Foto di danilodolci.org

Se mi ammazzano o il cuore
mio si lacera, non vi lascio
case, terreni, denari –
amici della terra che vi ha cresciuti,
cittadini del mondo:
angustia
ogni volta che vi chiuderete in nidi.

Vi sono grato
di non esservi vergognati
quando mi erano contro quasi tutti,
né vi siete infatuati se accadevano applausi.

Ho cercato con voi intensamente
oltre l’attimo e il giorno –
forse vi pungerà nostalgia
delle nostre riunioni, del cercare
di risolvere insieme.

Danilo Dolci, Un cosmo vivo. Poesie 1968 – 1996

Un gioiello infranto e un nuovo inizio

Alcuni viaggi comportano, oltre al movimento fisico da un luogo all’altro, uno spostamento nel tempo – in questo caso tra memoria, presente e futuro – e un’oscillazione tra lo spazio interno e quello esterno. Si tratta di quelle esperienze che gettano in noi i semi di un cambiamento talvolta lento e impercettibile, che deve maturare e del quale non sappiamo definire esattamente direzione e confini.

Chi arriva a Trappeto ha l’impressione di trovarsi in uno di quei borghi dalla fisionomia anonima e senza storia, che il caso ha voluto affacciato sul mare determinandone l’attuale destino di meta turistica; e invece è proprio qui che ha visto la luce l’avventura umana di Danilo Dolci e del Borgo di Dio, così limpida, nel Novecento, da confermare quell’attitudine tutta italiana a occultare e a deturpare il suo volto migliore. E in effetti le strade di Trappeto serbano poco o nulla dell’impegno profuso  da Danilo Dolci per ben quarantacinque anni, dal 1952 fino alla morte, e grazie al quale questo piccolo centro divenne il fulcro di una proposta rivoluzionaria capace di attrarre attivisti, intellettuali, esperti di ogni campo del sapere da ogni parte d’Italia e dal mondo (Elio Vittorini, Lucio Lombardo Radice, Ernesto Treccani, Antonio Uccello, Eric Fromm, Johan Galtung, Emma Castelnuovo, Clotilde Pontecorvo, Paolo Freire, Carlo Levi, Gianni Rodari, e tanti altri): restano solo una targa a ricordare la casa in cui Danilo fece il suo primo digiuno, una poesia commemorativa della sua presenza tra i pescatori, un murale scovato per caso durante una passeggiata, e la scuola media a lui intitolata.

Per raggiungere il Borgo di Dio chiediamo indicazioni a un passante; il suo volto si illumina indicandoci una stradina in salita, e aggiunge: “È lì che andavo sempre a giocare da piccolo. Sono contento che oggi il Borgo rinasca”. Una frase che sentiremo spesso nel corso del nostro brevissimo soggiorno, a ricordare un luogo amico dove qualcosa di prezioso ci è stato donato.

Edifici costruiti per accogliere e condividere, una grande sala per le riunioni, l’auditorium ancora chiuso e un ampio parco ombreggiato; uno spazio immenso, alla cui progettazione parteciparono, tra i tanti, Ludovico Quaroni, Carlo Doglio, Bruno Zevi, Edoardo Caracciolo, Giovanni Michelucci, Lamberto Borghi, Paolo SylosLabini, Sergio Steve, Giorgio Fuà, Giovanni Haussmann, Carlo Levi,   affacciato sul centro abitato e sul mare, a significare, forse, l’apertura verso il mondo esterno e verso quello interno della bellezza e della poesia.  “Un gioiello infranto”, lo ha definito uno dei presenti,  poiché negli anni successivi alla  morte di Danilo Dolci questo luogo, che nel corso dei suoi anni migliori ha accolto centinaia di persone, bambini, insegnanti, studiosi, gente semplice, è stato oggetto di incuria prima e di atti vandalici poi.

Grazie alla caparbietà degli eredi e del Centro Sviluppo Creativo “Danilo Dolci” è stato possibile dirimere una complicatissima questione burocratica e successivamente avviare il progetto che ha portato al recupero degli spazi. Così, oggi il Borgo di Dio ci accoglie con le sue sale bianche e fresche, il parco, e una vista mozzafiato: il ristoro migliore dopo il lungo viaggio che ci ha portati qui.

Foto di Ileana Prezioso

L’emozione è palpabile tra i presenti: i figli e i familiari di Danilo Dolci, i collaboratori storici, gli amici più recenti; persone impegnate nei campi più diversi – la scuola, l’arte, la cooperazione internazionale, il mondo della cultura – lì a testimoniare la volontà di far germinare i semi gettati in un percorso lungo ormai più di sessant’anni.

