La violenza di genere attraversa le aule come attraversa la società. In occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, diventa essenziale dare voce ai luoghi in cui questo fenomeno viene discusso e reso visibile: All’Università degli Studi di Milano questo lavoro prende forma nell’Osservatorio Violenza sulle Donne, attivo dal 2021 e fondato dalla costituzionalista Marilisa D’Amico, che da anni lavora sul tema intrecciando ricerca e impegno istituzionale.

Fondatori e fondatrici dell’Osservatorio Violenza sulle Donne. Foto di Eleonora Aragona

«L’Osservatorio nasce», spiega D’Amico, «da criticità culturali e istituzionali concrete: mancava uno spazio stabile che mettesse in dialogo ricerca scientifica, istituzioni e società civile». All’esterno come all’interno dell’Ateneo, osserva, la violenza contro le donne era spesso trattata come evento episodico, emergenziale: «Ci serviva un luogo capace di restituire complessità a un fenomeno strutturale». Oggi l’impatto è tangibile. «Il primo risultato è stato culturale», racconta: il tema è entrato nei codici etici, nelle programmazioni strategiche, nei percorsi formativi rivolti a studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo. A questo si aggiunge la definizione di procedure uniformi per affrontare segnalazioni e situazioni di rischio, da cui è nato anche lo sportello “Ad alta voce”, in collaborazione con la Clinica Mangiagalli.

Le vessazioni di matrice sessista, in particolare quelle rivolte alle studentesse, rientrano in quella zona grigia delle violenze “invisibili” di cui ha scritto Caroline Criado Perez nel saggio Invisibili: micro–offese, commenti svalutanti, interruzioni sistematiche della parola, giudizi paternalistici che non assumono sempre i contorni della violenza esplicita, ma che incidono sulla percezione di sé e sul senso di legittimità di chi le subisce. Un quadro che la stessa D’Amico riconosce nella vita universitaria: «La violenza di genere è molto più presente di quanto si voglia ammettere», osserva. «Non si manifesta solo in forme eclatanti, ma si insinua nelle relazioni di potere». Dinamiche che, come ha mostrato chiaramente anche il questionario promosso dal Protettorato alle Pari Opportunità qualche anno fa, emergono con continuità nei vissuti delle studentesse.

D’Amico racconta come molte arrivino a confidare episodi di umiliazione o molestie solo dopo aver ascoltato altre testimonianze o all’interno di spazi protetti: «Il primo segnale è spesso la solitudine. Molte ragazze non si riconoscono come vittime, e interiorizzano la responsabilità dell’accaduto, come se stessero esagerando». E’ quello che Criado Perez definisce “silenzio indotto”: la paura delle conseguenze. «Le relazioni di dipendenza accademica sono forti», spiega D’Amico. «Molte temono che una segnalazione possa compromettere un esame, un tirocinio, una lettera di referenza. È un timore tutt’altro che irrazionale». Sebbene non entri nel dettaglio dei casi, D’Amico conferma che, nel corso della sua carriera, ha incontrato numerose studentesse vittime di comportamenti inappropriati da parte di docenti: «A volte si tratta di episodi espliciti, più spesso di dinamiche sottili. Ciò che colpisce è come le studentesse li vivano: con incredulità, senso di colpa e paura». Il suo ruolo, racconta, è spesso quello di sostegno, orientamento, ascolto: «Il problema non è mai la giovane donna che segnala, ma chi esercita in modo distorto una posizione di potere».

È proprio per intercettare queste forme di violenza sommerse che è nato lo Sportello Ad Alta Voce. «Non siamo un centro antiviolenza», chiarisce la costituzionalista e co-fondatrice dell’Osservatorio Irene Pellizzone, «ma un primo punto di ascolto anonimo e protetto, dove chi vive un disagio legato alla violenza di genere può chiedere aiuto in modo semplice, senza sentirsi giudicato». Lo sportello, nato all’interno del COSP – Centro per l’Orientamento allo Studio e alle Professioni – risponde a un bisogno emerso dagli stessi studenti: molte richieste di sostegno arrivavano durante i seminari dell’Osservatorio, spesso per sé, per amiche o familiari, segno di un vuoto di ascolto dentro e fuori l’Ateneo. «Garantire l’anonimato è fondamentale», spiega Pellizzone, «perché permette a ciascuno di maturare con i propri tempi decisioni delicate, come l’eventuale denuncia».

Il percorso parte da un colloquio con personale esperto e, quando necessario, prosegue con l’invio verso servizi specializzati come il centro antiviolenza SVSeD – ll Soccorso Violenza Sessuale e Domestica – della Mangiagalli, con cui l’Ateneo ha attivato una convenzione dedicata. «Lo sportello esiste», sottolinea Pellizzone, «perché l’ascolto è spesso il primo, potentissimo passo verso l’emancipazione dalla violenza».  Molte di queste criticità, osserva D’Amico, affondano le radici proprio nella formazione giuridica, ancora segnata dall’idea di un diritto “neutro” che fatica a riconoscere i propri presupposti di genere. «La sfida», conclude D’Amico, «è trasformare questa consapevolezza in pratica quotidiana, perché la cultura giuridica cambi davvero». Ed è su questo terreno – quello della cultura, della formazione, della capacità di dare nome a ciò che spesso resta senza voce – che l’università può davvero incidere.