La festa del 1° maggio trae origine da una manifestazione sindacale organizzata a Chicago nel 1886 per ottenere la giornata di otto ore. Ci furono scontri che lasciarono sul terreno 12 morti fra cui 7 poliziotti uccisi da fuoco amico. Da allora il 1° maggio è diventato l’emblema della lotta dei lavoratori per i propri diritti.

Nel secondo dopo guerra i diritti dei lavoratori erano riusciti a farsi strada, ma la globalizzazione e l’avanzata della cultura mercantilista stanno corrodendo molte conquiste. Lo dimostra il numero di contratti che non riescono ad essere rinnovati, l’aumento dell’orario di lavoro, gli arretramenti salariali, l’aumento della precarietà.

L’arma più potente oggi usata dalle imprese per tenere i lavoratori sotto scacco è la minaccia della delocalizzazione. Nel gennaio 2014 Electrolux ha chiesto una forte riduzione dei salari come condizione per rimanere in Italia, altrimenti avrebbe trasferito tutto in Polonia. Analogamente ha fatto Fiat a Pomigliano, mentre molte altre aziende hanno semplicemente chiuso.

Ma la delocalizzazione è solo una delle strategie utilizzate per mettere i lavoratori in guerra fra loro e costringerli ad accettare salari e diritti di livello sempre più basso. In Europa ci siamo inventati anche il lavoro distaccato che consiste in un processo di trasferimento alla rovescia. Sono le imprese dei paesi a bassi salari che si trasferiscono, con tutto il loro carico umano, nei paesi a salari più alti. Il tutto è regolamentato dalla direttiva 96/71/CE del 1996.

L’ambito di applicazione è quella dell’appalto. Considerato che per spendere meno, le aziende hanno preso l’abitudine ad appaltare pezzi importanti di produzione a ditte esterne, l’Unione Europea ha permesso di rivolgersi anche a ditte estere purché residenti in paesi dell’Unione. E nel 2013 si è scoperto che molti mattatoi tedeschi appaltano fasi di macellazione a imprese rumene che usano lavoratori fatti venire direttamente dalla Romania. Ma a quali condizioni? Purtroppo quelle in vigore in Romania.

Per la verità la direttiva pone dei paletti per evitare che il trattamento sia troppo distante da quello previsto dal paese ospitante. Ad esempio prevede che il salario non possa essere inferiore a quello minimo fissato dalla legge e che siano rispettate le norme in materia di orari, riposi, ferie e sicurezza. Ma in Germania, tanto per dire, non esiste salario minimo fissato per legge e un servizio televisivo del giugno 2013 ha scoperto mattatoi tedeschi che usano operai rumeni pagati 600 euro per 150 ore di lavoro. Nessuna tutela e la minaccia di essere rispediti a casa in caso di malattia. Sarà anche per questo se i salumieri tedeschi riescono ad esportare in Italia prosciutti a prezzi che mettono fuori gioco i produttori italiani?

Ma a peggiorare il quadro di una legislazione lassa, si aggiungono le violazioni. Il servizio televisivo mandato in onda in Germania ha riportato il caso di una lavoratrice rumena ingaggiata a chiamata, e alloggiata in un casolare di fortuna assieme ad altre colleghe della stessa nazionalità, che è stata licenziata quando ha chiesto le ferie. Alla richiesta di riottenere i documenti di lavoro per presentarli all’ufficio di collocamento, la ditta ha temporeggiato, e quando la lavoratrice ha manifestato l’intenzione di rivolgersi a un avvocato è stata minacciata di morte: «Pensaci bene», le è stato detto, « potresti essere accidentalmente investita da un’auto o potrebbe accadere qualcosa di spiacevole ai tuoi figli rimasti in Romania».

Nel dicembre scorso, la pratica del lavoro distaccato ha suscitato una rivolta popolare in Francia. Nella cittadina di Dunkerque centinaia di famiglie guardavano con speranza al nuovo cantiere aperto per costruire il quarto porto metanifero di Loon-Plage. Ma molte aspettative sono andate deluse, perché gran parte dei posti sono stati ricoperti da lavoratori stranieri al seguito delle imprese appaltate: tecnici italiani e spagnoli, operai rumeni, saldatori portoghesi. Ai francesi sono toccati solo 500 posti su un totale di 1200 assunzioni. Dolce musica per le orecchie di Marine Le Pen che ha subito tuonato contro gli stranieri che rubano lavoro ai francesi. La solita storia di chi si scaglia contro le vittime invece che contro i profittatori. Ad esempio non è stata spesa una parola su Total, proprietaria del cantiere che ha appaltato i servizi.

Visti i tanti casi di lavoro indegno denunciati dal sindacato e dalla stampa, il 16 aprile 2014 il Parlamento Europeo ha approvato un provvedimento teso ad intensificare i controlli nell’ambito degli appalti. Ma il vero problema è alla fonte. E’ una legislazione che consente alle imprese di scegliersi appaltate al ribasso. Eppure basterebbe introdurre il principio secondo il quale il lavoratore estero al seguito di una ditta appaltata gode del trattamento nazionale di miglior favore, per mettere definitivamente fuori gioco una pratica organizzata per fare soldi sullo sfruttamento dei più miserabili. Ma per un passo del genere bisogna considerare il lavoro come persona, non come merce. Ecco la vera sfida culturale del 1° maggio.