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Il pesce rappresenta ormai quasi il 17 % del consumo di proteine a livello mondiale.

Sempre più persone fanno affidamento su pesca e acquacoltura per la propria alimentazione e come fonte di reddito, ma pratiche nocive e cattiva gestione minacciano la sostenibilità del settore, si legge nella nuova edizione del rapporto FAO “Lo Stato mondiale della pesca e dell’acquacoltura” (SOFIA) pubblicato oggi.

Il rapporto stima che la produzione complessiva da pesca di cattura e da acquacoltura sia stata nel 2012 pari a 158 milioni di tonnellate – circa 10 milioni di tonnellate in più rispetto al 2010.

Guida questa crescita la rapida espansione dell’acquacoltura, comprese le attività dei piccoli produttori.  La pesca d’allevamento ha il grande potenziale di rispondere all’aumentata domanda di cibo di una popolazione mondiale in crescita, secondo il rapporto.

Allo stesso tempo, gli oceani del pianeta – se gestiti in modo sostenibile – hanno un ruolo importante da svolgere nel fornire occupazione e cibo.

“La salute del nostro pianeta, così come la nostra salute e il futuro della sicurezza alimentare, dipendono da come trattiamo il mondo blu” ha affermato il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva. “Dobbiamo fare in modo che il benessere ambientale sia compatibile con il benessere umano al fine di rendere una prosperità sostenibile di lungo termine una realtà per tutti. Per questo motivo, la FAO è impegnata a promuovere ‘Blue Growth’, un’iniziativa a livello mondiale che si basa sulla gestione sostenibile e responsabile delle risorse acquatiche”.

La rinnovata attenzione al cosiddetto “mondo blu” deriva dal grande aumento della quota di risorse ittiche consumate dagli esseri umani, percentuale passata dal 70% del 1980 ad un livello record di oltre l’85% (136 milioni di tonnellate) nel 2012.  Allo stesso tempo, il consumo pro-capite di pesce è salito da 10 kg nel 1960 a più di 19 kg nel 2012.

Il nuovo rapporto dice anche che il pesce rappresenta ormai quasi il 17 % del consumo di proteine a livello mondiale ​​- e in alcuni paesi costieri e insulari può raggiungere addirittura il 70%.

La FAO stima che la pesca e l’acquacoltura siano i mezzi di sostentamento principali del 10-12% della popolazione mondiale.

Dal 1990 l’occupazione nel settore è cresciuta a un tasso più rapido della crescita della popolazione mondiale e nel 2012 ha fornito occupazione a circa 60 milioni di persone impegnate sia nel settore della pesca in mare aperto che in quello dell’acquacoltura. Di questi, l’84 % si trova in Asia, seguita dall’Africa con circa il 10%.

Stabile la pesca di cattura, continua il boom dell’acquacoltura

Il nuovo rapporto indica che la produzione in mare aperto nel 2012 è rimasta stabile con circa 80 milioni di tonnellate.

Attualmente, meno del 30% degli stock ittici selvatici regolarmente monitorati dalla FAO, sono sfruttati in eccesso – una positiva inversione di tendenza osservata negli ultimi anni, un segno che va nella giusta direzione. Poco più del 70% degli stock sono stati pescati entro livelli biologicamente sostenibili. Di questi, gli stock completamente sfruttati – ovvero in corrispondenza, o molto vicino, alla loro massima produzione sostenibile – rappresentano oltre il 60% mentre gli stock sottoutilizzati circa il 10%.

La produzione mondiale di pesca d’allevamento ha segnato nel 2012 un record raggiungendo oltre 90 milioni di tonnellate, di cui circa 24 milioni di tonnellate di piante acquatiche. La Cina rappresenta oltre il 60% della quota totale.

L’espansione dell’acquacoltura ha contribuito a migliorare la dieta di molte persone, soprattutto nelle aree rurali povere dove la presenza di nutrienti essenziali negli alimenti è spesso scarsa.

Tuttavia, il rapporto avverte che per continuare a crescere in modo sostenibile, l’acquacoltura deve essere meno dipendente dai pesci selvatici per i mangimi e introdurre una maggiore diversità di specie e di pratiche nella pesca d’allevamento.

