Gianmarco Pisa è in questo momento in Serbia e ci ha mandato questa mail/reportage al volo che qui sotto riproduciamo.

Stanno arrivando i primi dati dei risultati elettorali qui in Serbia, riguardanti sia le elezioni legislative anticipate, sia le elezioni municipali per il governo della capitale, Belgrado. Ed i risultati costituiscono una sorpresa, nel senso che vanno perfino al di la’ delle previsioni della vigilia.

Il partito dato per vincitore esce ulteriormente rafforzato da questa tornata elettorale: il Partito Progressista Serbo (SNS), nato dalla scissione “verso il centro” del Partito Radicale Serbo (SRS), vale a dire il partito ultra-nazionalista di Seselj, e che rappresenta una opzione di nazionalismo politico e liberismo economico, raccoglie, su scala nazionale, a dispetto di alcune proiezioni che gli assegnavano poco piu’ del 50% dei voti, circa il 48% dei voti, un risultato che, sulla base delle prime proiezioni in termini di seggi parlamentari, potrebbe garantirgli la maggioranza assoluta e, di conseguenza, la possibilita’ teorica di governare da solo. Si tratta di una prima volta assoluta della Serbia dei tempi recenti: alcuni, in via del tutto informale, hanno commentato, ad esempio, che nemmeno ai tempi di Milosevic, il Partito Socialista allora al potere, si avvicinava, in maniera cosi’ importante, e da solo, alla maggioranza assoluta del corpo elettorale.

Che poi questo esito corrisponda effettivamente ad una maggioranza assoluta del popolo serbo, va indagato piu’ approfonditamente, dal momento che la partecipazione al voto e’ stata di circa il 52%: quasi meta’ degli elettori, in altri termini, non si e’ nemmeno presentata alle urne. Da una parte, insomma, la disaffezione, la disillusione e l’insofferenza verso la politica ufficiale, in un momento di crisi economica e sociale, in seguito alla quale le condizioni di vita della popolazione sono molto peggiorate e non si nutre fiducia nell’establishment attuale in relazione alla possibilita’ di risolvere i tanti problemi e le mille contraddizioni nelle quali si dibatte la Serbia oggi. Dall’altra parte, invece, una reazione da interpretare nel senso della richiesta di rifugio, da parte dell’elettore medio, verso il potere costituito, un esito che cerca una rassicurazione verso la forza politica che sin dall’inizio della campagna elettorale era data per sicura vincente, che puo’ rappresentare, nel bene e nel male, la continuita’ del potere e l’accelerezione sulle riforme di carattere neo-liberale in sintonia con il prossimo accesso della Serbia alla Unione Europea.

Altrettanto interessante il confronto con i risultati elettorali nella citta’ di Belgrado, dove il partito egemone raggiunge “solo” il 44% e il DS (Partito Democratico, che era il partito dell’ex presidente Boris Tadic, prima della scissione che ha portato alla costituzione del nuovo Partito Democratico, NDS) supera la media nazionale, poco sopra il 5%, superando in questo caso il 15%. Si conferma cioe’ la distanza tra le due Serbie: non tanto la “Serbia reale” e la “Serbia celeste”, di cui tanto si vagheggia, quanto piuttosto tra la Serbia di Belgrado (dove la borghesia nazionale esprime piu’ forti propensioni liberali e filo-europee) e la Serbia dell’interno, piu’ legata a visioni tradizionali e rassicuranti, anche, talvolta, in senso nazionale o comunitario. La seconda forza politica del Paese e’ il Partito Socialista (SPS) del premier uscente Ivica Dacic, con il suo 15%, che scende a meno del 12% a Belgrado, mentre, allo stato, solo quattro partiti entrano in Parlamento, per effetto della soglia di sbarramento sul sistema elettorale proporzionale, non solo SNS ed SPS, ma anche il partito democratico DS e il nuovo partito democratico NDS, appunto quello dell’ex presidente Boris Tadic. Sara’ interessante osservare la composizione sociale di questo voto e l’andamento dei flussi elettorali, sia in riferimento ai tradizionali insediamenti operai e produttivi, con il Partito Socialista che incrementa il proprio risultato rispetto alle precedenti elezioni, sia in riferimento allo spostamento di consenso, complessivo e trasversale, verso il Partito Progressista. Dunque, un quadro estremamente “nuovo” e, per altri aspetti, preoccupante, in merito alla tenuta del pluralismo in questo Paese, e in relazione alle sfide che ha davanti, la ristrutturazione economica (e la minaccia delle privatizzazioni) e il negoziato di adesione all’Unione Europea.