La guerra civile in Sudan è scoppiata nell’aprile 2023 e, finora, diversi cicli di colloqui di pace non sono serviti a porre fine all’orribile conflitto in corso. Due generali che erano alleati nel realizzare il colpo di stato del 2021 sono ora i leader delle parti opposte: il generale Abdel Fattah al-Burhan è il capo delle forze armate sudanesi (SAF) e, in sostanza, Presidente del Paese. Il suo ex vice e ora avversario è il generale Mohamed Hamdan Dagalo, leader delle Forze di Supporto Rapido (RSF), forte di 100.000 uomini.
Nel giugno 2025, le RSF hanno ottenuto una vittoria significativa quando hanno preso il controllo della regione lungo il confine del Sudan con la Libia e l’Egitto. L’uomo forte libico, il generale Khalifa Haftar è stato accusato di sostenere le RSF fornendole armi e combattenti. Le RSF controllano anche la maggior parte del Darfur e gran parte del vicino Kordofan. In effetti, si teme che il paese possa ancora una volta essere diviso in due stati se le RSF portano avanti il loro piano dichiarato di stabilire un governo rivale.
Atrocità impensabili
Forse la conseguenza più orribile del conflitto è lo stupro e l’uccisione di innocenti, compresi bambini e neonati. Le Nazioni Unite riferiscono che oltre 40.000 persone sono state uccise e più di 14 milioni sono state sfollate; la classificazione della fase di sicurezza alimentare integrata ha identificato una carestia diffusa, che colpisce quasi 400.000 persone. Ci sono state anche orribili violenze sessuali estese a bambini molto piccoli, e segnalazioni di bambini che tentano di porre fine alla propria vita a seguito di questi episodi.
Il popolo Massalit e altre comunità non arabe nello stato del Darfur occidentale del Sudan sono stati oggetto di pulizia etnica. Le RSF e le milizie arabe alleate hanno perpetrato atrocità e assalti incessanti nei quartieri di Massalit a El Geneina, la capitale del Darfur occidentale, massacrando migliaia di persone e lasciandone altrettante senza una casa o un rifugio.
A febbraio, l’esercito sudanese ha bombardato Nyala, la più grande città del Darfur meridionale, con bombe non indirizzate. Questi attacchi hanno ucciso dozzine di persone e devastato quartieri civili, un caso da manuale di guerra indiscriminata. Nel frattempo, i convogli delle Nazioni Unite sono stati attaccati più volte, anche all’inizio di giugno e alla fine di agosto, dimostrando ancora una volta che anche gli operatori umanitari sono sotto assedio.
I Paesi complici nel caos sudanese
Il generale al-Burhan è sostenuto principalmente dal Qatar, che gli fornisce sostegno finanziario e armi, dall’Iran che fornisce droni, e dall’Eritrea che ospita campi di addestramento per gruppi allineati alle SAF, in particolare vicino ai confini orientali. Le RSF stanno ricevendo un sostegno significativo dagli Emirati Arabi Uniti, che sono accusati di inviare armi e droni. Anche alcune imprese belliche turche sono state coinvolte nella fornitura di droni che finiscono per essere utilizzati da entrambe le parti.
Il Washington Post ha riferito di come l’uso di droghe – in particolare Captagon, un’anfetamina sintetica – da parte dei combattenti della milizia “abbia introdotto una nuova pericolosa variabile in un campo di battaglia già senza legge”. Le pillole Captagon, che possono essere prodotte in centinaia di milioni, rendono i combattenti più inclini alla violenza e più propensi a commettere atrocità indicibili.
Metà della popolazione sudanese ora dipende dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Oltre 25 milioni di persone fanno affidamento sulle consegne di cibo solo per superare la giornata, in un paese in cui le bombe continuano a cadere e i villaggi vengono ridotti in cenere. Sia le RSF che le SAF stanno commettendo atrocità impunemente, con i civili intrappolati nel mezzo di questa guerra da incubo: omicidi etnici mirati, stupri di gruppo, attacchi aerei su ospedali e case, saccheggi di aiuti e blocchi che affamano intere città.
