Venerdì 9 maggio 2014, ore 18.30

Via Marsala 8, Milano

“Continuerò a lottare affinché le ragazze crescano e diventino donne senza essere circoncise. Tutte le ragazze del Kenya devono diventare donne e poter sognare”. Questo il progetto di Nice Nailantei Leng’Ete, che ci racconterà la sua vita, cosa è significato crescere come ragazza Masai, come è riuscita ad aiutare la sua comunità. Con lei dialogheremo delle condizioni di vita delle donne kenyote, di mutilazioni genitali, di riti di passaggio…

NICE NAILANTEI LENG’ETE

Il suo discorso al Clinton Global Initiative – New York, settembre 2013

Crescere da ragazza Maasai non è stato semplice per me. Per dirla tutta, si tratta di un mondo  fortemente maschile. Le ragazze e le donne vanno bene per essere guardate, ma mai ascoltate.  Siamo un popolo orgoglioso …orgoglioso delle nostre tradizioni e identità. Eppure nel processo di  conservazione della nostra cultura abbiamo sviluppato un sistema che nega alle donne i diritti  fondamentali: il diritto di poter prendersi cura del proprio corpo, il diritto all’educazione, di scegliere  quando e chi sposare e il diritto ad esprimere un’opinione. Le mutilazioni genitali femminili, anche se illegali, sono di uso comune. Ragazze di 12 anni vengono “tagliate”, debbono abbandonare la  scuola e sono costrette a sposarsi.

Anche io avrei potuto essere una di quelle ragazze, se solo una serie di eventi non avesse  cambiato la mia vita. All’età di otto anni il mio mondo venne sconvolto, quando mi vennero strappati i miei genitori. Avevo solo otto anni e la mia vita cambiò per sempre. Tutto quello che conoscevo all’improvviso scomparve. La mia casa, la mia sicurezza. Ma per quanto sorprendente, ogni buio, ogni nube scura ha un rivestimento d’argento. E pure questa situazione difficile mi offrì una via d’uscita dalla pratica delle mutilazioni genitali. Sicuramente mia zia provò ad organizzare il rito per me, mi ha anche malmenato per costringermi ad essere “tagliata”, ma io ho resistito.  Fuggii, perché diedi ascolto a quella scintilla di determinazione che aveva iniziato a bruciare nel  mio cuore.

Un momento di svolta nella mia vita ci fu nel 2008, quando i capi del villaggio mi scelsero per diventare educatrice “alla pari”, attraverso la formazione di AMREF con il progetto Salute  Riproduttiva delle giovani donne nomadi. Ho potuto così conoscere i rischi derivati dalle mutilazioni genitali femminili e dai matrimoni precoci e ho iniziato a capire l’importanza della salute sessuale e dei diritti delle donne.

Ma come avrei potuto iniziare a trasmettere tutte le cose che avevo imparato? Come far capire alle altre ragazze che anche loro avevano possibilità di scelta? Che è possibile trovare un modo per mantenere i riti tradizionali e, nel contempo, assicurare educazione sanitaria e sessuale, senza  alcuna mutilazione fisica?

Ho capito che il cambiamento deve avvenire dall’interno delle comunità. Ma dove iniziare, quando le comunità sono guidate da soli maschi, che non considerano, tantomeno ascoltano, ragazze  come me? Sono sicura che molte di voi qui hanno dovuto affrontare degli ambienti di lavoro  dominati dagli uomini. Molte di voi comprendono il mio problema. Forse lo scenario è differente e anche l’obiettivo, ma potreste identificarvi con la mia storia. Dobbiamo essere coraggiose, uscire  dalle nostre posizioni acquisite e lottare per ciò in cui crediamo. La determinazione può portarci  lontano. Io ne sono la prova.

Dunque vi racconto cosa ho fatto per aiutare la mia comunità. Cruciale è stato passare attraverso gli anziani del villaggio. Una volta lì, tra di loro, ho fatto un respiro profondo e ho iniziato a parlare.  Era difficile ed io ero nervosa. Mi sentivo come se avessi dovuto affrontare venti nonni, ma ho mostrato loro rispetto e condiviso ciò che avevo imparato durante il mio corso. E  sorprendentemente mi hanno ascoltata.

Con gli anziani dalla mia parte mi si è spalancata la porta che conduceva ai Moran, gli uomini che temevo più di ogni altra cosa. Questi giovani passano il loro tempo nella boscaglia per apprendere le abilità tradizionali della tribù. I Moran ascoltano solo altri uomini e spesso hanno molteplici partner sessuali. Era necessario sfidare il loro tradizionale atteggiamento mentale e metterli alle  strette. Dopotutto, sono loro i futuri leader della comunità. Saranno loro a sposare le donne che sto aiutando. Senza il loro appoggio, introdurre nuove tradizioni sarebbe inutile.

Sorprendentemente, grazie agli anziani, i Moran hanno accettato di incontrarmi, anche da sola.  Non voglio negarlo – è stato molto duro – ma nel momento che il loro capo mi ha dato l’Esiere – il  bastone nero che simboleggia la leadership – ho capito che ero stata accettata. Ho aiutato i  Moran a comprendere il bisogno di usare i preservativi, fare i dovuti controlli per evitare le infezioni sessualmente trasmissibili e fare i test HIV. Ho chiesto loro di supportare i nuovi riti  di passaggio che stavamo introducendo per le giovani donne. Ho il sospetto che il loro sostegno sia dovuto in parte alla voce che le ragazze non “tagliate” siano più “interessate” al sesso… ma su questo non so cosa dire.

Il mio viaggio attraverso il mondo maschile Masai è stato impegnativo, ma mi ha rafforzato. La  forza che mi ha guidato sempre è stata la determinazione nel ribadire che le donne vadano rispettate prima di tutto come esseri umani e poi come donne. Che siamo in grado di arricchirci grazie alle nostre differenze culturali, senza nulla togliere agli uomini. Che le ragazze possono diventare donne anche senza essere “tagliate”.

Tutto quello che sto facendo era ciò che sognavo di diventare quando ero una ragazzina. Ed è lì che finora mi sta portando il mio viaggio…

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