Ritengo che la scomparsa di una persona del calibro scientifico, umano e sociale di Margherita Hack possa essere un’ottima occasione per proporre una riflessione di carattere generale, sul ruolo degli scienziati nella società avanzata, o meglio sul ruolo della scienza come matrice materiale e ideologica: perché gli scienziati (solo per brevità evito la specificazione di genere, che nel contesto accademico è un aspetto importante) sono in un certo senso i “chierici” della scienza, ma sono anche persone inserite nel contesto sociale, che vivono i problemi e le contraddizioni, ciascuno a proprio modo, ma secondo me con un’importante caratterizzazione specifica nel caso degli scienziati.

Voglio precisare, a scanso di qualsiasi equivoco, che la riflessione generale che propongo non è in alcun modo una mancanza di rispetto per la figura della Hack, al contrario ritengo che ne sia una valorizzazione. Qualsiasi persona, dotata delle più alte qualità, non è, e non può essere esente da limiti, e rilevarne certi limiti rende più fecondo il suo lascito morale. In caso contrario si “imbalsamerebbe” la sua figura. Questo è tanto più vero se si cerca di mettere in luce limiti che appartengono si a quella figura, ma si possono interpretare come manifestazioni di limiti più generali, storici o sociali.

Margherita Hack è stata davvero ammirevole, al di là della sua innegabile levatura scientifica, perché ha svolto un impegno sociale e politico straordinario, presente e attiva in tante battaglie sociali, e a fianco di tante persone vessate e perseguitate. In moltissime occasioni ho condiviso e ammirato le sue posizioni, che ha sempre espresso con grande franchezza e coraggio, ma purtroppo non sono la persona più adatta per illustrare questo lato della sua figura, perché non ho avuto il piacere di conoscerla personalmente: altri lo potranno fare molto meglio di me.

Voglio riferirmi invece ad un problema sul quale le posizioni espresse – sempre con grande franchezza – da Margherita Hack sono state diametralmente opposte alle mie. È stato quando, negli anni recenti, vi è stato il tentativo di rilanciare i programmi di costruzione di centrali elettronucleari, poi bocciato dagli italiani nel referendum del 2011. Devo dire che non mi stupì più di tanto un appello di eminenti esponenti scientifici a favore dell’energia nucleare (sebbene si trovassero nella scomoda compagnia di personaggi come Veronesi), perché nella mia vita professionale ho sempre incontrato (e mi sono scontrato nelle occasioni, devo dire rare, in cui qualcuno ha accettato il confronto diretto nel merito) l’adesione acritica al nucleare della stragrande maggioranza dei miei colleghi fisici (fortunatamente con le eccezioni, anche molto autorevoli, anche se in questa sede voglio evitare di fare nomi). Ma la presenza di Margherita Hack in quell’appello mi lasciò la bocca amara. Un collega cercò anche di promuovere un confronto pubblico, ma non so per quali ragioni non si realizzò.

Nelle opinioni della maggioranza dei miei colleghi a favore dell’energia nucleare ho sempre riscontrato, senza mezzi termini, una profonda ignoranza nel merito del problema, e un’adesione acritica. Io non ho grandi meriti, non ho mai lavorato in una centrale nucleare, ma da più di 30 anni mi sono dedicato ad informarmi, a studiare a fondo la tecnologia nucleare, civile e militare, e (cosa che ritengo molto importante) a considerare TUTTI gli aspetti del problema, compresi quelli economici, sociali, sanitari, di sicurezza, etici (per mia grande fortuna, pur non avendo mai lavorato in una centrale nucleare, lavoro a stretto contatto che chi non solo ci ha lavorato, ma ha ricoperto compiti di grande responsabilità, ed è davvero un profondo conoscitore diretto, anzi è diventato anti-nucleare proprio confrontandosi con l’enorme complessità del problema). Non basta essersi laureati in fisica, avere sostenuto i corsi di fisica nucleare, addirittura lavorare nella ricerca nucleare fondamentale, per conoscere la tecnologia nucleare energetica, quella dell’uranio e del plutonio per intenderci. L’ho sperimentato negli anni ’80, quando incontravo in dibattiti pubblici tecnici nucleari, perché bastava ampliare un po’ il problema – appunto agli aspetti economici, sociali, sanitari, ecc. – per venirne fuori benissimo. E l’ho sperimentato quando ho provato a chiedere a colleghi nucleari informazioni su aspetti della tecnologia dell’uranio e del plutonio, e dei reattori nucleari: perché la ricerca nucleare di base studia altri tipi di problemi, le proprietà dei nuclei atomici, i loro livelli energetici, altri tipi di reazioni nucleari. L’uranio e le reazioni di fissione e di fusione nucleare, l’ho sempre detto, non giocano nessun ruolo importante nei processi fisico chimici che avvengono sulla Terra (le stelle sono invece macchine nucleari): è la tecnologia artificiale sviluppata dalle conoscenze scientifiche e tecniche ad avere fatto uscire … il “diavolo dalla bottiglia”.

