Sin dall’investitura il ‘governo dei tecnici’ aveva preparato il terreno parlando di sacrifici ed azione immediata e introdotto termini, più graditi, come ‘rigore’ ed ‘equità’ cosa rimane di quelle sagge parole?

La manovra era mirata in primo luogo a convincere i partner europei e i mercati della serietà ed entità dello sforzo di risanamento finanziario italiano. Insomma, del fatto che Monti non è Berlusconi (né Tremonti) e che dunque gli obiettivi scritti sulla carta dal governo precedente – in primis il pareggio di bilancio nel 2013 – saranno raggiunti.

L’equità, sebbene annunciata, non era una priorità della prima manovra Monti, nella quale il peso del riequilibrio dei conti è affidato soprattutto all’aumento del carico fiscale, e in particolare alle imposte sulla casa e sui consumi. Le imposte sui consumi (Iva e accise, cioè benzina) sono di per sé regressive, ossia colpiscono maggiormente i più poveri, che destinano alla spesa per consumi una percentuale maggiore, a volte totalitaria, del loro reddito.

Quanto all’imposta sulla casa, questa è solo lievemente progressiva: il meccanismo delle detrazioni può avvantaggiare, o salvare, i contribuenti più poveri, con più figli o con case di minor valore (anche se i valori catastali sono assai poco significativi rispetto al reale valore degli immobili). C’è un inasprimento per le seconde case, con manovre possibili a discrezione dei comuni, ma nell’insieme si può dire che questa tassa colpisce in misura maggiore il ceto medio-basso, in particolare coloro che si trovano a dover pagare nello stesso tempo Ici e rate di mutuo crescenti sulla propria abitazione.

L’altro pezzo portante della manovra sono le pensioni, e qui i contributi più forti vengono da una o due generazioni di lavoratori e lavoratrici dipendenti – che restano ‘bloccate’ al lavoro per alcuni anni – e dai pensionati, per i quali è annullata per due anni la scala mobile, senza possibilità di recupero (sono esclusi solo i più poveri, e l’asticella, fissata dal governo intorno all’importo dell’assegno sociale, è stata alzata dal parlamento intorno ai 900€ al mese).

Il peso della manovra è dunque molto squilibrato su queste fasce di popolazione: difficile vedere una ‘compensazione’ adeguata nell’introduzione di una mini-patrimoniale sui valori mobiliari (attraverso l’imposta di bollo) e nella stangatina su auto potenti ed elicotteri.

L’ipotesi di aumentare l’aliquota Irpef per i redditi più alti è stata ventilata e poi scartata, mentre di una patrimoniale ordinaria estesa a tutti i patrimoni per ora non si parla per motivi che vengono definiti ‘tecnici’ ma che sono con tutta evidenza politici: verrebbe meno il consenso dell’ex-maggioranza di centrodestra al governo. Per quanto difficile, nel quadro politico dato, si poteva però ipotizzare un intervento straordinario che colpisse di più chi ha di più, e in particolare chi ha accumulato maggior ricchezza negli anni del boom della finanza e dell’immobiliare.

Solo dopo il varo della manovra, con i commenti al blitz della Gdf a Cortina, l’attenzione pare spostata verso la lotta all’evasione fiscale: si aspettano ora sviluppi e altri provvedimenti concreti, ma in tema di fisco anche l’immagine e il messaggio che si lancia contano molto. Nei prossimi giorni si capirà se è stata solo una boutade oppure se seguiranno altri gesti conseguenti – soprattutto nell’azione concreta di repressione dell’evasione e della corruzione, ma anche nei comportamenti della classe politica e nelle decisioni sui suoi ‘esemplari’ imputati in processi di questo tipo.

Se da un lato è evidente identificare le ‘vittime’ della manovra, dall’altro gran parte dei canali mediatici non enfatizza molto su chi potrà addirittura trarne beneficio. Provando ad andare oltre, quale Italia salverà il ‘Salva Italia’?

Nelle intenzioni del governo, dovrebbe salvare la permanenza dell’Italia nel meccanismo dell’euro, e così facendo salvare anche la sopravvivenza dell’Europa; difficile infatti pensare a un’unione monetaria senza uno dei paesi fondatori del MEC (mercato europeo unico, ndr). Qui, a mio avviso, c’è il nodo principale della questione: poiché se è vero che, senza la manovra, poteva saltare tutto, è anche vero che la manovra di per sé non mette in sicurezza i conti pubblici dall’attacco della speculazione. E questo sia perché il suo effetto depressivo sui consumi e sugli investimenti potrà fare avvitare il paese in una crisi senza sbocchi, sia perché basta un battito d’ali di farfalla sui mercati finanziari per far risalire il famoso ‘spread’ e annullare così sacrifici e tagli.

