È il giorno dello sciopero generale della Cgil contro la manovra economica del governo nazionale, ma il 12 dicembre è anche l’anniversario della strage di piazza Fontana che quarantasei anni fa aprì la funesta stagione della strategia della tensione mirata a fermare i processi di cambiamento che si stavano avviando nel Paese. Ed è anche il giorno in cui i giornalisti di “la Repubblica” scendono in piazza per manifestare contro la svendita del proprio giornale e del gruppo editoriale che ne detiene la proprietà.

A Palermo si sciopera anche contro la manovra regionale che, così come la manovra nazionale, non dà risposte all’esponenziale aumento delle diseguaglianze, non investe neanche un euro per il diritto allo studio in una regione che vede andar via ogni anno 30.000 giovani, come denuncia Alfio Mannino, segretario della Cgil siciliana dal palco montato di fronte al palazzo d’Orleans, sede della Presidenza della Regione. 

Pochi minuti prima, era stata una giovane rappresentante dei movimenti giovanili, usando l’efficace espressione facciamo scruscio, cioè facciamo rumore, a parlare del diritto di poter rimanere nella propria terra perché “non è vero che i giovani amano andarsene, al contrario è vero che per loro c’è solo lavoro precario e malpagato”.

Il percorso del corteo che da Porta Felice, in prossimità del mare, conduce dritto fino a Piazza Indipendenza, è attraversato da almeno diecimila fra lavoratrici e lavoratori dei settori pubblici e privati che, insieme a studenti e rappresentanti di associazioni, scandiscono dal microfono collegate alle casse del camion che apre il corteo l’elenco di tutte le vertenze aperte per le quali nessuna risposta concreta viene offerta dai piani alti della politica. 

Fra i tanti ad intervenire, c’è anche la madre che accompagna il figlio disabile sulla sedia a rotelle e che denuncia l’inconsistenza dei provvedimenti economici pari ad un’elemosina che vengono erogati per i caregiver. 

Un giovane rappresentante del popolo palestinese fa sentire alta la sua voce in difesa di una lotta che sembra non finire mai contro la sistematica azione di sterminio e segregazione condotta dal governo di Israele.

Il tema dello sciopero è la manovra finanziaria, ma da tutti gli interventi emerge chiaramente che in gioco c’è la democrazia stessa, la possibilità di esercitare il dissenso che sistematicamente viene messa in discussione, la libertà di espressione e la libertà di stampa, quest’ultima fisicamente rappresentata dai tanti giornalisti presenti e rappresentati sul palco da Valerio Tripi di “la Repubblica” che parla della necessità di difendere il pluralismo nel nostro Paese e anche fuori da esso.

La Sicilia, dice Mannino, non è solo la terra che esprime politici come Cuffaro e Schifani, ma è principalmente la terra che ha visto fra i suoi migliori uomini Pio La Torre, Peppino Impastato, Piersanti Mattarella, solo per citarne alcuni; è anche terra di lotta alla mafia, all’eversione e all’affarismo politico, come ci ricorda Luisa Impastato, in rappresentanza del centro intitolato a suo zio Peppino e delle altre associazioni antimafia: nella nostra terra “persistono vecchie e nuove forme di potere mafioso, ma la lotta serve proprio a scardinare questo potere, a contrastare un modello culturale violento che non appartiene solo alla mafia, ma che si fa strada anche nella logica della corsa agli armamenti”. 

Quella della pace, del ripudio di ogni forma di risoluzione delle controversie attraverso le guerre, come prescrive la nostra Costituzione, è l’altra questione al centro della mobilitazione.

Anche Serena Sorrentino, Presidente della commissione per il programma fondamentale della Cgil, ha parlato di pace e di mobilitazione contro la guerra chiudendo gli interventi della giornata. Per l’esponente sindacale esiste un paese reale ed è quello che scende in piazza a protestare, mentre dall’altro lato c’è un governo che non ha una strategia per l’innovazione né un’idea di futuro: per questi motivi, quella sulla legge di bilancio è una bocciatura senza appello, chiedendo con forza di avere rispetto per il diritto di sciopero e per la libertà di espressione.

In conclusione, vengono di seguito sintetizzate alcune delle proposte formulate: 

– nuovi ingressi nei settori pubblici per un milione di posti di lavoro da ora fino al 2030,  per evitare il rischio di esternalizzare servizi pubblici essenziali;

– investire risorse per fare funzionare i tribunali piuttosto che portare avanti riforme che non servono a migliorare la giustizia, ma sono utili ad asservire la magistratura al potere politico;  -realizzare interventi strutturali nel settore industriale, nell’istruzione, nella sanità e dare risorse alle regioni per garantire i servizi di prossimità. 

La risposta del governo, invece, è quella di mettere in discussione i principi basilari sanciti dalla nostra Costituzione, tra cui quello della progressività contributiva per alimentare un fisco iniquo che riconosce maggiori benefici a chi ha di più anziché darne a chi ne ha più bisogno.