Riflettevo, questi giorni, sulla necessità di definire meglio un giornalismo etico, un giornalismo nonviolento, umanista. Ne discutiamo spesso nella nostra redazione virtuale, sparsi come siamo ai quattro capi del mondo: chat, email, telefonate; qualche volta riusciamo perfino a vederci. Ne discutiamo e non siamo mica sempre d’accordo, anche se tutti facciamo parte della stessa redazione e perfino dello stesso movimento.

Così porto un contributo al dibattito interno e lo apro anche ai nostri lettori e butto giù qualche idea per un giornalismo etico; sperando con questo di ricevere altri contributi in materia.

In primo luogo credo che sia buono chiarire che cosa non è: non è il giornalismo basato sul profitto. Non pubblico qualcosa perché vende; meno che mai perché lo vogliono i miei sponsors; non lo pubblico nemmeno per fare un favore di qualche tipo a qualcuno, incluso i miei amici; quella si chiama propaganda ed abbiamo numerosi esempi di questo nella storia ma anche nella situazione attuale: i video falsi ed incontrollati dei massacri di turno nel paese che deve essere invaso il mese prossimo, tanto per restare nell’attualità.

Una forma forse un po’ più sottile della semplice propaganda è la manipolazione che crede di poter orientare le coscienze verso false necessità e false ragioni: la paura del diverso, poveri contro poveri (si salvi chi può!), la crisi economica (e le sue presunte soluzioni) come fatto indiscutibile e che non ammette alternative, giusto per fare qualche esempio.

Per cui, sintetizzando: non vendo, non faccio favori a nessuno, non faccio propaganda, non promuovo la manipolazione.

E cos’è in positivo?

In primo luogo una chiara dichiarazione del punto di vista. Ancora c’è chi crede, ingenuamente, che i media raccontino cosa succede nel mondo. I media, inevitabilmente, raccontano una parte della realtà e lo fanno da un *punto di vista*: non è possibile fare altrimenti. La vecchia storica divisione tra *fatti* e *commenti* tipica del giornalismo anglosassone è superata: la notizia è una *struttura* e in questa struttura c’è sempre l’occhio del giornalista che guarda da una particolare angolazione, con le sue idee, le sue credenze e, soprattutto, le sue intenzioni.

Così la cosa più importante di un giornalismo etico è esplicitare questo *punto di vista*; l’etica umanista, nonviolenta pretende di definire un giornalismo che metta l’accento sui progressi dell’umanità nella direzione dell’umanizzazione, sulla critica radicale del sistema mentale, economico e di relazioni esistente, sullo sforzo umano per il superamento, per la difesa dei diritti umani, la convergenza nella diversità, ecc.

Accade che qualcuno, in buona fede, non chiarisca il suo punto di vista, così come, più frequentemente, qualcuno lo occulti a bella posta, così da dichiarare “naturale” una precisa intenzione umana; il giornalismo etico ed umanista dovrà chiarire chi si sbaglia e smascherare chi occulta.

Un valore forte per noi umanisti è l’esperienza; nel giornalismo questo si dovrebbe applicare nel tentativo di essere sempre il più possibile *vicini* a ciò che vogliamo raccontare; essere sempre il mezzo, la voce dei protagonisti, il luogo di dibattito tra le parti, il confronto delle opinioni, la narrazione diretta degli avvenimenti. In mezzo alla gente, e non solo quando sono il tema alla moda ma anche e soprattutto quando si spengono i riflettori mediatici: che fine hanno fatto gli indignati? Sono forse spariti? Certo che no, sono spariti dalla scena mediatica, non da quella umana.

Un altra cosa a cui stare attenti è quello che Chomsky chiama il “banditismo semantico”: usare le parole a sproposito, falsificarne il significato fino a fargli dire l’esatto contrario: la “guerra umanitaria” è un esempio classico; far passare i manifestanti nonviolenti per violenti perché “violano le leggi civili” e, bloccando una strada, generano disturbo alla quiete pubblica…

Infine io credo che dobbiamo riscattare anche alcuni elementi del giornalismo classico che non hanno cessato di essere dei validi strumenti di lavoro: la citazione delle fonti, il dare la possibilità diretta al lettore di verificare ciò che scriviamo, il diritto alla replica, la verifica scrupolosa dei fatti citati.

Perché, nel mondo dell’imperinformazione, del tutto e del contrario di tutto, informare è una grande responsabilità; e un eccellente modo di contribuire alla comparsa del mondo del futuro, quel mondo a cui tutti aspiriamo.