**Ricordando Vik**

**Jeff Halper** – Fonte: Israeli Committee Against House Demolitions

Vik era davvero una persona esagerata. Era così pieno di energia, un misto di gioia, cameratismo, e impazienza verso i confini delle barche o delle prigioni come Gaza, che all’improvviso ti prendeva in braccio e ti sollevava, o “faceva a botte” con te – era un bel ragazzo, grande e grosso, forte, esuberante e sorridente perfino nelle situazioni più opprimenti e pericolose – come per dirti: “Yaala (“Muoviti! Forza!” in arabo, n.d.t.)! Queste navi militari israeliane che sparano contro di noi e i pescatori palestinesi non riusciranno a prevalere sulla nostra solidarietà, sulla nostra indignazione e sulla giustizia della nostra causa!” (Vik rimase ferito in uno di questi scontri). Lui si avvicinava da dietro, alle spalle, e ti diceva: “L’Occupazione cadrà…proprio…così!”, (e scherzando ti buttava a terra, ridendo e giocando insieme a te).

Vik, che come me aveva ricevuto la cittadinanza palestinese quando rompemmo l’assedio ed entrammo nel porto di Gaza nell’agosto 2008, era un costruttore di pace esemplare. Nonostante avesse la sua famiglia in Italia, ha condiviso la sorte dei palestinesi con tutto se stesso, come era solito fare. (Sulla sua pagina Facebook c’è scritto: “vive a Gaza”). Era conosciuto soprattutto perché accompagnava i pescatori che cercavano di portare avanti il proprio lavoro nonostante i bersagliamenti pressoché quotidiani da parte della marina israeliana, che li confinava nelle acque ormai prive di pesci e piene di liquami vicino alla costa di Gaza. Almeno diciotto pescatori sono stati uccisi negli ultimi dieci anni, circa 200 sono stati feriti, molte imbarcazioni sono state fatte naufragare e molte attrezzature sono state danneggiate. Ma egli si lasciava coinvolgere profondamente dovunque ci fosse bisogno di lui a Gaza, tra i contadini come tra i bambini che avevano subito traumi, nei momenti di angoscia e dolore – il suo libro, “Gaza: Restiamo Umani”, testimonia le sue esperienze tra la gente durante le tre settimane di attacco da parte di Israele nel 2008-2009 – o semplicemente stando con la gente nei caffè o nelle case.

Quando si è appresa la notizia del suo rapimento, centinaia di appelli sono sorti spontaneamente, e non provenivano soltanto dalla comunità pacifista internazionale, ma soprattutto dalla popolazione palestinese angosciata di Gaza. Oggi si terrà una cerimonia commemorativa a Gaza City e in altre parti dei Territori Occupati.

Oltre che a Gaza, Vik ha lavorato sulla West Bank, ed è stato in carcere tre volte prima di essere espulso da Israele. Ma il suo lavoro di pace non si concretizzava solo in questa forma di attivismo. Vik era un maestro della comunicazione – fisica, verbale, scritta (il suo blog, Guerrilla Radio, era uno dei più popolari in Italia) – e metteva insieme, senza sforzo, esperienze personali, reportage e analisi.

Vik era ciò che possiamo definire un “testimone”: una persona che fisicamente stava insieme agli oppressi e ne condivideva i trionfi, le tragedie, le sofferenze e le speranze. E inoltre era uno che attraverso le sue azioni cercava di provocare un cambiamento autentico. Lui, come Juliano, Rachel e molti altri che hanno sacrificato se stessi per la pace e la giustizia in Palestina e nel resto del mondo, lascia un vuoto enorme nei nostri cuori, nelle nostre vite e nella lotta.

Uomo, mi manchi. Ma ogni volta che mi sentirò stanco o scoraggiato, ti sentirò mentre mi sollevi con forza e, con il tuo sorriso enorme e la tua risata, minacci di buttarmi a mare se solo ho qualche esitazione nel lanciarmi nella lotta. Tu eri e sei la forza tellurica della battaglia contro l’ingiustizia. Ci sosterrai sempre e ci ispirerai. Come i pescatori palestinesi che amavi così tanto, noi e tutti coloro che combattono per le cose fondamentali della vita in tutto il mondo, ci impegniamo a portare a termine la tua visione.

Ciao, amico.

Note:
Jeff Halper, urbanista israeliano e già docente di antropologia all’Università Ben Gurion del Negev, coordina il Comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi (Icahd).

*Tradotto da Antonella Recchia per PeaceLink*