A volte ritornano ed è bene che sia così. Zam e Lambretta, due dei più dinamici spazi sociali milanesi, erano stati entrambi sgomberati nel giro di poche settimane di questa strana e fredda estate. Avevano promesso che sarebbero tornati presto e così è stato. Il 19 settembre il Lambretta ha occupato uno stabile privato abbandonato in via Cornalia 6 e oggi è il turno di Zam (appuntamento ore 15.30 in piazza Sant’Eustorgio).

Forse non tutto andrà liscio, forse ci vorranno altre migrazioni prima di trovare casa stabilmente, ma quello che ora importa è che non sia passata l’idea che basti sgomberare delle mura per far scomparire anche le persone e, soprattutto, che i ragazzi e le ragazze -perché stiamo parlando in larghissima parte di giovani e giovanissimi- abbiano trovato l’energia e l’accortezza di rimettersi in gioco immediatamente. Sì, perché gli sgomberi possono capitare, ma questi si trasformano in sconfitta soltanto se riescono a produrre rassegnazione e silenzio.

E queste sono considerazioni che dovrebbero interessare un po’ tutti, a Milano e altrove, perché mica stiamo parlando di questioni private o di semplice cronaca locale. Anzi, abbiamo un gran bisogno di sprovincializzare il dibattito, di renderlo più politico, di guardarci attorno.

A Roma, per esempio, tira brutta aria per i movimenti. Non solo gli sgomberi si moltiplicano, ma soprattutto aumenta l’intensità della repressione. Dalle modalità dell’intervento sull’Angelo Mai alla detenzione di due esponenti del movimento per la casa, Di Vetta e Fagiano, fino all’inquietante arresto di Nunzio d’Erme e Marco Bucci dell’altro giorno. Non si tratta certo di fatti inediti, in Val di Susa succede di peggio, ma quando certi metodi si fanno largo anche nella capitale, allora è evidente che siamo di fronte a un problema più generale.

Milano non è Roma e nemmeno Torino, almeno finora. Ma è indubbio che le cose possono cambiare anche qui, persino a prescindere dalla volontà degli attori locali. La tendenza è infatti generale e viene alimentata dalla (facile) previsione dei vertici statali che il prolungarsi della crisi, la perdita di credibilità del sistema politico e l’accentuarsi delle disuguaglianze sociali produrranno più conflittualità. Ergo, visto che le deleterie politiche d’austerità proseguiranno, ci vuole più controllo e repressione. Una scelta politica, preventiva e democraticamente regressiva, ovviamente, ma di questo si tratta.

Non decidono gli attori locali, dunque, ma questi non sono del tutto impotenti. Detto altrimenti, non è indifferente se un Sindaco si oppone alla tendenza generale oppure se l’asseconda, non è la stessa cosa se a Palazzo Marino siedono Moratti e De Corato o Pisapia. Eppure, gli sgomberi manu militari ci sono stati lo stesso, nel caso di Zam si trattava addirittura di uno stabile di proprietà comunale e sul piano politico è ormai conclamata la profonda crisi del rapporto tra l’amministrazione arancione e l’insieme degli spazi sociali autogestiti.

Il che fare è quindi sul tavolo, per tutti. Zam e Lambretta hanno fatto la cosa giusta, anche se in prospettiva non basterà resistere, ma bisognerà ricominciare a pensare in grande, a incidere. Le destre, gli ex vicesindaci e le camicie verdi sempre più nere di Salvini faranno le solite cose, ma con più aggressività, perché stanno già pensando alle prossime elezioni. L’amministrazione comunale, infine, dovrà decidere se adeguarsi alla tendenza generale, magari sotto la spinta normalizzatrice di Expo, oppure se guardare oltre e esplorare altre strade. Nel frattempo, comunque, bentornati Zam e Lambretta.