foto da Al Arabya http://english.alarabiya.net

Con quest’articolo Orsola Casagrande inizia a collaborare con Pressenza. La Redazione la ringrazia e le dà il benvenuto nel nostro collettivo.

Seggi aperti per oltre 50 milioni di persone che oggi si recheranno alle urne in Turchia e Kurdistan. Diranno la loro su chi e come dovranno essere governate le loro città. Ma le elezioni amministrative di oggi sono un test importante per diversi motivi.
Innanzitutto perché offriranno un’indicazione su quanto popolari siano ancora il governo nazionale attuale e il suo primo ministro. Recep Tayyip Erdoğan, infatti, in questi suoi anni di governo è andato trasformandosi sempre più in un violento leader dispotico. E come tutti i leader dispotici è stato incline a usare la repressione quasi come metodo esclusivo per affrontare le richieste dei cittadini.
Quando un leader opta per la repressione e la violenza o, per dirla in un altro modo, per uno stato di tensione permanente, è evidente che in realtà è un leader debole, che non ha argomenti. Più facile dunque zittire quanti reclamano letteralmente sparandogli addosso. Ed è quanto Erdoğan sta facendo da molto tempo.
La sua ultima apparizione in campagna elettorale è stata l’ulteriore conferma della sua debolezza e della sua paura: un leader così preoccupato a gridare più forte degli altri (come se, gridare più forte e coprire la voce degli oppositori sancisca una qualche superiorità) che alla fine ha perso la voce. Che incredibile simbolismo: il Primo Ministro costretto ad annullare i comizi elettorali finali. Il re è nudo.
Così la prima lettura che queste elezioni forniranno sarà il livello di popolarità di cui Erdoğan ancora gode nel paese. Se non è prevedibile ipotizzare un drastico calo dei voti dell’AKP, sarà importante vedere dove l’AKP (Partito della Giustizia e Sviluppo) perderà consensi. Queste sono elezioni locali e quindi hanno a che fare con la gestione locale della politica. Pertanto sono molti i fattori che giocano nella scelta di questo o quel partito, le lealtà e la conoscenza dei leader locali contano molto nelle amministrative. Ma anche così, qualche sorpresa è lecito aspettarsela.
La seconda lettura che queste elezioni forniranno ha a che vedere direttamente con il Kurdistan. I kurdi infatti hanno realizzato un incredibile lavoro nelle città che governano, dalle ultime elezioni amministrative del 2009. E questo, non sarà mai  sottolineato abbastanza, in circostanze forse uniche. Sindaci e assessori, funzionari e membri del partito (che allora si chiamava DTP, Partito della Società Democratica) sono stati eletti e arrestati quasi simultaneamente. La repressione scatenata contro i kurdi eletti liberamente e democraticamente è forse senza precedenti in qualsiasi altro paese “democratico”. Migliaia di politici e attivisti, va detto, sono ancora in carcere. Nonostante questo il modello di autonomia democratica proposto dai kurdi è stato implementato nei comuni e nelle città di tutto il Kurdistan.
Domani questo modello riceverà il voto dei cittadini. Se il BDP (Partito della Pace e Democrazia) riuscirà a conquistare Urfa nel sud-ovest, Mardin a Botan e Van a Serhat, e avendo Diyarbakır già nelle sue mani, otterrà il governo di 4 comuni metropolitani in Kurdistan, la gestione cioè di una sorta di 4 cantoni. I risultati in Kurdistan esprimeranno anche la richiesta del popolo kurdo per la pace. Come il leader kurdo imprigionato Abdullah Öcalan ha sottolineato nel suo ultimo messaggio, letto durante le celebrazioni del Newroz (il capodanno) il 21 marzo scorso: “La pace è più difficile che la guerra, ma ogni guerra contiene in sé la pace. Non abbiamo avuto paura di resistere. Non avremo paura di fare la pace”. Il popolo del Kurdistan ha dimostrato  questa volontà in più di una occasione.
In queste elezioni c’è anche un outsider. Si tratta del neonato HDP (Partito del Popolo Democratico), un partito guidato da due ex deputati del BDP, appositamente creato per rispondere alla più ampia e variegata conformazione sociale di città come Istanbul e in generale dell’ovest della Turchia. La prima prova dell’HDP sarà importante perché darà un’indicazione su ciò che si potrà fare nelle elezioni politiche previste per il 2015.
Per dirla con il co-presidente dell’HDP, Ertuğrul Kürkçü, “le elezioni amministrative non hanno semplicemente e solo a che fare con i ‘servizi locali’. L’ obiettivo politico all’orizzonte delle forze coinvolte in questa battaglia è della massima importanza. La classe lavoratrice – dice – può arrivare al potere soltanto in una repubblica democratica”.
In questo contesto, l’obiettivo di una “repubblica sociale e democratica” che sia espressione politica delle esigenze rivendicate per esempio nella protesta del Parco di Gezi (a Istanbul, l’estate scorsa) e nella lotta per la libertà in Kurdistan, è un obiettivo che può unire in una lotta comune, che vada oltre richieste parziali, kurdi, aleviti, armeni, assiri, laz, arabi, circassi, le donne, i giovani.  Chiunque, in altre parole, non provenga dalla classe, nazione, setta religiosa dominante.
Le elezioni di oggi, e questo ci porta alla terza lettura, sono infatti la prima tappa di una serie di appuntamenti elettorali che determineranno il futuro della Turchia e Kurdistan per diversi decenni. Queste elezioni saranno seguite dalle presidenziali sempre nel 2014 e dalle politiche nel 2015.
I risultati di queste tre elezioni determineranno, combinandosi fra loro, il nuovo carattere politico alle relazioni tra la Turchia e il Kurdistan, ma rispecchieranno anche il nuovo equilibrio di forze nella regione e nel mondo.