Adelmo Cervi, con Giovanni Zucca “IO CHE CONOSCO il TUO CUORE”, Edizioni PIEMME, Milano 2014

Storia di un padre Partigiano raccontata da un figlio.

La più grande storia della nostra Resistenza dalla voce di un testimone bambino.

Recensione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici – ANPI Nova Milanese

 

Adelmo Cervi è un ex ragazzo di oggi, figlio di un padre strappato alla vita, che racconta quel padre, Aldo, Partigiano con i suoi sette fratelli nella banda Cervi, per narrare la sua storia e per rivendicare di essere figlio di un uomo e non di un mito pietrificato dal tempo e dalle ideologie. Adelmo vuole, con questo libro, raccontare non la Storia, ma una storia, in cui riporta quello che gli hanno raccontato e lo “condisce” abilmente – grazie alla collaborazione dello scrittore Giovanni Zucca – con quello che invece non gli hanno mai raccontato e con quello che ha scoperto e imparato leggendo libri e parlando con parenti, amici e studiosi. Non è la sua storia. È la storia di un uomo che non c’è più. Sette uomini, sette vite, sette morti e sette medaglie. E una cosa sola: un mito in cui i singoli uomini spariscono. Loro non erano una cosa sola. Erano sette fratelli e avevano ognuno un nome, un carattere, una vita, una storia.

Uno di loro era il padre di Adelmo, della voce narrante di questo libro, ossia era Aldo Cervi. Aldo voleva cambiare il mondo e, insieme al fratello più grande, Gelindo, aveva convinto gli altri fratelli che era giusto cambiare una realtà di miseria, di ristrettezze e soprusi.

I sette fratelli sono stati travolti da una tempesta chiamata guerra: in un mondo che perseguitava e sterminava i diversi; che opprimeva i lavoratori, sfruttandoli fino alla morte; che, quando doveva liberarsi dei rivoluzionari, lo faceva senza scrupoli.

Ancora giovanissimo, Aldo assiste all’insorgere minaccioso del fascismo, della dittatura. L’ombra oscura del fascismo si allunga sulle campagne reggiane, seminando vigliaccamente lo scompiglio e il terrore: aggressioni, prepotenze, intimidazioni che contrastano le leghe contadine e le cooperative sotto la minaccia mafiosa degli squadristi armati.

Aldo si è “voltato” a queste acerrime condizioni.

Imprigionato a Gaeta, prese coscienza della propria appartenenza di classe, leggendo molti libri, da Marx al Vangelo: libri che predicano la liberazione dall’oppressione.

I Cervi, da Valle Re ai Campi Rossi, erano contadini, che avevano creato dal nulla, non solo un’azienda familiare all’avanguardia, ma anche un modello di propaganda clandestina contro il regime, tramite un internazionalismo proletario concreto e efficace.

Dopo la svolta di Gaeta, Aldo cominciò a discutere di politica, a fare propaganda antifascista con costanza e a imparare anche la prudenza.

Il regime non lo sa ancora, ma Aldo Cervi, con l’aiuto dei suoi sette fratelli e la complicità di un gruppuscolo di comunisti e simpatizzanti dei dintorni sta già lottando contro, con l’idea di fare Resistenza. I Cervi infatti agiscono, intensificando la controinformazione con l’aiuto di Lucia Sarzi, un’attrice girovaga e altri giovani di Campegine e dintorni… fino alla caduta del fascismo nel 1943. Ma la guerra continua e loro invece volevano la Pace. Ai Cervi non interessa la patria, che non coincide con un mondo più giusto e più libero. Nel frattempo i Russi stanno morendo a milioni per salvare il sogno della rivoluzione dagli artigli di Hitler.

La Resistenza è dire no. La Resistenza è sorridere dentro, perché sai che ti stai opponendo per il cambiamento, in nome della vita e non della morte, con le emozioni vere, condivise con i compagni, che non hanno limiti, né bandiere, né confini. E come cantano anche i Modena City Ramblers:

chi non vuole chinare la testa,

con noi prenda la strada dei monti

Ma i capi del comitato militare di Reggio hanno deciso che il modo di agire della banda Cervi è troppo pericoloso e che se qualcosa non funziona, l’intera rete clandestina del partito rischia di saltare.

E così hanno ordinato di lasciarli soli.

Vi hanno lasciati soli.

Le loro vere armi erano gli ideali, i libri, la vanga e il trattore. Aldo era già partigiano prima ancora di toccare un’arma. Partigiano perché “di parte”, di quella parte che lui sentiva giusta. La stessa parte dove sta adesso il figlio Adelmo. La parte della Pace. Della giustizia. Dell’uguaglianza. La parte dei fratelli Cervi.

I Cervi, entrati nel mito, in qualche modo non sono mai morti, come cantano i Gang in coda alla loro canzone, perché quando non ci si vede ben chiaro, a volte è meglio lasciar parlare gli artisti, i poeti, i musicisti, con qualche idea in più:

sette uomini sette

sette ferite

e sette solchi

ci disse la pianura

i figli di Alcide

non sono mai morti