Un nuovo inizio, molti possibili approdi, poiché Danilo Dolci ci ha lasciato un pensiero fecondo, come testimonia questa lunga bibliografia, che non può andare disgiunto dal fare, perché la nonviolenza è tale solo se il pensiero dà vita all’azione concreta, alla costruzione condivisa, alla capacità di “trasformare l’utopia in progetto

L’esperienza del laboratorio maieutico

Seminare domande in ognuno matura e germina nuove risposte: voce e nuovo potere.
Una cosa è tendere a sostituirsi al vecchio potere e altro è creare nuovo potere in ciascuno.
Una rivoluzione culturale urge, in cui la gente riconosca
l’interesse proprio e si organizzi a conquistarlo, liberandosi dai dominatori,
invece di cedere al crescente senso di impotenza, irrazionalità, paura,
isolamento, atomizzazione.
Comunicare è necessario come respirare, ma ci occorre impararlo
 
Danilo Dolci, Bozza di manifesto “Dal trasmettere al comunicare”

Foto di Ileana Prezioso

Per capire di che cosa si tratta facciamo riferimento, ancora una volta, alle pagine del Centro Sviluppo Creativo “Danilo Dolci” qui e qui, dove troverete le impressioni soggettive e le riflessioni di chi ha partecipato per la prima volta a un laboratorio maieutico.

Negli ambiti in cui sono impegnata, in particolare nel volontariato, sono abituata a sedermi in cerchio per discutere, alla pari, idee e proposte; pratichiamo questa forma anche nei villaggi più remoti del Senegal, proprio per comunicare, da subito, la nostra intenzione di ascoltare e costruire insieme i percorsi da attuare, la soluzione ai problemi specifici di ogni comunità, i progetti a cui dare realizzazione concreta.

Ma l’esperienza del laboratorio maieutico – breve, perché si è trattato di un’ora in tutto – è stata forse la più significativa che abbia vissuto negli ultimi anni, per stimoli e riflessioni. Innanzitutto, mi è parso di cogliere alcuni perni: la domanda, che costituisce molto di più di un semplice tema di discussione calato dall’alto; la riflessione individuale, con un tempo prestabilito in cui ciascuno è invitato a rendere il proprio pensiero chiaro ed essenziale; l’ascolto degli altri, grazie al quale il pensiero precedentemente formulato può cambiare, arricchirsi, prendere nuove direzioni; la partecipazione attiva al dialogo, in cui ciascuno è ascoltato –  prendiamo la parola, a turno, solo quando chi ci precede ha terminato l’esposizione del proprio pensiero – e valorizzato. Importante, infatti, il momento di sintesi, in cui si raccolgono le idee emerse, e che però non costituisce mai una conclusione definitiva.

Non ci sono ricette preconfezionate, ma semplici accorgimenti volti a favorire l’ascolto e la partecipazione di tutti. Capita, così, che chi ha tendenza e essere prolisso si impegni alla sintesi e chi, invece, non ama molto spendere parole di troppo, si sforzi di rendere più chiaro il proprio pensiero. Un approccio semplice e rivoluzionario al tempo stesso, se pensiamo ai suoi presupposti in una società in cui la comunicazione è quasi esclusivamente trasmissiva, siamo malati di autoreferenzialità e sono sempre più numerosi coloro che trovano dietro un computer o uno smartphone l’illusione di una connessione con il mondo e con gli altri.

Cresce il numero di insegnanti che si sta impegnando a portare la maieutica reciproca nelle classi (grazie al proprio impegno e al desiderio di scoprire e imparare, poiché la maieutica reciproca non è contemplata dai manuali di pedagogia, occultata anch’essa a favore di pratiche improntate all’obiettivo, alla competizione “positiva”, e quasi mai all’attenzione, alla valorizzazione e all’ascolto dell’essere umano in quanto tale, e alla reale cooperazione tra individui), ma le cui potenzialità vanno oltre l’ambito della scuola: riusciamo a immaginare un insieme di persone, una comunità, che vive e sperimenta un percorso maieutico? Quali nuovi sogni potrebbero nascere? E da lì non scaturirebbe, come naturale conseguenza, il tentativo di trasformarli in realtà? Quanti conflitti potrebbero riconciliarsi? Che cosa può accadere, se una comunità coopera?

Ileana Prezioso