Una giovane traduttrice in attesa del suo primo bambino. Pensieri, riflessioni, ansie e speranze accompagnano i mesi della gravidanza, il parto e i primi anni di vita del piccolo. Idealmente in dialogo con Oriana Fallaci, il cui romanzo, Lettera a un bambino mai nato, è autorevole fonte di ispirazione, Maria D’Asaro, nel suo Lettere a un bambino poi nato (Diogene Multimedia, Bologna 2025), con tocco lieve e profondo, coinvolge lettrici e lettori nel flusso di coscienza della sua giovane protagonista, inducendoli, con garbo, a rivivere emozioni e a interrogarsi su temi che toccano le coscienze.
Su tutti, una domanda: in un mondo segnato da violenza e ingiustizie, che ne sarà di una vita messa al mondo «senza autorizzazione»? Travalicando la sfera intima e personale, il racconto affronta questioni esistenziali e sociali di respiro universale, offrendo uno sguardo originale e intenso: quello di una giovane madre e del suo bambino.
Con cura sono definiti i riferimenti che incorniciano il romanzo: dal breve estratto di un’intervista a Oriana Fallaci posto in esergo («Forse, l’amore è ciò che si prova quando si ha tra le braccia il proprio bambino e lo si sente così piccolo, inerme, indifeso. E messo al mondo senza la sua autorizzazione»), seguito dalla poesia Un nuovo inizio di Wisława Szymborska, spunti che introducono e danno il la alla profondità e complessità del tema trattato, fino alla lettera che chiude il volumetto.
In essa l’autrice si rivolge idealmente alla giornalista-scrittrice che, cinquant’anni fa, con Lettera a un bambino mai nato, segnava una svolta nel panorama letterario e culturale del secondo Novecento, periodo in cui la questione femminile animava un acceso dibattito, non ultima la riflessione sulla maternità. Gratitudine e ammirazione, dichiarate in questa ideale missiva, sono confermate dalle generose citazioni tratte dal romanzo, che tassellano – come punte di diamante – diversi momenti del racconto.
Dall’incipit, quella «strana sensazione alla pancia e alla schiena», presagio di una possibile minaccia di aborto, prende avvio un flusso incessante di pensieri e parole tra la madre e quella vita che, sin dal grembo, è già presenza: un “Tu” silenzioso, uno “spazio” a cui la protagonista affida emozioni e riflessioni.
L’essere «due-vite-insieme», in fase di gestazione, prosegue anche a cordone ombelicale spezzato, assumendo una forma diversa. Proiettati con un salto temporale agli anni di asilo, il piccolo diventa affidabile interlocutore, tenace ed esigente.
Parole e sguardi sanciscono un rapporto esclusivo e viscerale tra madre e figlio, nel quale emerge una profonda compenetrazione reciproca. Da un lato, nel linguaggio della madre, che cita le parole del figlio, le fa proprie, e assume talvolta l’essenzialità e la semplicità dei ragionamenti; dall’altro, nella capacità del piccolo di “vedere” e “comprendere”, con sguardo limpido e non offuscato da pregiudizi, situazioni e cose. Le sue domande, rigorosamente pertinenti, o i suoi ragionamenti, stringenti per logicità, sorprendono e interrogano.
In questo dialogo intenso, la levità del giocoso stare insieme si alterna a interrogativi profondi sulla vita, la morte, Dio, l’universo, le stelle e i pianeti. Temi sui quali madre e figlio si ritrovano a planare sulla stessa linea d’onda, condividendo sentimenti e linguaggi. Domande che si aprono a considerazioni su realtà drammatiche come l’assurdità e la crudeltà della guerra, che irrompe nel racconto attraverso la figura della cara amica e collega Zahira, il cui paese d’origine è sotto i bombardamenti.
All’angoscia di Zahira fa eco la poesia Promemoria di Gianni Rodari, che il bambino recita durante la festa di fine anno scolastico, fino quasi a gridarne i versi finali assegnatigli:
«Ci sono cose da non fare mai
né di giorno, né di notte
né per mare, né per terra
per esempio la guerra».
Esprimerà così la sua indignazione: «Perché quelle persone sparano? Loro non hanno mai imparato quella poesia?» Domanda tanto semplice quanto disarmante e alla quale fanno da specchio le amare riflessioni della madre e il timore che quegli «occhi limpidi e puliti possano trasformarsi in uno sguardo duro e cinico».
Sullo sfondo – seppur talvolta ribaltate in primo piano – le preoccupazioni di una madre lavoratrice freelance: le sue frustrazioni per politiche aziendali punitive nei confronti di una neomamma e le recriminazioni per scelte personali ormai irrevocabili.
Su tutto, la fatica di un lavoro che va rincorso e guadagnato attimo per attimo, che si scontra con le sfide sempre più complesse del presente. Ne emerge un intreccio di sentimenti contrastanti, in cui convivono ansie e speranze, gioie e timori per una giovanissima vita che cresce in un mondo spietato.
Eppure la vita sorprende: un «forse», preludio di possibile nuova maternità, apre alla speranza e sembra ricordarci – con Oriana Fallaci – che la Vita, pur in un mondo di nonsenso, con caparbietà vivrà.











