Quando il potere si trasforma in provvisorietà permanente, la resistenza diventa un diritto.
La scintilla del malcontento
Migliaia di peruviani, con i giovani in prima linea, sono scesi due settimane fa nelle strade di Lima e di altre città per protestare contro il presidente ad interim José Jerí e il Congresso. Le marce, partite dai quartieri periferici, sono confluite verso il centro storico, in particolare verso piazza San Martín e il Congresso, protetto da un rigido cordone di polizia. Gli slogan sui cartelloni e sugli striscioni recitavano: “Se ne vada subito!”, “Basta impunità” e “Vogliamo una democrazia senza corrotti”…
Questa rivolta non è spontanea, ma nasce dalla stanchezza. L’insicurezza regna nelle città e nelle zone rurali, la criminalità cresce e la sensazione di abbandono istituzionale si aggrava giorno dopo giorno. Tutto sembra indicare una profonda frattura tra governanti che cambiano come maschere e cittadini che non credono più alle promesse. I giovani (eredi dei social network, conoscitori del mondo globale) sono stanchi di vedere vecchie formule riciclate che finiscono per portare a più impunità, più morti e più disincanto.
Un presidente senza base né credibilità
José Jerí è stato nominato presidente ad interim solo pochi giorni fa, succedendo a Dina Boluarte dopo la sua destituzione e provocando una controversia politica senza un chiaro consenso. Sin dalla sua nomina ha affrontato accuse di presunti abusi sessuali che egli respinge, ma che hanno indebolito la sua immagine prima ancora di assumere la carica. La sua proclamazione avviene dietro l’ombra di un Congresso che lo ha sostenuto nonostante le accuse contro Boluarte, che hanno causato morti durante le proteste, accuse di corruzione e sfiducia sociale.
Jerí non ha assunto la carica con un chiaro mandato popolare. La sua base democratica è debole e i suoi legittimatori sono messi in discussione. Governa uno Stato in crisi, con istituzioni stremate, poiché ogni sua decisione politica sarà monitorata da cittadini che non gli hanno dato fiducia. Questa fragilità è il nemico più grande di un presidente privo di credibilità, incapace di contenere le mobilitazioni e in grado solo di alimentarle.
Il Congresso nel mirino dei cittadini
Al di là della figura presidenziale, il bersaglio della rabbia è il Congresso. I manifestanti rifiutano non solo Jerí, ma anche il Parlamento che lo ha sostenuto e ha mantenuto Boluarte. È comune sentire la frase “tutta la casa è marcia”. Per molti i membri del Congresso rappresentano il patto funzionale tra partiti (impunità) ed élite che si dividono il potere.
Che un Congresso destituisca presidenti per incapacità morale, ma mantenga presidenti con gravi accuse, è un’incongruenza che la gente non tollera. Il polmone politico del Paese si sente pervertito. Le manifestazioni non chiedono riforme minori, ma chiedono di rifondare le istituzioni, smantellare le reti clientelari e porre un freno all’uso arbitrario del potere legislativo.
Il rischio della repressione
Ci sono già stati scontri tra manifestanti e polizia. In diversi punti di Lima ci sono state colluttazioni, blocchi stradali e sospensione dei trasporti. L’autorità dei trasporti di Lima e Callao (ATU) ha annunciato interruzioni nella rete stradale. La polizia interviene con caschi, scudi e proiettili di gomma. Le linee di tensione si delineano rapidamente, ma i manifestanti lanciano pietre e la polizia risponde con gas lacrimogeni. Nel mezzo, i passanti e i negozi rimangono intrappolati.
Il rischio che il conflitto si aggravi è latente. Un’azione eccessiva, un ordine mal calibrato può trasformare una protesta legittima in una tragedia. Gli agenti dello Stato devono ricordare che il loro mandato è quello di proteggere e non di soffocare la voce del loro popolo. La repressione iniziale può degenerare in una crisi più grave se non viene gestita con moderazione.
