I motivi dell’attacco israeliano contro la Siria di mercoledì sono ancora oscuri, così come la natura del bersaglio. Ma due cose sembrano chiare. E’ stato collegato alla lunga guerra di Israele contro Hezbollah in Libano, piuttosto che un qualsiasi desiderio di intervenire nei combattimenti in Siria. Tuttavia l’attacco è stato anche un modo per ricordare che i tumulti in Siria stanno avendo conseguenze pericolosamente imprevedibili nella regione.

E’ perciò tanto più urgente identificare una soluzione politica percorribile. Perciò è stata una buona cosa sentire che Moaz al-Khatib, che guida la Coalizione Nazionale Siriana – il gruppo di esuli che appoggia l’intervento armato con il governo siriano ed è sostenuto dagli stati occidentali e da quelli del Golfo – ora appoggia il dialogo con la gente di Basher al-Assad. Non è questo il punto di vista dei leader francesi, britannici e statunitensi o della maggior parte dei colleghi siriani di Khatib, che parlano vagamente di un esito politico ma con ciò intendono semplicemente la resa unilaterale di Assad.

La loro linea irrealistica è stata illustrata bene lunedì, quando la Francia ha ospitato i cosiddetti Amici della Siria. L’analisi è stata tetra. Le istituzioni statali stanno crollando, i gruppi islamisti stanno guadagnando terreno, muoiono sempre più siriani e non c’è una svolta in vista.  “Non possiamo permettere che una rivoluzione iniziata come una protesta pacifica e democratica degeneri in un conflitto di milizie”, ha detto Laurent Fabius, il ministro degli esteri francese, pur mentre parlava di maggiori aiuti sul campo di battaglia.

Numerosi gruppi civici che respingono il confronto armato sono stati ugualmente pessimisti in una riunione a Ginevra. La loro è la voce dell’intellighenzia laica siriana, che si oppone all’intervento militare straniero e favorisce un cessate il fuoco e una soluzione negoziata secondo le linee che Lakhdar Brahimi, il mediatore dell’ONU/Lega Araba, sta tentando di promuovere.  Poiché non appoggiano la linea occidentale, tendono a essere ignorati dai politici stranieri.

Molti vivono in Siria. In realtà il loro contingente a Ginevra avrebbe potuto essere più impressionante se le autorità svizzere non avessero negato il visto a circa sessanta persone. Rajaa al-Nasser, un avvocato siriano dell’Organismo Nazionale di Coordinamento per il Cambiamento Democratico, afferma che un dirigente svizzero gli ha detto che il motivo è stato politico. Haytham Manna, leader dell’ala estera della Coalizione Nazionale Siriana, ritiene che la Francia abbia chiesto alla Svizzera di bloccare gli affiliati, che avrebbero potuto sgonfiare il mito che i vassalli dell’occidente rappresentino l’intera opinione pubblica siriana. Il ministero degli esteri svizzero non è stato disponibile a commentare.

Gli oppositori nonviolenti ad Assad si tormentano prevalentemente sull’accettazione o meno della sua offerta, recentemente rinnovata, di un “dialogo nazionale”. Molti hanno trascorso anni in carcere e non si fidano del governo. Ma con l’aumentare delle vittime, gli oppositori che favoriscono i negoziati hanno vinto a Ginevra, chiedendo colloqui su una nuova costituzione e un governo di transizione.

Nel frattempo, con sorpresa di tutti, mercoledì gli stati del Golfo – normalmente non grandi fornitori di aiuti – sono venuti fuori con la maggior parte di fondi per finanziare un appello dell’ONU per 1,5 miliardi di dollari per aiutare i senzatetto siriani nel paese e nei campi profughi all’estero. La Gran Bretagna ha aggiunto cinquanta milioni di dollari. Per quanto ciò sia importante, i ministeri britannici sono rimasti in silenzio come i loro amici del Golfo sulle cause reali del disastro umanitario. A stare a sentire loro si penserebbe che il governo siriano sia l’unico colpevole.

Nel 2011 le forze siriane hanno sparato con proiettili veri contro dimostranti disarmati e il loro uso dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei è stato spesso sproporzionato, come hanno affermato anche ministri russi. Ma la crisi si è aggravata a causa delle armi e del supporto logistico offerti dai governi arabi e occidentali. William Hague può proclamare che la Gran Bretagna fornire solo “equipaggiamento non letale”, ma è un sofisma. Appoggiando una parte in una rivolta armata e contribuendo alla militarizzazione mediante radio da campo e attrezzature satellitari, la Gran Bretagna ha le mani sporche di sangue.

Dar generosamente da mangiare e un alloggio a civili senzatetto aiuterà, ma i siriani sarebbero serviti meglio da una politica intelligente che dalla carità, da un embargo alle armi contro entrambi gli schieramenti e da tentativi seri di persuadere i ribelli e il governo che la vittoria militare è un’illusione. La Coalizione Nazionale Siriana dipende dal sostegno estero. E’ arrivata l’ora che l’occidente dica ai suoi amici di collaborare con Brahimi a un cessate il fuoco e che la Russia e l’Iran sostengano la stessa posizione con Assad. Due tentativi di un cessate il fuoco hanno fatto poca strada l’anno scorso perché i ribelli e i loro patroni non li hanno presi sul serio. Oggi è necessario uno sforzo molto più intenso.

di Jonathan Steele

Fonte: http://www.zcommunications.org/syria-how-we-can-end-the-bloodshed-by-jonathan-steele

Originale: The Guardian

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0