Nella foto: 1° maggio 2006, manifestazione di immigrati messicani a San Josè, California, per chiedere maggiori diritti.

Una conferenza accademica svoltasi a Los Angeles, nella quale un gruppo di immigrati ha condiviso le proprie esperienze personali, ha concluso che la condizione di clandestinità di molti giovati stranieri nel paese danneggia la loro salute mentale. Vari esperti dell’Università della California a Los Angeles (UCLA) hanno analizzato l’effetto negativo che tale condizione provoca sulla salute mentale e sulla stabilità emotiva di migliaia di adolescenti ispanici.

“Non ho nessun dubbio sul fatto che la condizione dei giovani sprovvisti di documenti danneggi profondamente gli aspetti più intimi della sicurezza personale dei giovani immigranti”, ha affermato Carlos Juárez, membro del gruppo di sostegno ai giovani clandestini, Collective of Immigrant Resilience through Community Led Empowerment (CIRCLE), di UCLA. Lo stesso Juárez, che frequenta Sociologia a UCLA, ha spiegato che è venuto dal Messico con i suoi genitori quando aveva 13 anni; appena arrivato negli USA, era già cosciente di essere sprovvisto dei documenti anche se “ non parlava di questo con nessuno, né con i professori né con gli amici, per paura dell’espatrio”. Questa condizione però lo colpì profondamente nel momento in cui decise di continuare gli studi. “Quando chiesi a mio padre la mia assicurazione sociale e lui mi spiegò che non era possibile, capii che ciò avrebbe danneggiato non solo i miei studi universitari, ma anche le possibilità di ottenere un lavoro”, ha dichiarato Juárez, che recentemente ha ottenuto un permesso per poter lavorare grazie al programma Azione differita sugli arrivi dei minori (DACA). “Ora ho acquisito maggiore sicurezza; possiedo la patente di guida e non mi rimpatrieranno”, ha commentato il giovane, che, tuttavia teme per sua madre, che non possiede il permesso di soggiorno.

Secondo quanto spiegato dal dottor Fernando Torres-Gil, uno degli organizzatori del convegno, la mancanza di documenti, una condizione che accompagna questi giovani molte volte già dai primi anni dell’infanzia, crea “insicurezza, complessi, carenza di protezione e angoscia”. L’esperto sottolinea che a questi sintomi si aggiunge anche la paura, uno dei fattori più negativi nella vita dei giovani sprovvisti di documenti, che avvertono di continuo la minaccia di perdere improvvisamente genitori e familiari.

Durante la conferenza è stato dichiarato che gli studi ormai confermano gli effetti negativi prodotti dalla condizione di clandestinità, soprattutto nei giovani latinoamericani, come quello condotto nel 2010 dai ricercatori Stephanie R. Potochnick e Krista M. Perreira. La studio osserva che i giovani ispanici hanno un più alto tasso di sintomi depressivi (22%) rispetto ai giovani bianchi (18%), agli asiatici (17%) e agli afro-americani (15%). Secondo tale ricerca, “le pressioni migratorie aumentano il rischio sia dei sintomi depressivi che di quelli dell’ansia” nei giovani latino-americani di prima generazione di età compresa tra 12 e 19 anni che vivono negli Stati Uniti.

Tra le conclusioni del convegno è emersa l’importanza di una maggiore formazione da parte degli educatori su questi argomenti e la necessità di sviluppare soluzioni innovative per supportare l’esperienza migratoria di questi giovani.

Ilaria Benedetti

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