L’Italia rispetto ai principali Paesi europei continua a mantenere un ritardo significativo in termini di occupazione femminile, divario retributivo e presenza ai vertici delle organizzazioni, sia nel settore pubblico sia nel privato. Nonostante la crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro registrata negli ultimi anni, permangono ostacoli strutturali che penalizzano soprattutto le madri, le lavoratrici più giovani e chi opera nei settori a più basso valore aggiunto.

Il nostro Paese sta affrontando la questione con nuovi strumenti normativi che puntano a maggiore trasparenza, equità nell’accesso alle retribuzioni e alle carriere e cambiamento della cultura organizzativa. Tuttavia, gli interventi osservati finora non sono ancora stati in grado di ridurre in modo strutturale le disuguaglianze accumulatesi nel tempo.

Ridurre il gender gap non è soltanto una questione di giustizia sociale, ma anche una leva decisiva di sviluppo economico. Studi consolidati dimostrano infatti che una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, soprattutto in posizioni qualificate e retribuite adeguatamente, produce benefici rilevanti in termini di produttività, innovazione, crescita del PIL, sostenibilità dei sistemi di welfare e resilienza delle imprese.

Il divario retributivo medio nel settore privato è pari al 7,2% sulla Retribuzione annua lorda e all’8,6% sulla Retribuzione Globale annua, con una distanza che si amplia fino al 27,4% sulla sola componente variabile. Le donne guadagnano in media 2.300 euro in meno di RAL e 2.900 euro in meno di RGA rispetto agli uomini. Tradotto in termini concreti, è come se le lavoratrici italiane iniziassero a percepire uno stipendio il 27 gennaio, lavorando regolarmente dal 1° gennaio. E’ quanto si sottolinea nel Gender Gap Report 2025, l’analisi annuale sulle disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro italiano, dell’Osservatorio JobPricing (https://osservatoriojobpricing.it/), realizzato in collaborazione con IDEM | Mind The Gap (https://idemindthegap.it/).

Il gender pay gap cresce con l’età e con la seniority, superando il 12% nella fascia 55–64 anni, e resta marcato nei ruoli di responsabilità. Nei ruoli apicali – dirigenti e top manager – le donne sono solo il 19%, mentre tra i quadri la percentuale sale al 31%. Nei consigli di amministrazione delle società quotate, la rappresentanza femminile raggiunge il 43,2%, ma solo il 16,9% ricopre ruoli esecutivi e appena il 2,3% è amministratrice delegata. Questi dati evidenziano come la disuguaglianza economica derivi più dal mancato accesso ai percorsi di carriera che da differenze dirette nelle retribuzioni per ruoli equivalenti.

Il report dedica un approfondimento sul tema della soddisfazione retributiva, da cui emerge un quadro coerente con le disuguaglianze oggettive. Le donne si dichiarano meno soddisfatte del proprio pacchetto retributivo in tutte le dimensioni analizzate: la media complessiva è 3,6 punti, contro 4,5 degli uomini. Le differenze più forti si registrano sulla percezione di equità interna e di meritocrazia.

Cambia anche la gerarchia delle priorità: le lavoratrici danno più peso a flessibilità oraria, smart working e benefit legati alla conciliazione, mentre gli uomini restano più focalizzati sulla retribuzione variabile e sulle prospettive di crescita economica. Il gender gap, quindi, non è solo un tema di “quanto si guadagna”, ma di come si lavora, si cresce e si viene riconosciuti.

Il report sottolinea che la riduzione del divario di genere richiede un cambiamento profondo, non solo normativo ma culturale. La Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza retributiva, richiamata nel documento, rappresenta una tappa fondamentale verso un nuovo standard europeo di equità: le aziende dovranno misurare, comprendere e correggere le differenze retributive in modo strutturato e continuo. Per l’Italia, dove le disuguaglianze retributive e di carriera sono radicate, la Direttiva può rappresentare un’opportunità concreta per trasformare la trasparenza in leva di cambiamento. Ma, come sottolinea il report, servono anche politiche di Total Reward e modelli di leadership più inclusivi, capaci di valorizzare il contributo femminile e garantire percorsi di crescita realmente paritari.

Eppure, in Italia le donne sono oggi mediamente più istruite e conseguono risultati scolastici e universitari migliori. Nel 2024, le laureate hanno rappresentato circa il 60% del totale, un dato che conferma un trend ormai consolidato e in progressiva crescita negli ultimi anni. Le performance femminili negli studi restano superiori lungo tutto il percorso formativo.

L’abbandono scolastico, pur in calo, continua a colpire in misura maggiore i ragazzi: secondo Eurostat, nel 2023 il tasso maschile si è ridotto al 13,9%, mentre quello femminile si attesta al 9,4%. Si tratta di un miglioramento per entrambi i gruppi, ma il divario resta evidente e testimonia un atteggiamento “strutturale” delle studentesse. Le differenze proseguono anche nel percorso universitario. Le donne non solo si laureano più spesso in corso (circa il 65% contro poco più del 54% degli uomini), ma ottengono mediamente risultati migliori: il voto medio di laurea supera i 105/110 per le donne, mentre per gli uomini si ferma intorno a 103/110.

Qui per scaricare il report Gender Gap Report 2025: https://osservatoriojobpricing.it/report/gender-pay-gap.