Ovviamente il problema che ho posto va al di là di Margherita Hack, anche se penso di non farle un’offesa pensando che anche le sue conoscenze della tecnologia nucleare non andassero molto al di là di quelle della maggioranza dei suoi colleghi (magari mi sbaglio, ma in questo caso mi stupirebbero ancora di più le sue posizioni). La riflessione che propongo – scusandomi per utilizzare Margherita Hack come occasione ma, ripeto, penso che la sua figura e il suo ruolo richiamino a proposito questa considerazione, e mi permetto di supporre che ella ne sarebbe contenta – riguarda la natura e il ruolo della scienza moderna, in special modo nella società tecnologicamente avanzata. Cercherò di essere estremamente sintetico.

La scienza moderna si presenta come una forma di conoscenza superiore, per il suo carattere rigoroso, quantitativo, sperimentale, “oggettivo”. Io sono invece convinto che la scienza è solo una specifica forma di conoscenza, adatta per determinati scopi, per nulla superiore alla filosofia o alla poesia (per fare due esempi), anzi inutile e pericolosa se estesa al di fuori del suo ambito: anche un premio Nobel si esprime nella vita comune con un linguaggio anti-scientifico, come “il Sole sorge e tramonta”, mentre conosciamo i danni provocati dall’adottare per forza un approccio quantitativo in problemi in cui l’aspetto qualitativo è essenziale, come la qualità della vita, o le misura del QI.

Ma questa concezione è divenuta la base di una specie di “casta” sociale (denominata comunemente con un termine che non mi piace “comunità scientifica”), depositaria del vero sapere, che costituisce la base di una vera forma di potere: gli altri, la gente comune, meschini, “non sanno”. Quante volte mi sono scontrato con questo atteggiamento: “io sono il tecnico e ora vi spiego come stanno davvero le cose, vi porto i dati”. Ma ancora più grave è il fatto che su questa base si ritiene che la scienza ci faccia conoscere tutto sulla natura e i suoi processi, e legittimi qualsiasi tipo di intervento e trasformazione della natura, purché su base scientifica: ci sono scienziati che senza mezzi termini affermano di “essere più bravi di Dio”! Ad esempio certe modificazioni della materia vivente vengono motivate dicendo che l’evoluzione biologica, per 4 miliardi di anni, è stata cieca, ora la scienza ci permette di controllarla e dirigerla (non entro qui nel merito degli interessi del profitto, ai quali le trasformazioni e innovazioni scientifiche e tecniche spalancano ambiti sempre nuovi, e quindi della complicità della scienza con gli interessi economici).

A mio avviso, e per la mia esperienza, l’adesione acritica della maggioranza dei miei colleghi all’energia nucleare sta tutta qui: poiché è un prodotto della scienza, non può che essere buono! Presenta problemi? La scienza li risolverà.

Non mi dilungo oltre, rinnovando le scuse alla memoria di Margherita Hack (del cui spirito critico, in generale, non dubito), ma questa mi sembra un’ottima occasione per allargare questa discussione, che non è molto popolare, ma è di estrema importanza per il futuro stesso dell’umanità, di fronte alle sfide delle crisi ambientali, e ancora sotto la minaccia dell’olocausto nucleare (per rimanere in tema). Spero di avere gettato un seme: diceva il saggio “meditate gente, meditate”.

Avevo affrontato questo tema al Simposio sulla Nonviolenza ad Attigliano del 24-25 aprile 2009, ma chi fosse interessato può richiedermi altri scritti più circostanziati, in italiano e in inglese: baracca@fi.infn.it.