Insomma, c’è il rischio fondato che la manovra sia inutile, e questo appesantisce la percezione delle iniquità che ci sono: in fondo, uno può anche accettare di dare oro alla patria per una causa giusta, ma è inaccettabile bruciare risorse nel calderone della speculazione finanziaria. Se invece queste previsioni si dovessero rivelare pessimistiche (ma così non pare, a stare alle preoccupazioni espresse dallo stesso Monti presso i partner europei), la manovra avrebbe avuto l’effetto di salvare, sulle spalle dei soliti noti, le condizioni minime per mantenere l’Italia nel consesso europeo: resta da fare tutto il resto, cioè migliorare la vita e il benessere, il lavoro, di tutti coloro che hanno perso di più nell’Italia degli ultimi venti anni: i senza lavoro e i giovani, in primo luogo.

Il Governo tecnico è nato per mettere in piedi delle contromisure alla crisi finanziaria che, in quanto tale, è stata generata dai meccanismi della finanza speculativa. Le vittime del sistema sono ancora una volta i cittadini mentre il sistema finanziario resta illeso. C’è una reale volontà di controbattere la ‘guerra’ degli speculatori agendo sul loro terreno più che su quello di cittadini e dell’economia reale?

Non abbiamo risparmiato critiche al governo Monti, ma con tutta evidenza quella di tagliare le unghie alla speculazione non è attività che si possa sbrigare in un solo paese. L’Italia può certamente fare la sua parte, in particolare inasprendo il peso fiscale sui capitali ‘scudati’ (quelli rientrati con il condono di Tremonti) e facendo una vera guerra all’evasione e alla mafia dei colletti bianchi, che alimenta anche la speculazione finanziaria.

Ma serve anche una politica a livello globale, che parta dalla Tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziarie speculative proposta anni fa dal premio Nobel Tobin (maestro di Mario Monti). L’attuale governo italiano ha cambiato la posizione del precedente, e si è espresso in sede europea a favore della Tobin tax, ma a quanto pare il veto britannico impedirà anche stavolta una qualche decisione: è possibile che l’Europa intera non riesca a smuovere la posizione di Londra?

O è un gioco delle parti, in modo tale che ciascun leader faccia bella figura davanti al suo elettorato? In ogni caso, oltre a un meccanismo fiscale del tipo di quello ipotizzato da Tobin, servono altre misure per riportare le banche al loro ruolo originario (quello di dar credito al sistema produttivo e alle famiglie), ridimensionare la finanza, separare l’attività speculativa da quella creditizia, vietare o limitare considerevolmente alcuni strumenti finanziari ‘diabolici’ alla base della crisi attuale (come i derivati e i CDS).

Invece pare che l’intenzione della BCE – anche per assenza di strumenti concreti di intervento di altro tipo – sia quella di finanziare a basso costo le banche perché queste possano aggiustare i loro bilanci comprando i lucrosi titoli del debito pubblico dei paesi ‘canaglia’ – tra i quali l’Italia.

In barba a certe ‘miopie’ del governo tecnico, da anni Sbilanciamoci ha proposto una serie di misure che potrebbero avere una certa efficacia nel risollevare le sorti del paese senza penalizzare il cittadino e l’economia reale.

Da anni la campagna Sbilanciamoci! dimostra che un’altra politica economica è possibile, da subito, senza rincorrere miti irraggiungibili o coltivare scorciatoie dubbie (mi riferisco a chi punta tutto sui tagli ai ‘costi della politica’ che vanno fatti, ovviamente, ma che non sono certo numericamente preponderanti; e mi riferisco anche a chi pensa che da un giorno all’altro si possa denunciare il debito e smettere di pagarlo, con una bancarotta dello Stato che porterebbe solo più miseria per i ceti più deboli).

Ci sono molte cose da fare, a partire dal taglio delle spese militari; notiamo con piacere che la campagna contro il cosiddetto ‘eurofighter’ – il caccia da combattimento supertecnologico che ci siamo impegnati a comprare – sta conquistando adepti e popolarità anche presso la grande stampa.

Il taglio alle spese della difesa è insieme concreto, importante nelle sue grandezze e anche simbolicamente fortissimo.

[Dario Lo Scalzo](http://www.ilcambiamento.it/autori/dario_lo_scalzo/)