Il 29 dicembre, in Myanmar, prenderanno l’avvio le elezioni – quelle che i birmani chiamano sham elections cioè le elezioni farsa – che si svolgeranno fino all’11 gennaio 2026 con un’ulteriore fase successiva. Intanto, l’esercito della giunta militare sta bombardando pesantemente da mesi i villaggi nelle zone occupate dalla Resistenza, nel tentativo di riprendersi i territori persi per avere una più ampia base elettorale. Secondo la rivista birmana Mizzima, le elezioni sono state fortemente promosse dalla Cina che spinge per un riconoscimento internazionale della giunta; a tal fine manderà dei suoi osservatori per monitorare lo svolgersi delle elezioni assieme a Bielorussia e Russia.
C’è da chiedersi come questi paesi che non hanno mai avuto elezioni democratiche possano avere degli osservatori esperti in elezioni democratiche. Ma non sono i soli a fianco della giunta dei militari, anche l’India sta sostenendo attivamente le elezioni del Myanmar con l’invio di infrastrutture, di seggi elettorali e altro, inclusi gli osservatori per monitorare lo svolgersi delle elezioni.
Le elezioni sono state indette da quella giunta militare che ha preso il potere il 1 febbraio del 2021 ponendo fine all’ esperimento democratico con il partito capeggiato da Aung San Suu Kyi che nelle ultime elezioni del novembre 2020 aveva raccolto l’80% di voti, mentre il partito della giunta militare aveva racimolato un umiliante 6%.
Imprigionata Aung San Suu Kyi, allora settantaseienne, e gettata via la chiave, la giunta militare ha dato inizio a una dura repressione arrestando gli esponenti politici del partito per la democrazia, reprimendo duramente le proteste, perseguitando le centinaia di migliaia di persone che si sono unite al vasto movimento di disobbedienza civile, abbreviato CDM, divampato, non solo nella capitale Yangon, ma anche nelle principali città del Myanmar.
All’alba del 2 febbraio, infatti, insegnanti, infermiere, dottori, dipendenti dell’amministrazione pubblica e studenti erano nelle strade rifiutandosi di lavorare e di studiare all’interno di quelle strutture che non erano più al servizio del governo democratico ma di quello della giunta militare. Un esempio luminoso di disobbedienza civile di massa.
A settembre mi sono recata in Thailandia nelle zone ai confini con il Myanmar per intervistare le donne birmane esuli che hanno dovuto lasciare la loro terra e la loro vita. Convinte appartenenti al movimento di disobbedienza civile (CDM) non possono fare ritorno perché verrebbero arrestate. Vivono in esilio e sostengono attivamente la Resistenza che combatte al di là del confine. Riconoscono come loro governo legittimo il NUG, il governo di unità nazionale, formato dai parlamentari eletti nelle ultime elezioni democratiche del 2020 e la loro speranza è di riconsegnare il governo democratico ad Aung San Suu Kyi, una volta che la Resistenza abbia vinto.
Quella a Khin San Mynt è stata senza dubbio l’intervista più drammatica tra tutte. Ministra degli affari interni della minoranza etnica Lisu nello stato Shan del Nord, da cui proviene, è stata eletta con le elezioni democratiche del 2020. Khin San non ha lasciato il paese e ha deciso di rimanere accanto al suo popolo come ministra del NUG, il governo ombra.
Si trova nel mezzo della guerra: da una parte le truppe della giunta militare, dall’altra le truppe della minoranza etnica che combattono assieme all’esercito per la democrazia. Lo stato Shan è diviso in due, l’esercito della giunta militare controlla il sud mentre il nord è in mano alla Resistenza alleata con i Lisu.
Le minoranze etniche in Myanmar combattono il governo dei militari dal 1962 quando il generale Ne Win pose fine a 14 anni di governo democratico e alla loro richiesta di uno Stato confederato; la loro guerriglia in alcune aree si è alleata con la Resistenza.
Il villaggio in cui Khin San aveva dovuto rifugiarsi era privo di acqua e di elettricità, non era possibile rifornirsi di cibo perché l’esercito della giunta bloccava le strade. Si trovavano quindi, lei e gli altri abitanti del villaggio, in una situazione drammatica: ogni giorno gli aerei della giunta militare li bombardavano e ogni giorno aumentavano i morti nel villaggio.
Khin San non è l’unica parlamentare del NUG a trovarsi in zona di guerra. Metà del governo eletto democraticamente nel 2020 non è esiliato ma si trova all’interno del Myanmar e molte delle sue ministre e ministri condividono le sorti dei civili presi di mira dalle truppe della giunta che li considera suoi nemici.
Condividono le sorti di un popolo traumatizzato dai bombardamenti, bambini che non possono andare a scuola e si sentono ancora più abbandonati, e impossibilitati a elaborare i traumi insieme alle insegnanti e ai coetanei; adulti che non possono lavorare, che hanno perso il lavoro, che hanno perso la casa, che non hanno i soldi per ricostruire le loro case. Khin San è preoccupata che, se la giunta militare manterrà il governo ancora a lungo, il paese sprofonderà sempre più nel trauma e nella povertà.
Anche il governo democratico NUG non riesce a fare molto per loro, nelle loro zone non c’è internet e quindi i contatti con il NUG non sono regolari, né aggiornati, spesso non è nemmeno a conoscenza della loro situazione drammatica. L’unico modo per poter comunicare è attraverso Starlink un sistema estremamente costoso, che Khin San ha usato per parlare con me.
Khin San deve rimanere nello stato Shan del Nord e se le truppe della giunta militare dovessero avanzare sarà costretta ad abbandonare il villaggio e rifugiarsi nella foresta insieme ai civili sopravvissuti. Le chiedo se non ci sono i campi di sfollati interni in cui rifugiarsi, ma mi dice che non è possibile allestirli perché, a causa dei bombardamenti, i civili devono continuamente spostarsi.
Ha voluto concludere il nostro colloquio lanciando un appello alla comunità internazionale che tolga il suo sostegno a “questa giunta militare di terroristi” che compie azioni di guerra che non dovrebbe compiere come il bombardamento dei villaggi, delle scuole, dei civili, che mira espressamente ad uccidere i bambini e le donne (vi ricorda qualcuno?).
Fonti: Mizzima News “Spring Revolution” 4 December 2025
L’intervista a Khin San Mynt si trova in “Resistenze. Da Gaza all’Afghanistan al Myanmar” Multimage, novembre 2025.










