Le “riforme” proposte dal Governo Renzi riguardano la legge elettorale che deve ridurre a due i partiti o le coalizioni elette in Parlamento, la revisione del ruolo del Senato, l’eliminazione delle provincie, la riduzione del numero dei parlamentari e per finire: “La magistratura che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi”.

Scusate, ma non stiamo parlando delle riforme costituzionali di Matteo Renzi: questi sono, alla lettera, i contenuti del “PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA” della loggia massonica P2. Anzi, per certi versi è più

democratica la proposta di Gelli, perché in quella per il Senato si vota, mentre nella proposta di Renzi è composto di nominati. Ora, può darsi che il Senato sia da rivedere, anche se una democrazia occidentale come quella degli Stati Uniti si basa sul bicameralismo perfetto, ma per dirla con il Sommo Poeta è “il modo che ancor m’offende”.

Innanzitutto la nostra Costituzione è nata da un’assemblea Costituente regolarmente eletta, che ha raggruppato le migliori menti giuridiche del tempo per costruire un’architettura istituzionale che tiene conto di pesi e contrappesi. Su ognuno degli articoli della Costituzione c’è stato un lavoro lunghissimo e un confronto che tiene conto di tutti gli orientamenti della cultura giuridica del tempo.

Nella proposta Renzi, forse è meglio dire Renzi-Berlusconi, si decide sulla base di un presupposto non proprio giuridico né istituzionale: dobbiamo risparmiare. C’è anche il “dobbiamo semplificare”. Nell’insieme è un po’ poco, anche perché non sono vere né l’una né l’altra cosa. Primo perché il Senato resta. Non lo si vota più, ma resta con tutti gli annessi e connessi, spese di personale, questori e spese varie. Secondo perché il problema del doppio passaggio non ha impedito sotto il governo Monti di cambiare la

Costituzione per l’inserimento del pareggio di bilancio obbligatorio. Ci hanno messo cinque mesi con la doppia lettura per approvare la modifica costituzionale più stupida che si potesse immaginare. Una modifica che il Parlamento tedesco si è rifiutato di approvare.

A giorni la proposta di modifica del Senato sarà presentata alle camere e in un mese deve essere approvata. Ora, pur facendo finta che l’ispiratore principale di questa riforma Renzi-Berlusconi non sia Licio Gelli, proviamo a entrare nel merito del testo. Innanzitutto il nuovo Senato non si elegge, si nomina. Ne faranno parte 150 persone: circa 108 sindaci dei capoluoghi di provincia, 21 presidenti delle Regioni e 20 saggi di nomina del Presidente della Repubblica. Un tipo di nomina che non lo rende rappresentativo degli italiani, soprattutto se la logica è una testa un voto.

Non si sa ancora in che rapporto sarà con la Camera dei Deputati, se vaglierà ancora le leggi approvate della Camera e con quali effetti in caso di bocciatura. Ma la cosa certa è che continuerà ad avere una funzione

politica e non semplicemente tecnica e in caso di funzioni politiche la rappresentatività è obbligatoria. Una delle conseguenze derivate è che cambierà anche il ruolo della Camera e dovrà cambiare la Costituzione, che definisce le regole del bicameralismo perfetto, ma di questo non si parla.

Forse in un sistema democratico che deve cambiare la Costituzione bisognerebbe prendere in considerazione tutti gli effetti delle modifiche costituzionali. Sì, perché c’è dell’altro. I 108 sindaci delle città capoluogo di provincia sono gli stessi che dovranno farsi carico delle Provincie. Anche qui le provincie non si eliminano: solo non si votano più. Cancellati i consigli provinciali eletti, gli stessi saranno composti dai 25 sindaci dei comuni della provincia. Sparisce la giunta provinciale e sarà il sindaco che dovrà farsi carico di tutto e non potrà neppure delegare. Il tutto ovviamente senza compensi. Chi ha un minimo di esperienza amministrativa sa che i sindaci sono già oberati per conto loro e ora agli si dà anche questo incarico. Come se non bastasse, saranno anche i componenti del nuovo Senato e, sempre senza compensi, dovranno prendere decisioni nazionali.

Secondo alcuni calcoli della Corte dei conti le provincie in questo modo costeranno anche di più. Sempre chi ha un minimo di esperienza amministrativa sa che in questi casi, quando i politici non sono in grado di sostenere il lavoro amministrativo, è la burocrazia che comanda e decide.

Dulcis in fundo, la legge elettorale appena approvata finisce col dare il controllo della Camera a un solo partito con meno del 25% degli aventi diritto al voto. Ora già il fatto che queste “riforme” ricalchino il piano della loggia P2 dovrebbe essere un campanello di allarme per fermarsi un attimo a riflettere, perché il piano di Gelli era un piano antidemocratico. Ma il rischio di peggiorare la nostra democrazia con “riforme” per molti versi idiote è grande e dovrebbe spingere tutti a dire stop a questa faciloneria.

Michele Crosti