Quando, nel 1973, un golpe politico-militare messo in atto da pezzi della gerarchia militare, orchestrato dalla CIA e dal Dipartimento di Stato e sostenuto da ampia parte della borghesia compradora e dall’oligarchia locale, sconfisse la resistenza di Salvador Allende e pose fine alle speranze alimentate dal governo di Unità Popolare e dall’orientamento al socialismo del Cile dell’epoca, la sensazione fu gigantesca.

Mobilitazioni internazionali, campagne di solidarietà messe in campo da partiti socialisti e comunisti (anche in Italia e alle più varie latitudini) e certo, insieme con queste, alla metà degli anni Settanta, l’impressione che le oligarchie e l’imperialismo l’avevano avuta vinta ed una più ampia unità popolare basata su un rinnovato blocco sociale andava ricostituita. Una vittoria temporanea ed un processo da rigenerare. Per ora.

Certo, erano quelli gli anni della ridefinizione su scala internazionale del conflitto di classe e della rinnovata contrapposizione ideologica, di una nuova strategia eversiva e golpista da parte del Dipartimento di Stato, del “Plan Condor” e della “dottrina Breznev”, insomma, degli avamposti della concatenazione tra liberismo e imperialismo e della concreta separazione del mondo per blocchi contrapposti e aree di influenza. La luminosa resistenza di Cuba socialista e il crollo delle pretese statunitensi in quella che era stata l’aggressione yankee al Vietnam segnalavano, tuttavia, l’esistenza di visioni e di tendenze altre, di popoli che non rinunciavano alla prospettiva della propria emancipazione e che liberamente perseguivano ragioni nuove e rinnovate ispirazioni nella loro avanzata verso la democrazia e il socialismo. Per ora.

Oggi, a quarant’anni e passa di distanza, il copione minaccia di ripetersi qualche migliaio di chilometri più in là. Anche qui si tratta di una transizione al socialismo, del percorso di costruzione di un’alternativa ispirata ai valori della giustizia sociale, dell’uguaglianza e dell’emancipazione; anche qui monta e diventa sempre più attiva l’iniziativa eversiva di quella borghesia legata al capitale euro-atlantico (che una volta si chiamava compradora) e dei suoi padrini e ispiratori politici e militari (che ancora oggi prendono il nome di CIA e Dipartimento di Stato). Certo, il contesto e lo scenario sono diversi, il socialismo non si concepisce più “in un solo paese” e altri attori animano la scena, le forze della società civile trans-nazionale e gli interessi neo-imperialistici della UE. Caracas è oggi l’epicentro delle trame eversive. Per ora.

Tra inchieste di giornalisti indipendenti e operazioni della polizia locale, solo negli ultimi mesi il mercato nero scambia il dollaro a 180 bolivares, quando il tasso ufficiale di cambio è di 1 contro 6, o giù di lì; sui siti della contro-informazione golpista, le cifre che vengono date e i parametri di cambio che vengono offerti non sono quelli legali, ma quelli illegali del cambio clandestino; si susseguono le requisizioni di ingenti quantitativi di alimenti sequestrati per svuotare i negozi, incrementare la campagna sulla “penuria di generi di prima necessità” e diffondere il panico tra le persone in coda ai negozi; qualcuno che ha interesse a farlo organizza i camion per il sequestro dei beni (8 ton. di caffè sottratte nello Stato di Zulia) e i camion per ingrossare le code agli sportelli (un po’ di inchieste giornalistiche al riguardo). Certo, per ora.

Dieci anni dopo il golpe in Cile e l’esordio della giunta Pinochet, un gruppo di ufficiali delle forze armate venezuelane fonda, il 24 luglio 1983, il Movimento Bolivariano Rivoluzionario MBR 200, ispirato agli ideali delle “tre radici”, Simon Bolivar, Simon Rodriguez e Ezequiel Zamora, con un orizzonte politico chiaramente alternativo a quello del consociativismo predatorio del regime venezuelano dell’epoca: sovranità ed emancipazione nazionale, pedagogia liberatrice e creatrice, difesa del popolo, dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni. L’insurrezione civico-militare del 4 febbraio 1992 fallisce, ma aggrega un consenso popolare su cui sarebbe maturata l’esperienza bolivariana e la leadership politico-militare di Hugo Chavez. Sarebbe stato necessario un ulteriore accumulo di forze; nel 1992i tempi non erano ancora maturi. “Per ora”, disse Chavez, per la prima volta di fronte alle telecamere e a milioni di venezuelani e venezuelane.

Nel Venezuela di oggi, sedici anni dopo l’esordio del bolivarismo al potere e l’innesco della trasformazione in senso socialista della società venezuelana (1999), personaggi che sembrano usciti dal Sudamerica della guerra fredda vorrebbero portare l’America Latina indietro di quarant’anni. La notizia del giorno non è quella che a tre ex capi di stato viene negato dalle autorità venezuelane l’accesso alle prigioni del paese, ma quella che a parlare, su invito della opposizione golpista, di “democrazia e diritti umani” a Caracas vengano chiamati “campioni” del calibro di Andres Pastrana (Colombia), Felipe Calderon (Messico) e Sebastian Piñera (Cile). Di quest’ultimo, sono acclarate le simpatie e le collusioni con il regime sanguinario di Augusto Pinochet all’epoca del golpe cileno e della giunta del 1973. Sono ombre del passato, questi vecchi campioni e i loro giovani accoliti dell’eversione e del golpismo. “Per ora” e per il domani, non riusciranno a portare indietro di quarant’anni il corso della storia e delle conquiste sociali del Venezuela e dell’America Latina.

Di questo, nel contesto dello scenario internazionale e della politica di pace del Venezuela Bolivariano, si parlerà in occasione del Convegno “Venezuela Bolivariano: lotta per la pace e la solidarietà internazionale, contro la guerra e l’imperialismo”, Mercoledì 4 febbraio, ore 16.00, presso la Sala Multimediale “G. Nugnes”, in Via Verdi 35, con il Patrocinio del Comune di Napoli.

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