L’Expo 2015 è tante cose. È cemento, business immobiliare e vetrina, ma è anche una grande promessa, soprattutto di lavoro e reddito. E indubbiamente un po’ di occupazione e denaro fresco arriverà con il grande evento e l’afflusso di visitatori e turisti, ma il punto è un’altro: di che tipo di posti di lavoro stiamo parlando?

Si tratta di un quesito decisivo, eppure se ne parla poco e male. Anzi, a livello pubblico si tende a eludere o a banalizzare il problema, come se in questi tempi di crisi sociale e di paura del futuro fosse sufficiente la promessa di un lavoro qualsiasi, a condizioni qualsiasi e con una paga qualsiasi. Invece no, non può bastare, specie se di mezzo ci sono istituzioni pubbliche e organizzazioni sindacali.

E da questo punto di vista c’è da essere preoccupati, seriamente preoccupati, perché in queste settimane, senza che se ne parli troppo in giro, tra le segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil e gli uomini del Presidente lombardo, Maroni, sta girando una bozza di accordo che intende estendere nel tempo, nello spazio e negli ambiti d’applicazione il cosiddetto modello Expo, cioè ilprotocollo firmato tra Expo 2015 Spa e sindacati confederali milanesi il 23 luglio dell’anno scorso.

La bozza c’è, anche se è praticamente impossibile recuperarne una copia. Se ne ha notizia soltanto grazie a qualche dichiarazione sparsa di Maroni e della Cisl e, soprattutto, a un articolo dell’Unità del 4 marzo, che cita parti del documento. Insomma, secondo l’Unità l’accordo si intitola “Un patto per il lavoro ed Expo in Lombardia” e prevede l’estensione del modello milanese a tutto il territorio lombardo per un periodo di due anni, cioè dal 1 luglio 2014 fino al 30 giugno 2016.

Per poter inserire nei contratti di lavoro la “causale Expo”, che motiva tecnicamente le deroghe alle norme contrattuali vigenti, sarebbe poi sufficiente che un’azienda o un ente dimostrasse un qualche legame, anche vago, con il grande evento. E per quanto riguarda i settori economici non ci sarebbero praticamente più confini: “Sito espositivo (compreso la costruzione dei padiglioni), commercio, turismo, artigianato e settori da individuare legati ad Agenda Italia, nonché alle attività di innovazione, ricerca e sviluppo inerenti i temi dell’evento”. E ancora: “Si tratta inoltre di regolare l’allargamento a settori di servizi pubblici che dovranno essere potenziati durante l’evento (sanità pubblica e privata, trasporti, raccolta rifiuti, altri servizi pubblici di enti locali o ministeriali)”. Insomma, dappertutto.

Anche le tipologie contrattuali in deroga sono quasi senza limiti e vi troviamo tutta la fiera del precariato sottopagato esistente ed immaginabile: stage, apprendistato, formazione on the job, lavoro somministrato ecc. Immagino che nella versione regionale si vorrà rinunciare al lavoro volontario, presente invece ampiamente nel protocollo milanese, ma in cambio pare che la fantasia lombarda abbia partorito l’ideona dell’“apprendistato in somministrazione”…

Ora, il problema non è che si parli di contratti a tempo determinato, visto che stiamo parlando di un evento per definizione limitato nel tempo, bensì che si introduca in maniera spudorata una sorta di dumping sociale sullo stesso contratto precario. In altre parole, invece di stipulare con il lavoratore un normale contratto a termine, posso assumerlo come stagista a 516 euro al mese oppure come apprendista di Operatore di Grande Evento. Invece di affittare un lavoratore precario, posso affittare un apprendista lavoratore precario. E così via.

L’Expo porterà nuovo lavoro? Se la logica è questa, pare piuttosto che Expo porterà nuova precarietà sottopagata, incentivando le aziende a sostituire contratti minimamente decenti con contratti indecenti.

Il protocollo milanese dell’anno scorso era un pessimo servizio al mondo del lavoro, per quello che stabiliva e perché apriva le porte a ulteriori arretramenti sul piano dei diritti. Ora, com’era prevedibile, pare che qualcuno voglia passare da quelle porte. Siamo ancora alle bozze, non c’è ancora un documento firmato e forse è il caso che se ne parli pubblicamente ora, subito.

Insomma, davvero Regione Lombardia vuole farsi promotore di questa schifezza? E i sindacati confederali che dicono? Cgil, Cisl e Uil davvero vogliono essere complici fino a questo punto di un’Expo della precarietà?