde il desiderio di vedere così ridotti ai minimi termini gli obblighi di divulgazione al momento di presentare richieste di autorizzazioni presso le agenzie dell’Unione europea. Domani, informazioni riguardanti l’impatto ambientale o sanitario di un farmaco, di un alimento, di una sostanza chimica commercializzati da una multinazionale potrebbero rimanere nascoste allo sguardo del pubblico, dei ricercatori e della società civile a causa del loro valore commerciale?

Preservare la trasparenza delle informazioni sanitarie e ambientali?

Il diritto alle informazioni economiche e la protezione dei lanciatori di allerta sono già precari, specialmente in Francia. Potrebbero ritrovarsi ulteriormente indeboliti. L’ampiezza delle conseguenze potenziali del progetto di direttiva spiega perché questo progetto è riuscito a suscitare una mobilitazione senza precedenti, coinvolgendo sindacati, ambientalisti, difensori della libertà di espressione e dei lanciatori di allerta, militanti a difesa della salute, dell’alimentazione e dei consumatori. Un appello congiunto circola dal dicembre 2014, al quale si unisce ora una petizione online (StopTradeSecrets.eu).

Questa mobilitazione comincia a dare i suoi frutti dal momento che, nonostante la continua attività di lobbying da parte delle imprese, i deputati hanno introdotto diversi emendamenti che limitano fortemente l’ambito di applicazione della direttiva. La trasparenza delle informazioni sanitarie e ambientali potrebbero essere così salvaguardate, la protezione dei lanciatori d’allerta preservata, e le possibilità di azioni giudiziarie fortemente limitate. Questi emendamenti, tuttavia, devono ancora essere adottati formalmente, giacché il voto finale del Parlamento dovrebbe avvenire in autunno. Molti osservatori si chiedono se questo progetto di direttiva sia veramente “riformabile” o se non sia lo stesso principio, la consolidazione della tesi del segreto d’impresa come categoria opponibile a qualsiasi obbligo di trasparenza, a dover essere rifiutato, salvo esporsi a gravi minacce future.

Rimessa in discussione e inversione storica

La presenza degli interessi americani nel cuore del processo di sviluppo della direttiva dimostra che la faccenda va in realtà ben oltre la difesa della competitività e dell’innovazione europee nei confronti dello spionaggio industriale. Non è, in realtà, dissociabile dai negoziati per l’accordo di scambio TAFTA tra Europa e Stati Uniti [6]. L’obiettivo esplicito degli industriali è integrare il segreto d’impresa, se adottato in Europa, all’interno del TAFTA, in modo che sia così ulteriormente rafforzato grazie alla possibilità di ricorrere a tribunali arbitrali privati per proteggere i loro interessi. Diversamente dall’immagine di Epinal, che vede nel “grande mercato transatlantico” un’invasione dell’Europa da parte delle multinazionali americane, assistiamo piuttosto ad una offensiva concertata dei grandi gruppi europei e americani per rimettere in discussione i principi stessi sui quali si sono costruiti diversi decenni di normative sociali, ambientali o sanitarie.

Allineandosi con gli interessi dei grandi gruppi, la Commissione e i governi del continente si assumono il rischio di lasciare erodere i valori fondamentali della costruzione europea, vale a dire la prevalenza dei diritti fondamentali, gli standard di trasparenza e la regolamentazione in materia di salute e ambiente. Una inversione storica alla quale contribuisce anche, per esempio, il programma di “ottimizzazione” delle normative europee che presto la Commissione annuncerà. Secondo recenti fughe di notizie, questo programma potrebbe includere l’istituzione di un comitato di sei membri, di cui tre “esterni alle istituzioni europee (traduzione: provenienti dal settore economico)”, incaricato di verificare che i nuovi regolamenti non rappresentino un onere eccessivo per le imprese e dotato di un diritto di veto [7]…

Il colpo di stato delle multinazionali

In tutti questi casi, l’obiettivo finale sembra andare ben oltre la ridiscussione di questa o di quella norma. La questione è più fondamentale: si tratta di dare agli interessi economici una legittimità giuridica equivalente o maggiore di quella dei diritti fondamentali e delle autorità pubbliche. Attraverso il segreto d’impresa, i tribunali arbitrali privati o ancora la concessione del diritto di controllo su ogni nuova regolamentazione, le multinazionali cercano, in buona sostanza, di dotarsi di una sovranità implicita. Portando questa logica alle estreme conseguenze, questo si chiama colpo di stato. Non si può fare a meno di essere addolorati nel vedere la Commissione europea, come prima di lei i socialisti francesi, prestarsi così allegramente a tale manovra.

Di Olivier Petitjean

Note

[1Leggere qui e qui gli articoli di Mediapart (accesso su abbonamento), qui il rapporto del Corporate Europe Observatory e qui l’articolo del Bureau of Investigative Journalism (entrambi in inglese).

[2] Ottenuto su richiesta formale di divulgazione presso la Commissione europea

[3] Cosa che sono riusciti a fare basandosi su un numero molto ridotto di esempi, come era successo per il disegno di legge francese all’inizio dell’anno, come sottolinea anche Martine Orange: “ Cosa ancora più sorprendente: mentre la violazione del segreto d’impresa è considerata essere una minaccia crescente per le aziende, e si sostiene che gli illeciti si moltiplicherebbero in modo esponenziale, sono sempre gli stessi casi, quattro in tutto, ad essere citati, da un colloquio ad un incontro, dai documenti preparatori ai comunicati ufficiali, tra il 2011 e il 2014. Casi che, tra l’altro, sono già contemplati dalla legislazione esistente su furto, spionaggio industriale o protezione della proprietà intellettuale. (…) Quindi, la direttiva europea sul segreto d’impresa è stata costruita partendo da cinque marchi: DuPont de Nemours, Air Liquide, Alstom, Michelin, Intel e un’azienda innovativa, AMSC”. A sua volta, il Bureau of Investigative Journalism dichiara di aver chiesto al Cefic di citare un solo esempio di furto di informazioni aziendali riservate all’interno di una procedura di autorizzazione per l’immissione sul mercato di un prodotto, cosa che il Cefic non è stato in grado di fare.

[4] La lista completa: ”piani e strategie di ricerca e sviluppo; rapporti ed analisi, registri di ricerca; piani commerciali e progetti pilota; dati operativi, concetti e progetti di nuovi prodotti, il design di un prodotto o di un processo, la formulazione o la composizione di un prodotto; metodi di produzione e applicazione delle conoscenze; i disegni progettuali di produzione industriale e dei processi; le analisi metodologiche; i metodi di analisi per le impurità, lo strumento industriale, il grado di purezza e l’identità di impurità e additivi, i piani strategici, i business plan, gli strumenti informatici, i software, i dati su distributori, venditori, clienti, informazioni sulle vendite»

[5] Inoltre, si ricorda che ciò è già è in essere in Francia per quanto riguarda i cosiddetti contratti di “partenariato pubblico-privato” (PPP). Ad esempio, lo stato francese ha accettato di versare al consorzio Ecomouv quasi 1 miliardo di euro a titolo di compensazione per l’abbandono dell’ecotassa, senza che il contratto sia mai stato reso pubblico…

[6] Una similare azione di lobbying d’altronde è in corso negli Stati Uniti, con in parte gli stessi attori.

[7Leggere qui e qui.

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia per Pressenza