Ad esempio, specie di piccole dimensioni possono essere un’ottima fonte di minerali essenziali se consumati per intero. Tuttavia, le preferenze dei consumatori e altri fattori hanno determinato il passaggio verso specie d’allevamento più grandi, le cui ossa e teste sono spesso scartate.

Il ruolo della pesca nell’alimentazione sarà oggetto di discussione alla Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, organizzata congiuntamente dalla FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che avrà luogo dal 19 al 21 novembre 2014 presso la sede della FAO.

Maggiore quota di mercato per i paesi in via di sviluppo, più attenzione ai piccoli pescatori

Il pesce rimane tra i prodotti alimentari più scambiati al mondo, per un valore nel 2012 di quasi 130 miliardi dollari – una cifra che con tutta probabilità continuerà ad aumentare.

Il rapporto evidenzia una tendenza importante che vede i paesi in via di sviluppo rafforzare la loro quota nel commercio ittico – nel 2012 il 54% del totale delle esportazioni per valore e oltre il 60% per quantità (peso vivo).

Questo significa che la pesca e l’acquacoltura giocano un ruolo sempre più importante per molte economie locali. Circa il 90% dei pescatori svolge attività di piccole dimensioni e si stima che, complessivamente, il 15% siano donne. In attività secondarie quali la lavorazione dei prodotti ittici, questa cifra può raggiungere anche il 90%.

La FAO, nel celebrare il 2014 come l’Anno Internazionale dell’agricoltura familiare, sottolinea il ruolo dei piccoli produttori – incluse attività come la pesca e l’acquacoltura – ponendo l’accento sulla necessità  di migliorare l’accesso ai finanziamenti e ai mercati, di garantire i diritti di possesso e di tutelare l’ambiente.

Ridurre gli sprechi, limitare le pratiche nocive, migliorare la tracciabilità

Si stima che ogni anno vadano perdute circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo – circa un terzo di tutto il cibo prodotto. Questa cifra comprende anche le perdite di pesce, che tendono ad essere maggiore nella pesca su piccola scala.

Nel settore della pesca su piccola scala, le perdite di qualità sono spesso molto più significative delle perdite fisiche. Una migliore gestione, e migliori metodi di trasformazione e delle attività di valore aggiunto, potrebbero risolvere gli aspetti tecnici di questo problema, ma è anche fondamentale estendere le buone pratiche, costruire partnership, fare lavoro di sensibilizzazione e sviluppare capacità, insieme a politiche e strategie adeguate.

Il rapporto fa notare che la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU) rimane una grave minaccia per gli ecosistemi marini ed ha anche un impatto negativo sulle condizioni di vita, sulle economie locali e sull’approvvigionamento dei prodotti.

La tracciabilità della catena alimentare è sempre più un requisito necessario nei principali mercati ittici, soprattutto sulla scia di recenti scandali circa errori di etichettatura dei prodotti alimentari. La FAO fornisce linee guida tecniche in materia di certificazione e di etichettatura ecologica, che possono aiutare i produttori a dimostrare che il pesce è stato pescato legalmente con un tipo di pesca sostenibile, o prodotto in un impianto di acquacoltura gestito correttamente.

In particolare, il rapporto sottolinea l’importanza del Codice di condotta per una Pesca Responsabile che, fin dalla sua adozione quasi due decenni fa, rimane fondamentale per raggiungere la sostenibilità della pesca e dell’acquacoltura. Il Codice promuove l’utilizzo responsabile delle risorse acquatiche e la conservazione degli habitat per contribuire a rafforzare il contributo del settore alla sicurezza alimentare, alla riduzione della povertà e al benessere umano.

La FAO promuove anche “Blue Growth” (La Crescita Blu) come quadro di riferimento per garantire una gestione sostenibile, e sensibile alle istanze socioeconomiche, degli oceani e delle zone umide.

Al Vertice mondiale d’Azione per gli Oceani sulla sicurezza alimentare e la Crescita Blu tenutosi il mese scorso a L’Aia, i governi e gli altri partecipanti si sono impegnati a sostenere interventi incentrati sulla lotta al cambiamento climatico, allo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche, alla perdita degli habitat e all’inquinamento, nel tentativo di ripristinare la produttività, e la resilienza degli oceani.