Si è parlato molto di Welfare in queste settimane pre-elettorali in Italia e negli ultimi mesi in Europa ed USA in occasione del “fiscal cliff” (baratro dei tagli alla cieca della spesa pubblica): in genere si parla di tale argomento, della sanità, della famiglia, ma anche delle infrastrutture, della scuola o della ricerca con evidenti amnesie rispetto alla disponibilità di risorse.
Sicchè le formule variano da: 1) riduzione di tutte le spese pubbliche per favorire quella delle tasse e, quindi, la libertà dei privati di decidere i dosaggi del proprio welfare (si va dagli estremisti americani del “tea party” ai “moderati” montiani e filomontiani di casa nostra; 2) in condizioni di risorse “scarse” si studia cosa tagliare e cosa difendere (la scuola, oppure la ricerca, oppure i sussidi ai disoccupati); 3) grandi programmi (elettoralistici?) per la famiglia, la scuola, il Welfare, ricordandosi – al dunque – che “non ci sono i soldi”!
Il grande tema – di cui non s’è parlato né in Europa, né in USA, né in Italia adesso – è proprio questo: con risorse scarse i tagli alla spesa porteranno all’ingestibilità di tutti i comparti del Welfare e dintorni, mentre la pressione fiscale continuerà a mordere in modo insopportabile, soprattutto se il debito pubblico tenderà a crescere e l’opportunità di ridurre il peso degli interessi non verrà colta. Il debito pubblico aumenterà in rapporto al PIL per la semplicissima ragione che le politiche per lo sviluppo non si fanno (ad esempio, in Italia) o sono troppo timide (altri Paesi europei).
Gli interessi si possono ridurre unilateralmente (come fanno da sempre Giappone, USA, Francia e Germania) oppure si può portare tutto il debito – quindi anche gli interessi – fuori dal perimetro dello Stato con un fondo di garanzia tenuto da una Spa che gestisce tutto il patrimonio da reddito degli enti locali.
In Italia, un passaggio del genere libererebbe la spesa pubblica di oltre 80 miliardi l’anno da spendere – almeno in gran parte – per Welfare e dintorni.
Con la metà di quegli 80 miliardi cominceremmo a cambiare la situazione dell’economia: ma che dire del fatto che la BCE ha messo a disposizione delle banche non 40, non 400, ma quasi 4.000 miliardi (per i noti problemini di liquidità)?
Dunque: dov’è la scarsità delle risorse? Essa è un’arbitrarietà che vale solo per l’economia reale ed il finanziamento dello sviluppo non per intervenire a favore delle banche e degli Stati (mercato dei titoli pubblici).
Le risorse non sono scarse: questo è il punto, questa la certezza da cui la politica dovrebbe ripartire. E invece no: la politica – al pari della cosiddetta antipolitica – sa parlare solo di poltrone, di arrivare in Parlamento o, il che è lo stesso, di cacciare qualcuno (Renzi, Grillo).
Sia chiaro: la pretesa che le risorse siano scarse è il passaggio fondamentale per arrivare ad abolire la democrazia, la libertà, il welfare, gli ospedali pubblici, la scuola pubblica, il minimo di civiltà in cui tutti dovremmo credere (parafrasando Benedetto Croce, per dirci Cristiani).
La sinistra di Vendola, di Ingroia, di Fassina chiede giustizia sociale e, in nome di essa, che sia tolto di più ai ricchi per darlo ai poveri; in realtà – se non è chiaro che le risorse pubbliche potrebbero abbondare o, come si cercherà di chiarire tra un attimo, essere adeguate – tutto si trasformerà in guerra tra poveri che è già iniziata fra ospedali di eccellenza che non riescono a pagare gli stipendi, sussidi per certi lavoratori esuberati e non per altri, pretesa mancanza di fondi per mettere in sicurezza le scuole invece delle strade.
Sono più di 40 anni che la moneta ha perso qualsiasi legame con l’oro e, quindi, a cosa è legata? Qui ci sono due scuole (a parte coloro che, in buona fede perché non capiscono proprio l’argomento, o in mala fede perché temono le straordinarie conseguenze dello sviluppo democratico connesso alla crescita dei livelli di civilizzazione): 1) la moneta può (e deve) essere tanta quanta ne serve in rapporto a investimenti produttivi ovvero che apportano un guadagno (il che vuol dire che tutte le spese non produttive in senso stretto, ma necessarie o utili o belle devono trovare copertura attraverso le scelte della tassazione sul lavoro e le altre attività produttive); 2) lo Stato o la Banca Centrale possono stampare (o autorizzare) mezzi monetari senza veri limiti, ma, certamente, finalizzandoli a obiettivi ragionevoli (e la tassazione servirebbe solo a recuperare la moneta stampata e fatta circolare).
Le due concezioni non divergono così tanto se non agli estremi, ma al centro si possono toccare: vale a dire che esiste una politica monetaria per finanziare tutte le attività economiche e culturali regolata da un livello minimo dell’interesse e da una pressione tributaria capace di evitare nella società un accumulo ingestibile di moneta.
Ovviamente, una moneta siffatta ridurrebbe l’importanza del risparmio alla sola esigenza di scorte per le attività produttive e la vita di tutti i giorni: e saremmo in un mondo keynesiano “perfetto” che, come tutte le cose umane, così perfetto non sarebbe mai: ma questo è un approfondimento da sviluppare in un’altra occasione.
Quello che, invece, preme qui sottolineare è che il pianeta sta rischiando di perdere la grande opportunità di accoppiare la crescita delle coscienze e quella di un’economia a misura d’uomo non perché banalmente abbondante, ma perché adeguata e giusta (condivisa).
E’ vero che gli USA hanno disposto di sovranità monetaria – grazie al dollaro – ma l’hanno finalizzata ad aberranti dinamiche speculative o a guerre del tutto controproducenti: se avessero, invece, investito in grandi infrastrutture, nella esplorazione dello spazio, in un Welfare decente, sicuramente gli Americani ed anche noi staremmo molto meglio di come stiamo!
L’Europa è del tutto miope, per non dire cieca: si autorizzano migliaia di miliardi (trilioni) di euro per ovviare ai danni che le banche stesse si sono procurate senza imporre loro di scegliere tassativamente tra attività speculative e credito ordinario; poi si dice che mancano i soldi per il Welfare, gli ospedali, le scuole.
Basta. Basta!
Ecco, invece, che la Cina – al Congresso dello scorso novembre del Partito Comunista – ha ribadito che la sua sovranità monetaria dovrà enfatizzare maggiormente lo sviluppo interno e di meno le esportazioni (e, aggiungeremmo noi, il dumping sociale).
Ci sono Paesi che, grazie alla loro sovranità (che vuol dire fare il contrario di quello che chiedono le organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario), stanno crescendo bene e vertiginosamente: Brasile, Russia, India, Argentina…
E, poi, ci sono quelli “poveri”, in genere perché la loro spoliazione è utile a chi deve fare man bassa delle loro risorse, ovvero perché non riescono ad organizzarsi per valorizzare quello che hanno.
Ma è veramente giunto il momento di capire quanto sia inutile parlare di Welfare, di sanità, di pubblica istruzione, di occupazione, di infrastrutture, di ricerca, di sviluppo economico senza partire dalla nuova situazione: oggi le risorse finanziarie sono una funzione lineare della loro stessa domanda.