Se una delle due parti spingerà per la vittoria totale, che a questo punto sembra quasi irraggiungibile, comporterà un’escalation del massacro a proporzioni veramente catastrofiche – poiché significherà che altri stati (Russia, Iran, Emirati Arabi Uniti, Libia, Ciad, Etiopia, Egitto, ecc.), che si sono schierati con una parte o l’altra, dovranno aumentare significativamente il loro sostegno agli aiuti militari e alla fornitura di armi più avanzate. Entrambe le parti rimangono completamente trincerate nella loro reciproca opposizione e gli Stati che le sostengono non sembrano disposti a prendere in considerazione l’applicazione di pressioni diplomatiche per cambiare lo status quo.
Se il conflitto continuerà a imperversare per anni, distruggerà tutto ciò che resta del Sudan e non farà altro che aggravare la calamità che è stata inflitta a milioni di civili sudanesi.
Non c’è tempo da perdere
La guerra civile in Sudan è un oltraggio morale e umanitario, una disputa di potere tra due leader militari spietati, nessuno dei quali ha a cuore i veri interessi del proprio paese, ma che sono avidi di potere e ricchezza mentre i civili stanno pagando un prezzo terribile in morte e distruzione.
La comunità internazionale deve rinsavire e compiere uno sforzo diplomatico concertato per porre fine a questa carneficina insensata e a uccisioni, stupri e saccheggi indiscriminati.
La comunità internazionale deve agire ora
Purtroppo, non c’è motivo di credere che Trump farà qualcosa per porre fine alla guerra. La sua complicità nel genocidio di Gaza la dice lunga sulla sua insensibilità. Porre fine alla guerra richiede una forte spinta diplomatica internazionale, in particolare da parte delle Nazioni Unite e dell’UE:
- La comunità internazionale deve sostenere indagini credibili, imporre un embargo globale sulle armi a tutte le parti coinvolte in Sudan per interrompere il flusso di armi e porre fine al loro sostegno cinico e egoistico.
- L’UE e l’ONU possono coordinare sanzioni mirate su individui ed entità che forniscono sostegno finanziario o militare ai combattenti e garantire protezione ai milioni ancora intrappolati in questa guerra.
- L’UE e le Nazioni Unite devono spingere per una missione internazionale di mantenimento della pace per proteggere i civili e creare zone sicure per gli aiuti umanitari.
- Sponsorizzare colloqui di pace inclusivi che coinvolgano non solo le parti in conflitto, ma anche i leader della società civile locale e le parti interessate regionali.
- Aumentare i finanziamenti umanitari e il supporto logistico per garantire che cibo, assistenza medica e riparo raggiungano chi ne ha bisogno.
- Istituire un’inchiesta o un tribunale internazionale per documentare i crimini di guerra e ritenere responsabili gli autori, creando pressioni affinché entrambe le parti negozino.
- I negoziatori devono sfruttare la diplomazia regionale coinvolgendo i vicini paesi africani e mediorientali per sostenere uno sforzo di pace unificato.
Questa è una guerra senza qualità redentrici: non ci sono alti ideali in gioco e nessuna delle due parti, se vittoriosa, è in grado di garantire al paese un futuro migliore o più luminoso. Ma porre fine alla guerra significherebbe fermare una crisi in continua crescita, che sta colpendo milioni di uomini, donne e bambini le cui vite sono afflitte dalla fame e dalla minaccia quotidiana di violenza sessuale, mutilazioni e morte.
È tempo che le potenze occidentali agiscano. Altrimenti, la loro bancarotta morale sarà in piena mostra, poiché le condizioni continueranno a degenerare e alla fine si trasformeranno in un inimmaginabile inferno vivente per decine di milioni di innocenti sudanesi.
L’autore: Dr. Alon Ben-Meir è un professore in pensione di relazioni internazionali, che ha recentemente insegnato presso il Center for Global Affairs della New York University. Ha tenuto corsi di negoziazione internazionale e studi sul Medio Oriente.
Traduzione dall’inglese di Filomena Santoro. Revisione di Thomas Schmid.