Il protagonismo del popolo
Quello che sta succedendo oggi in Perù non è solo una rivendicazione dei giovani. Sono i sindacati dei lavoratori, gli insegnanti, i trasportatori e le comunità rurali che vedono che nessuno li rappresenta. In molte marce si sentono rivendicazioni fondamentali come la sicurezza, la giustizia, l’occupazione, una distribuzione più equa delle risorse e la lotta contro la corruzione generalizzata. Di fronte a tutto questo, lo Stato appare vuoto, assente e distaccato.
La protesta è un atto di cittadinanza. Non tutti coloro che marciano abbracciano cause radicali, poiché molti vogliono solo un governo che funzioni, che non uccida impunemente e che non autorizzi le ingiustizie. La loro rivendicazione è semplice ed è che coloro che ricoprono cariche smettano di essere servitori del potere invisibile e inizino a servire il paese visibile: il Perù di tutti i giorni. Mostrare questa dignità di strada è parte della forza morale di questo movimento.
Scenari possibili
Cosa può succedere ora? Ci sono diverse possibilità:
- Che il governo faccia marcia indietro, promuova riforme profonde, cambi i ministri e convochi per un ampio dialogo. Ciò potrebbe calmare le acque o generare sospetti se non accompagnato da azioni concrete.
- Che il Congresso imponga elezioni anticipate o accetti un cambiamento profondo, ma ciò richiederà coraggio politico e consenso in un’istituzione che finora ha evitato di rendere conto del proprio operato.
- Che lo Stato eserciti una maggiore repressione, dichiari lo stato di emergenza e limiti le libertà civili. Questa strada è pericolosa e può compromettere la governabilità.
- Che le proteste si radicalizzino con blocchi massicci, scioperi generali e zone liberate. In tal caso la crisi potrebbe diventare più profonda e diffusa.
Qualunque sia la strada intrapresa, il fattore decisivo sarà il popolo che marcia. Se mantiene disciplina, unità e chiarezza nelle richieste, acquisisce legittimità morale. Se si frammenta o cede alle provocazioni, perde forza. La guida del movimento (giovani) da parte dei leader locali e dei sindacati avrà un ruolo chiave nel sostenerlo.
Il Paese richiede una rifondazione
Il Perù non chiede piccoli aggiustamenti. Chiede una ristrutturazione istituzionale. Chiede una rifondazione etica dello Stato peruviano che non consideri il potere come un bottino né il cambiamento come un semplice restyling. Chiede un Congresso che non legiferi per interessi particolari, un Esecutivo che non nomini governanti in base ad alleanze oscure e un sistema giudiziario che non sia uno strumento di protezione dei potenti.
Quel Paese si costruisce con trasparenza, con il controllo dei cittadini, con la fine delle immunità, con un potere locale rafforzato. Non è utopia, ma un requisito minimo di dignità. Lo Stato che sopravvivrà dovrà superare una prova di fede e dimostrare di non essere un apparato sostituibile a causa delle proteste, ma un’istituzione che risponde al popolo.
Dati relativi alla protesta
Il Ministero della Salute (Minsa) ha riferito che 29 civili e 60 poliziotti sono rimasti feriti durante le proteste a Lima.
Il presidente Jerí ha ammesso che ci sono stati 55 poliziotti feriti, 20 civili feriti e 10 arrestati.
Il Difensore Civico ha riferito che 102 persone sono rimaste ferite, di cui circa 80 poliziotti.
Un manifestante è morto, identificato come Eduardo Ruiz Sanz (32 anni), dopo essere stato colpito da un proiettile nelle vicinanze del Congresso di Lima.
Durante gli scontri sono stati registrati almeno 20 civili e 55 poliziotti feriti, con 10 arresti.
Oggi il Perù si trova a un bivio in termini di dignità
Le strade rimbombano di grida contro l’indifferenza e la vendetta istituzionale. Non è solo una protesta contro Jerí o contro il Congresso. È una protesta contro un sistema che ha lasciato morire la lealtà repubblicana. Se chi governa non ascolta, imparerà che il potere non risiede nei seggi o nei palchi, ma nell’esigenza morale di un popolo che rifiuta di mettere a tacere la propria voce.
Questo momento non è solo una prova politica, è una prova dell’anima peruviana. Che la storia giudichi, ma che sia il Paese a decidere…
Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid.










